35- Quel poco che resta (I)
Lasciarsi alle spalle quel tratto di mare e riprendere il viaggio era stato difficile: nessuno avrebbe voluto abbandonare il punto in cui la scialuppa era stata affondata. Era come se una parte della Concordia fosse scivolata giù, con James, nelle profondità più recondite degli abissi, sparita per sempre, inghiottita dall'avidità del soffocante abbraccio marino. I nuvoloni che quella mattinata avevano portato con sé il furioso temporale erano ancora alti nel cielo e oscuravano il sole ormai calante, riflettendo nella volta celeste quello che era l'umore della ciurma, amareggiata e ferita, arrabbiata e nostalgica.
Diretto ora verso Hypnos, la più grande città commerciale delle Terre di Mezzo, il vascello procedeva sulla rotta seguendo le mappe e le indicazioni di Phienn, che dal cassero stringeva forte il timone e, come sempre, dava ordini ai suoi uomini. Addolorata, il capitano non spostava gli occhi dal lontano infinito, lasciando che mare e cielo colmassero quel vuoto che portava nel petto. Non era l'unica a cercare conforto altrove: per molti membri dell'equipaggio il rum era diventato un gentile amico di cui non si poteva fare a meno, per altri non serviva che il suono delle onde a lenire il proprio male.
Anche per Lys la storia non era tanto diversa: con Vuxta chissà dove e Phienn chiusa in se stessa, non sapeva con chi condividere il suo dolore, sentendosi così più sola che mai. Guardava il mare, ma non trovava la stessa pace degli abitanti delle Terre di Mezzo, puntava allora gli occhioni verdi al cielo, sentendolo però ormai troppo lontano da lei e dalla donna che stava diventando. Non c'era luogo che potesse farla stare meglio, non c'era luogo a cui realmente appartenesse.
Persa nei suoi pensieri, Fleur era tornata in cabina e si distraeva dondolandosi tra il regno delle Terre Volanti e quello delle Terre di Mezzo, tra l'ipocrisia dell'uno e la corruzione dell'altro, crogiolandosi in lunghe riflessioni che permettessero di risolvere le problematiche di entrambi. Non trovò alcuna soluzione; tutto ciò che riguardava i due regni le sembrava talmente radicato nel suo stesso essere da rendere impossibile un mutamento nel breve termine. Serviva tempo, volontà, un nuovo modo di governare e di pensare, un cambiamento graduale che toccasse la società nel profondo. Se le Terre di Mezzo erano schiave del controllo mercantile, le Terre Volanti lo erano della propria fede, cieche dinanzi la realtà, aggrappate agli dèi ma infedeli ai propri sogni. Nessuno era realmente libero e, sebbene Fleurdelys non sapesse cosa fosse davvero la libertà, desiderava che nessuno si sentisse schiavo del volere di un altro, uomo o dio che fosse.
Sospirò affranta, chiedendosi se anche in futuro il libero arbitrio sarebbe rimasto un miraggio lontano, un sogno utopico che avrebbe soltanto sfiorato la realtà, offuscando il razional giudizio e ingannando i cuori speranzosi degli esseri umani. Era un dato di fatto: per quanto ognuno credesse di essere padrone della propria vita, altro non era che l'ennesima menzogna in un mondo di bugie. Se non erano gli dèi a decidere per gli uomini, allora erano le scelte degli stessi a imprigionarli; scelte che si scontravano influenzandosi a vicenda, scelte che derivavano dalle scelte degli altri, scelte che della propria volontà avevano ben poco.
Se August non avesse scelto di aiutare Lys, allora Phienn non avrebbe mai scoperto la sua vera identità. Se Phienn non avesse deciso di venderla agli scagnozzi di Vermund Crasteba e se James tempo addietro non avesse scelto di unirsi alla Concordia, allora non sarebbe morto.
Caso, destino, fato, scelte e decisioni. Nomi diversi per descrivere l'indistruttibile gabbia che imprigionava l'umanità intera. Non c'era via di fuga, era questa la triste conclusione a cui Fleurdelys Skysee era arrivata. Il poco che restava agli uomini non era che l'opportunità di vivere. Vivere nonostante le proprie scelte dipendessero in parte da quelle degli altri, vivere nonostante il giudizio di entità divine, semplicemente vivere. L'essere umano poteva solo aggrapparsi alla vita. Ecco quanto gli restava: una vita destinata un giorno a spegnersi, certo, ma pur sempre una vita. Non c'era dono più grande che la natura potesse regalare loro, Fleur avrebbe voluto capirlo prima di incontrare il gelo della morte.
Si ritrovò a sorridere con amarezza, chiedendosi se Vuxta, come i miti raccontavano, avesse davvero accolto lo spirito di James. Avrebbe di certo avuto occasione per chiederglielo, si disse, doveva solo aspettare che il Dio Luna tornasse da lei. Il sorriso tirato si spense definitivamente. Sempre se fosse tornato.
«Lys» la chiamò qualcuno, bussando alla porta aperta della sua cabina. «Hai un momento?»
Belvaduar la guardava titubante dall'uscio, incerto riguardo il motivo per cui si trovasse in quel posto, insieme alla sacerdotessa. Sentiva di doversi scusare, ma non sapeva come farlo né come comportarsi. Fleur annuì, invitandolo a sedere accanto a lei sulla branda. Lui rimase in piedi, mantenendo una certa distanza, rigido nel suo imbarazzo.
«Posso fare qualcosa?» chiese, non capendo perché Billy l'avesse cercata.
«Volevo scusarmi per oggi» rispose l'altro «e ringraziarti per aver trovato la fascia di James»
«Non devi ringraziarmi, chiunque avrebbe fatto lo stesso»
«Lo so, io...» deglutì «Penso di averti incolpata per la sua morte, mi dispiace. So che tu e il dottor Lamtr avete fatto il possibile»
Lys sospirò, portandosi le mani sulle tempie. Non guardò Billy negli occhi per nascondere il proprio senso di colpa; si sentiva davvero la causa della morte di James, se lei non fosse mai salita sulla Concordia niente di tutto ciò che era successo sarebbe mai accaduto. "Tu sei il male", la vecchia bisbetica a Saigo l'aveva predetto. Lei era il male e il male aveva portato sul vascello. Aveva iniziato a convincersene inconsciamente, quasi a dare un senso agli eventi catastrofici susseguitisi alla sua fuga.
«Mi dispiace per James» confessò «Se le nostre strade non si fossero mai incrociate forse...»
«Finiscila» la interruppe Belvaduar, rifiutandosi di incrociare il suo sguardo «James è morto per difenderti, è vero, ma non sapeva chi realmente fossi. È morto per te, non per la sacerdotessa. Sei unicamente tu il motivo per cui ha deciso di mettere in gioco la sua vita. Ha visto in te un cuore che io ho faticato a vedere, ti ha considerata un'amica prima ancora che noi altri ti accettassimo come nostra compagna. Lui non vorrebbe ti incolpassi di una colpa che non hai»
Prima che Belvaduar lasciasse la stanza, Fleur si aggrappò al tessuto sgualcito della sua maglia, trattenendolo. Non aveva molto da dirgli, ma comprendeva il grande sforzo che aveva fatto per andarle a parlare. Non erano amici, forse non lo sarebbero mai stati, ma era fiducia quella che Billy aveva appena riposto in lei, fiducia che Lys avrebbe cercato di non deludere mai.
«Grazie, davvero»
Lui annuì e così come era venuto se ne andò sfuggente, senza dire una parola; alla fine parole in più non servivano. Si erano detti quanto c'era da dire, questo bastava.
La ragazza fece per stendersi di nuovo, quando uno scossone violento fece tremare l'intera Concordia. Susseguì il boato di un urto, quasi come se la nave si fosse incagliata in uno scoglio. Fleurdelys si alzò di scatto, affacciandosi alla finestrella circolare. Il mare era piatto e la luna ormai alta nel cielo, cosa stava accadendo? Non fece in tempo a trovare risposta che un uomo volò in acqua passandole davanti agli occhi. Urlò, scostandosi dall'oblò e indietreggiando spaventata.
Al suo grido ne seguirono altri: urla di battaglia, di terrore e dolore. Erano spade quelle che cozzavano sopra la sua testa ed erano corpi quelli che si accasciavano sul ponte in sordi tonfi. Fleur capì prima ancora di lasciare la cabina: pirati.
La Concordia era sotto attacco e lei non sapeva né impugnare una spada né combattere. Non poteva fare nulla, certo, ma non poteva rimanere con le mani in mano. Corse per i corridoi della nave mentre sopra di lei infuriava la battaglia, con il cuore assordante che quasi copriva l'amaro rumore del sangue versato. Batteva, scalciava, correva forse più delle sue gambe, preoccupato per il solo nome che rimbombava nella sua testa: Phienn. Sapeva che il capitano fosse forte, sapeva che potesse difendersi meglio di quanto lei avrebbe mai potuto fare, eppure l'ansia che provava palpitava violenta nel suo petto. Non poteva lasciarla sola, non poteva lasciare che il suo primo e unico cavaliere incontrasse la morte. Non lo avrebbe permesso, non ora che finalmente poteva dire di aver compreso cosa significasse avere un'amica.
Perché sì, Phienn era sua amica.
Sbucò nelle cucine e si nascose dietro i barili ripieni di rum. Rivolse una lunga occhiata alle scale di legno che portavano al ponte, da cui ombre si allungavano e si univano riflettendosi sul pavimento da poco lucidato. Raggiungere disarmata il luogo della battaglia equivaleva a morte certa; si guardò intorno, afferrando il primo coltello da cucina che le capitò a tiro. Non era granché come arma, ma si accontentò. Prese poi un profondo respiro, cercando di muovere le gambe tremanti verso l'uscita.
Non ci riuscì: era paura quella che la bloccava.
Era come se stesse nuotando senza muoversi davvero, come se all'improvviso il corpo fosse diventato pesante, intrappolato da rigide catene di ferro. Voleva, ma non riusciva. La scalinata era lì, a pochi metri, eppure mai a Lys sembrò tanto lontana. Si appiattì contro un barile, cercando invano di calmare il proprio respiro, e lanciò l'ennesimo sguardo disperato alla fioca luce della luna che filtrava dal piano superiore. I suoi pensieri andarono inevitabilmente a Vuxta: quanto avrebbe voluto ascoltare una sua parola di incoraggiamento, quanto avrebbe voluto sentirgli dire che sarebbe andato tutto bene. Ma Vuxta non c'era e non c'erano nemmeno le sue parole a darle coraggio.
Strinse forte il manico del coltello, tanto che le nocche le diventarono bianche per lo sforzo, e si alzò in piedi, fissando decisa le maledette scale che la separavano dal ponte. Fece un passo, poi un altro, un altro ancora, ritrovandosi a correre di nuovo verso i barili per nascondersi. Erano voci quelle che si stavano avvicinando e coloro a cui appartenevano non sembravano avere intenzioni diverse da quelle di saccheggiare e depredare il vascello mercantile.
«Siamo certi si trovi su questa nave?»
«Dubiti del nostro padrone? La sacerdotessa è qui, ne sono convinto»
Fleurdelys impallidì, portandosi una mano sulla bocca per soffocare il respiro sempre più pesante. Cercavano lei. Ancora una volta la Concordia era in pericolo per colpa sua, ancora una volta il suo passato la intrappolava in un cerchio infinito di disgrazia, lasciando che la stretta morsa della sventura colpisse chiunque le stesse accanto. Tu sei il male.
Sentendo i passi sempre più vicini si fece ancora più piccola contro il barile, raggomitolandosi su se stessa. Avrebbe voluto urlare tutta la sua frustrazione, dar sfogo alla paura che l'attanagliava. Non fece niente. Rimase ferma, immobile, in attesa e in ascolto, muta e tremante. Fleurdelys aveva paura.
«Muoviamoci, il diversivo non può durare a lungo»
Fleur sussultò, rendendosi conto che la battaglia che infuriava a pochi metri da lei non era che una distrazione. Si sentì pervasa dalla rabbia. Quanti suoi compagni stavano morendo trafitti dalle spade nemiche per difendere la Concordia? Come poteva non importare a quei disgustosi pirati delle vite di cui si stavano ingiustamente appropriando? Un diversivo, così li aveva definiti, un diversivo era quanto Phienn e gli altri erano ai loro occhi. Il coltello nella sua mano le parve improvvisamente più lucente, quasi come se l'iraconda sensazione di invincibilità, insita nell'animo umano, si fosse risvegliata anche in lei. Per un attimo, per un brevissimo istante, Fleurdelys pensò davvero di ucciderli. Bastò poco perché quel cupo pensiero svanisse alla stessa velocità con cui era comparso: bastò che i suoi occhi si scontrassero con quelli felini di uno degli uomini per rendere la giovane sacerdotessa conscia di non avere scampo. Scappò.
Si alzò in fretta e furia, grata di indossare da settimane le braghe da uomo, e scattò verso la scalinata. Corse il più velocemente possibile, corse come mai aveva fatto in vita sua, lasciando che l'istinto di sopravvivenza guidasse le sue gambe terrorizzate. Mancava poco, davvero poco, all'uscita. Se un attimo prima il suo viso era illuminato dalla luna, in quello successivo la sua schiena toccava il pavimento delle cucine. L'afferrarono infatti da una gamba, facendola ruzzolare dalle scale e cadere in terra. Un pirata la sovrastò, mettendosi a cavalcioni su di lei per non permetterle di muoversi. Rise quando Lys urlò, dimenandosi e puntando il coltello nella sua direzione, rise ancora di più quando glielo strappò di mano in un batter d'occhio. Lys prese a gridare più forte, scalciando come un cavallo imbizzarrito. Non servì a niente. Nessuno si trovava sottocoperta, nessuno la sentì e nessuno la aiutò.
«Trovata»
L'ultima immagine che Fleur vide prima che le calassero un sacco di juta sul viso, fu il ghigno terrificante del pirata. Buio. Solo il nero ora le restava, misto alla triste consapevolezza che Vermund Crasteba avesse vinto. Era nelle sue mani.
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