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31- Complicazioni

Il lungo mantello blu notte ricadeva sul corpo asciutto di una donna, che impettita camminava verso l'entrata ovest del palazzo reale. Il volto nascosto dall'ombra del cappuccio era teso, rigido quanto la postura dritta e altezzosa, ansioso riguardo la promessa che Vermund Crasteba ancora non aveva mantenuto. I soldati di guardia allo sfarzoso ingresso la lasciarono passare, altri si preoccuparono di scortarla nei lunghi corridoi del Sinjeon.

Più la donna si guardava intorno e avanzava, più un senso di oppressione sembrava schiacciarla: aveva come l'impressione che, ad ogni suo passo, le pareti del castello si avvicinassero e l'alto soffitto si abbassasse, quasi come se il volere degli dèi fosse quello di fermarla, di impedire che incontrasse nuovamente l'uomo che stava mandando in rovina lei e la sua pazienza. In cinquant'anni aveva provato qualcosa di simile solo durante la Battaglia dei Mille, quando in piena adolescenza ascoltava di nascosto i discorsi dei capitani che si riunivano nel salotto di casa, il terrore di perdere tutto, le sue ricchezze, le sue isole e soprattutto le persone a lei più care. Alla fine, Sir Julian Prouse, suo padre, era morto, così come Hermann e Simon, i suoi amati fratelli maggiori, nella stessa guerra che tanto volevano combattere.

Col passare del tempo, raccogliendo le lacrime della sua famiglia, si era indurita, niente era più riuscito a scalfire il suo cuore, nemmeno le morti premature delle sorelle o quella della madre, che dal dolore si era lasciata morire permettendo al Dio Luna di accogliere la sua triste anima. Prima uno, poi l'altro, gli dèi le avevano portato via tutti, lasciandola sola, abbandonata a se stessa, costretta a gestire un enorme patrimonio e a proteggerlo dall'avidità di nobili e mercanti, avvoltoi in cerca di soldi e fortuna. Per anni aveva creduto che nulla potesse ferirla ancora, che il suo cuore fosse ormai abituato a qualunque sofferenza; poi però si era innamorata ed ecco che le vecchie ferite si erano riaperte, affiancate dalle nuove, nate da un amore illusorio e non corrisposto.

Le guardie aprirono le porte di legno massiccio, invitandola a entrare. Se il resto del Sinjeon sembrava abbandonato alle sole cure della servitù, la sala del trono era viva come non mai: capitani, soldati e mercanti bevevano da calici di cristallo il vino più ricercato del regno, discutendo di affari o palpeggiando le povere serve che si aggiravano tra gli ospiti per servirli e riverirli. Vermund Crasteba sedeva sul trono e osservava i suoi sudditi con attenzione, deliziandosi delle loro parole e dei loro capricci; di tanto in tanto rideva, sminuendo qualche nobile e suscitando le risate degli altri. La donna rimase disgustata dalla comica scenetta, dalla negligenza con cui, incuranti dei propri sprechi, quegli uomini mangiavano e bevevano, giocavano e scommettevano, quando il popolo, così loro vicino, pativa la fame e si ammalava. Non nascose il ribrezzo dipinto sul volto e si schiarì la voce, attirando così l'attenzione di quel branco di lupi affamati di denaro. Il suo sguardo affilato si incastrò negli occhi cristallini di Vermund, rifiutandosi di portargli rispetto; mai aveva chinato il capo davanti a Dionne Skysee, legittima sovrana delle Terre Volanti, perché iniziare con un usurpatore?

«Sire» disse solo, cercando di non scatenare la furia del mercante ancor prima di avanzare con la sua richiesta. Non aveva alcuna intenzione di spezzare quella fragile armonia venutasi a creare e tantomeno voleva inimicarsi l'uomo più potente di ben due regni. Doveva essere cauta e agire con astuzia.

«Signora Sorgüt, cosa vi porta al mio cospetto?» domandò Vermund, scocciato dalla sua presenza. Sorrise comunque, schernendola velatamente.

«Lo sapete, mio sire» continuò, alzando il tono della voce «Sto continuando a finanziare il vostro esercito come richiesto, eppure mio marito e mio figlio ancora non sono tornati a casa. Posso chiedervi il motivo?»

Avrebbe voluto urlargli contro, afferrare una spada e ucciderlo seduta stante, eppure placò la sua ira, comportandosi così come sua madre le aveva insegnato anni e anni prima. Non aveva compreso subito perché Vermund avesse deciso di risparmiare lei e Katarina, la fidanzata di suo figlio; durante la notte della Spada Rossa le famiglie di soldati e capitani che non avevano aderito al colpo di stato erano state brutalmente uccise, testimoni indiretti eliminati prima ancora che potessero anche solo preoccuparsi dell'assenza di figli, fratelli o mariti.

Quando però il servo del mercante era giunto alla sua porta, annunciando l'offerta del nuovo sovrano, tutto le era parso più chiaro: soldi in cambio della vita di Ejel e Michael, un aiuto economico per sostenere i progetti del nuovo reame. Non che a Crasteba il denaro mancasse, al contrario, necessitava di una figura dell'alta nobiltà che appoggiasse la sua causa, così da tenere a bada gli animi più incerti e restii. Aveva accettato, come c'era da aspettarsi da una buona moglie e una brava madre, era persino andata oltre il volere stesso del re, tradendo quelli che erano i valori morali di Ejel Sorgüt. I suoi sforzi non erano serviti a niente. L'assenza di notizie riguardanti la sua famiglia la faceva infatti arrabbiare, forse più degli sguardi stessi che il marito dedicava alla vecchia regina. Li rivoleva indietro, rivoleva al suo fianco gli uomini più importanti della sua vita, anche se questo avesse significato mandare in rovina il regno delle Terre Volanti.

«Non preoccupatevi, cara Anne, la vostra famiglia sta bene, la rivedrete molto presto» rispose lui con sufficienza.

«Mi avete rivolto le stesse parole per settimane, ma non noto cambiamenti.»

Il mercante sospirò, alzando gli occhi al cielo e schioccando le dita. Una serva gli fu subito accanto, versando nel calice ormai vuoto altro vino. Si leccò le labbra, non distogliendo mai lo sguardo dai piccoli occhietti neri di Anne Sorgüt, furenti e colmi di un odio tale che per Vermund non erano che l'ennesimo divertimento.

«Vi propongo un patto»

«Vi ascolto» fece dura lei, non nascondendo il fastidio per l'ennesima promessa: parole, parole al vento, ecco di cosa si cibava l'uomo che sedeva sul trono con tanta vanità.

«Portatemi qualcosa, qualunque cosa che dimostri la vostra fedeltà, e io vi prometto che rivedrete vostro marito e vostro figlio»

«Non mi basta rivederli, li voglio al sicuro, a casa, con me»

«Così sia allora! Adesso vi pregherei di andarvene, voi donne mi fate venire il mal di testa»

Anne non sorrise né si inchinò. Si voltò, con il mento alto e la fierezza di una nobildonna, e uscì dalla sala del trono, lasciandosi alle spalle quegli animali che non poteva neanche definire uomini. Volpi, ecco cos'erano, volpi furbe e scaltre, pronte a catturare ogni occasione le portasse ad arricchirsi. Uscendo, si scontrò con un uomo. Lo riconobbe subito: Henry Guernset, uno dei capitani con cui suo figlio Michael era cresciuto nell'ambito militare, tanto da definirlo uno dei suoi migliori amici. Vederlo lì, con gli occhi bassi e colpevoli, le fece venire il mal di stomaco. Se Henry cercò un contatto visivo con Anne, lei evitò appositamente il suo sguardo con freddezza, superandolo.

«Allora? La sarta?» domandò Vermund Crasteba, prima che le porte della sala venissero chiuse.

Non riuscì ad ascoltare le parole del capitano, ma quell'unica domanda le riportò alla mente la conversazione tenuta con Dionne Skysee il giorno stesso della tragedia, prima che il colpo di stato effettivamente avvenisse. La preoccupazione nascosta della regina alla vista del foulard di Katarina, l'urgenza di lasciare la riunione, la successiva scomparsa di Fleurdelys Skysee. Ora tutto aveva un senso, il foulard era la chiave di lettura: la sarta, era lei che doveva trovare.

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Fleurdelys sospirò scocciata, lasciandosi cadere all'indietro sulla scomoda branda.

«Ho perso,» realizzò «di nuovo»

La risata cristallina di Phienn risuonò nell'abitacolo e la sacerdotessa alzò gli occhi al cielo, lanciando un'altra volta i dadi sul piano di legno. Perse di nuovo e il capitano rise più forte.

«Fosse solo un gioco di fortuna ad oggi non sarei la miglior giocatrice della Concordia» cercò di tranquillizzarla «Ci sono diverse strategie per vincere»

«E quante ne avresti usate contro di me?» chiese lei, spostandosi i capelli con fare altezzoso.

«Nessuna»

L'espressione incredula di Fleurdelys strappò l'ennesimo sorriso all'altra. «Allora, Lys» ridacchiò Phienn «direi che non possiamo più rimandare la nostra conversazione, non sei d'accordo?»

Fleur raddrizzò la schiena, sedendosi compostamente e schiarendosi la gola.

«Sono d'accordo»

«Lascio a te l'onere, mia signora» la prese in giro Phienn; poi si alzò, afferrando la pipa dalla scrivania e aprendo la finestrella circolare della sua cabina.

Fumare la rilassava e, per quanto tentasse di nascondere dietro un sorriso la propria agitazione, in quel momento ne aveva un disperato bisogno. Non lo avrebbe mai ammesso, ma i sensi di colpa per il gesto compiuto nei confronti di Fleurdelys Skysee erano più forti che mai, soprattutto ora che, finalmente, stavano cercando di conoscersi meglio, imparando ad apprezzare l'una le qualità e i difetti dell'altra. Non ci volle molto perché la principessa ponesse la prima domanda. Nonostante anche Fleurdelys ostentasse calma e pacatezza, il suo animo moriva dalla voglia di avere risposte concrete.

«Come hai capito ci fosse Vermund Crasteba dietro la mia fuga?»

Phienn sospirò, non affatto sorpresa da quanto Lys volesse sapere. Rispose, non nascondendo una certa sofferenza nel tono della voce.

«Ha promesso ai mercanti il doppio di quanto sui giornali avrebbe offerto la corona. In un primo momento ho dato per scontato volesse lui stesso riconsegnarti e ottenere maggiori favori, data la sua posizione da rappresentante della classe media»

Si girò verso Fleur, che seria la osservava con i grandi occhioni puntati sulla sua figura. Stese le labbra, aspettando pazientemente che il capitano continuasse.

«Prima di vederti piangere per tua madre, credevo fossi scappata dalle Terre Volanti per un capriccio; solo dopo ho capito fosse accaduto qualcosa nel tuo regno. A quel punto la ricompensa di Crasteba non aveva più lo stesso significato: perché cercare così disperatamente una principessa? Perché promettere una somma tanto consistente di denaro? La realtà è che per lui sei un problema»

«So dei tuoi debiti, perché non consegnarmi e pagarli? Non avevamo alcun legame, detto francamente neanche ti sopportavo» ammise Fleurdelys senza giri di parole.

Non era un segreto, tutti sulla Concordia erano a conoscenza delle ingiurie che la ragazza dedicava a Phienn durante il lavoro. Phienn rise, scuotendo la testa.

«Non l'ho fatto per te, ma per me» una nuvola di fumo uscì dalle sue labbra dischiuse, disperdendosi nella cabina «Non ho un buon rapporto con l'indole di queste terre, ho solo evitato di diventare come tutti gli altri: schiava del potere e dei soldi»

«Le Terre di Mezzo sono davvero così...?»

«Così corrotte? Sì.» sospirò «Molti di noi non hanno mai conosciuto una vita tranquilla. Cresciamo rubando, mangiando gli avanzi dei ricchi, imparando a non fidarci di nessuno, nemmeno dei nostri cari o di quelli che chiamiamo amici» chiuse gli occhi, continuando il discorso «Vivendo con August nelle Terre Volanti ho compreso che sopravvivere non equivale a vivere, per questo sono tornata nei mari, a cavalcare le onde. Voglio portare speranza a questa gente, dar loro un motivo per cui lottare» si fermò, ora guardandola negli occhi.

«Non mi aspetto che qualcuno capisca, ma questo è il senso che ho voluto dare alla mia esistenza»

«Non aiutarmi avrebbe significato tradire te stessa» concluse Fleur. Era la prima volta che riusciva a vedere il capitano sotto una luce diversa.

Phienn annuì e la pipa si spense.

«So che ti stai chiedendo perché ti abbia riconosciuta come mia sovrana»

Fleur si ritrovò ad arrossire, sorpresa di come Phienn fosse riuscita a capire perfettamente ciò che pensasse. Non le era mai capitato, neanche con Vuxta, che qualcuno comprendesse così facilmente ciò che occupava i suoi pensieri. Rimase sorpresa, ma cercò di non darlo a vedere.

«Non so dirti il motivo, ma credo che August avesse capito chi fossi. Chiedendomi di accompagnarti è come se mi avesse chiesto di guidarti come lui ha fatto con me in passato» sorrise «Ammetto di rivedere molto della bambina che ero a quel tempo in te»

«Ti prego, non dirmi anche tu che devo crescere» rispose affranta Fleur, sospirando.

La reazione di Lys la fece scoppiare a ridere, una risata genuina e affettuosa. Rispose con schiettezza, parole vuote di cattiveria.

«È vero, devi crescere» confermò Phienn «Ma già lo stai facendo» si avvicinò, scompigliandole i capelli «Chiunque ti facesse presente questo, sarebbe fiero di vederti oggi»

Quelle poche parole riempirono il cuore di Fleurdelys di una gioia indescrivibile. Non riuscì a distogliere lo sguardo dalle chiare iridi di Phienn, dalla mano ancora poggiata sulla sua testa. L'azzurro dei suoi occhi era diverso da quello di Vermund: se quello del mercante era freddo come il ghiaccio, quello di Phienn le ricordava il mare, mille sfumature di calma, ma anche di burrasca, emozioni contrastanti, legate a un passato di sofferenza e a un presente colmo d'amore.

Lesse negli occhi del capitano un immenso sentimento di orgoglio, a lei indirizzato, un orgoglio proveniente dall'intera Concordia, di cui Phienn era il fulcro. Phienn era il cuore del vascello e il battito dei mari, era umiltà, bontà e forza, senza traccia alcuna d'arroganza. Phienn era il suo primo cavaliere, la donna a cui August l'aveva affidata, l'amica che sempre le era mancata e ora poteva affermarlo con certezza. Quelle parole, quelle semplici parole, fecero tremare l'animo di Lys; le sigillò nei propri ricordi, custodendole quasi con gelosia, sentendosi realmente apprezzata, forse per la prima volta nella sua vita, per qualcosa che andava ben oltre la bellezza delle Skysee o il ruolo che occupava. Come il Dottor Lamtr, Phienn riuscì a renderla orgogliosa di se stessa.

La porta della cabina si spalancò. Phienn tolse di scatto la mano dai suoi capelli, mentre Fleur si scostò, quasi come se volesse preservare quel contatto come un qualcosa di unico tra lei e il capitano della nave.

«Non vorrei interrompere, ma abbiamo due problemi» Belvaduar, sulla soglia, guardò le due donne con apprensione. Lo sguardo solitamente impassibile e insofferente di Billy era sparito.

«Lys, Lamtr ha bisogno di te, James...» non finì la frase, rivolgendosi a Phienn «Capitano, c'è una tempesta in arrivo»

Si lanciarono una breve occhiata d'intesa, poi lasciarono la cabina, correndo in direzioni opposte: Phienn verso il cassero, Fleurdelys sottocoperta, entrambe con una grande responsabilità nelle mani.

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