3- Lo Shikiten (II)
La stanza del Sinjeon, allestita per la riunione con i rappresentanti del popolo, era semplice ma accogliente. Un fresco venticello penetrava dalle finestre ad arco, affacciate sulla terrazza, e faceva di tanto in tanto svolazzare le bianche tende di lino, dello stesso colore delle pareti e dell'alto soffitto. Addobbata con eleganti tappeti e cuscini colorati sul pavimento, presentava solo un basso tavolino di legno, in mezzo la brocca d'acqua calda per il tè. La sala non era tanto diversa dalle altre stanze del castello, la semplicità di Dionne che si rifletteva nell'arredamento minimalista. Nei suoi anni di regime aveva lasciato inalterati solo due ambienti: la biblioteca, un labirinto di cultura e sapere dove scaffali e innumerevoli libri si incrociavano con altrettante scale a chiocciola, e la grande sala del trono, che da un lungo ventennio era visitata dalla sola servitù.
Fleurdelys fu la prima ad entrare. Si sedette accanto alla madre, che come sempre l'avrebbe affiancata nella discussione, e aspettò che i tre uomini facessero lo stesso.
La classe sociale che più preoccupava Dionne non era né quella alta né quella bassa. La media, costituita principalmente da mercanti che viaggiavano in due dei tre regni per vendere e comprare merci d'ogni tipo, era quella più testarda e corrotta dal denaro. A differenza di quella alta, formata da pochi ricchi proprietari terrieri e dai soldati dell'esercito, la classe media pretendeva sempre di più. Era inoltre quella che si arricchiva maggiormente durante la stagione secca: il mercato permetteva infatti la sopravvivenza del popolo che, mentre il resto dell'anno coltivava e si nutriva con parte dei propri prodotti, in estate era costretto a comprare presso i commercianti per non morire di fame.
Fleurdelys sottovalutava il problema, Dionne invece sapeva bene cosa significasse non averli dalla propria parte. Sebbene i mercanti fossero solo un pilastro di quella società, erano forse coloro con più potere, astuzia e scaltrezza tra le mani.
Il primo a prendere parola fu il rappresentante della classe sociale alta, Ejel Sorgüt. Ex generale dell'esercito delle Terre Volanti, da sempre fedele alla famiglia reale, continuava ad avere una certa influenza nonostante avesse smesso di operare sul campo. Aveva lasciato la carica al suo primo figlio appena compiuti i cinquant'anni, ma finché non fosse morto non avrebbe mai smesso di servire come poteva la sua amata sovrana. Indossava la classica tenuta da riposo dell'esercito, una tunica blu che baciava la pelle scura delle braccia esposte. I lunghi capelli grigi, un tempo biondi cenere, ricadevano davanti al volto scavato, i segni dell'età evidenti e le rughe intorno agli occhi neri.
«Mia regina, sacerdotessa» si inchinò, prendendo posto su uno dei cuscini.
I rappresentanti del popolo raramente cambiavano, quell'anno però ne era stato eletto uno nuovo per la classe mercantile: Vermund Crasteba era conosciuto da tutti, sia di fama che di persona. Era un cittadino delle Terre Volanti da poco tempo, un mercante proveniente dalle Terre di Mezzo che si era stabilito nel regno per cambiare aria. Amava raccontare le sue avventure tra i tre regni, in particolare dei suoi scambi illegali con le fertili Terre Montagnose. Aveva circa trent'anni e nei suoi occhi azzurri, tipici del luogo in cui era nato e cresciuto, brillava una luce di pura curiosità nei confronti delle due donne.
Era la prima volta che poteva osservarle così da vicino. Il suo sguardo cadde inevitabilmente su Fleurdelys, tanto simile alla madre e al contempo così differente. Che fosse bella era evidente, ma Vermund pensò subito che quella bellezza non fosse dovuta ai tratti del viso dolci e delicati, tantomeno al portamento elegante e seducente che caratterizzava ogni suo gesto. Era il verde dei suoi occhi ad aver catturato la sua attenzione, occhi che non guardavano mai le persone interessate ma un punto fisso tra loro.
«Benvenuto tra noi, signor Crasteba, complimenti per la vittoria, la classe media pende dalle vostre labbra» Dionne sorrise, ma non era contenta fosse stato eletto come rappresentante proprio un mercante delle Terre di Mezzo. Non solo per il passato burrascoso che la riguardava, ma soprattutto perché riteneva non potesse rappresentare pienamente il popolo. Un abitante di un altro regno avrebbe davvero agito solo nell'interesse delle Terre Volanti? La regina lo dubitava.
«Vi ringrazio, mia signora. Iniziamo?» Vermund rispose al sorriso di circostanza, marcando appositamente il suo accento straniero. Sapeva di non avere il suo appoggio nonostante avesse vinto legalmente -o quasi- le elezioni.
Un colpo di tosse e l'attenzione dei presenti ricadde su Clarke Ross, voce degli allevatori, dei contadini e di tutti coloro che svolgevano occupazioni umili.
«Mia regina, sacerdotessa, se mi permettete avrei una questione urgente di cui informarvi»
Dionne gli fece un cenno e Clarke si schiarì la voce, gli occhi scuri nascosti sotto l'ombra del cappello.
«Le terre a nord, quelle più vicine al sole, sono già secche, due settimane in anticipo rispetto al normale, e presto lo saranno anche molte altre» sospirò «In molti si sono spostati nella Capitale, ma temo che senza il vostro aiuto la situazione diventerà presto ingestibile»
Fleurdelys si ritrovò a squadrare il rappresentante della classe bassa con eccessiva curiosità. Ogni anno vedeva in lui qualcosa che stonava, eppure non riusciva mai a capire di cosa si trattasse. Portava i capelli castani corti, sotto un cappello che mai gli aveva visto togliersi, e larghi vestiti di semplice cotone. Le ciglia corte ma folte contornavano due pozze nere e il naso a patata gli regalava tratti infantili. La pelle bronzea, caratteristica della maggior parte degli abitanti delle isole del cielo, era in realtà leggermente più chiara, ma da anni ormai Fleur non ci faceva più caso: erano lei e Dionne, con il loro bianco diafano e le iridi smeraldo a stonare in quelle terre, non di certo Clarke Ross con tutti i tratti tipici della popolazione.
«Vi ringrazio, signor Ross» proferì, lo sguardo fisso sul volto privo di peli.
«Se mi è permesso, mie signore, la situazione per noi nobili non è migliore. Sempre meno soldi vengono investiti nelle cause militari, necessarie per il mantenimento dell'esercito, e in molti lamentano debiti verso la classe mercantile. Temo che pochi riusciranno a coprire le spese per l'intera stagione se il gioco d'azzardo e la compravendita di oggetti del Vecchio Mondo non verranno regolamentati»
Ejel lanciò una rapida occhiata a Vermund, occhiata che solo Dionne riuscì a cogliere. Era chiaro che ormai i ricchi del regno fossero i mercanti, fedeli al solo denaro. Chi a quel punto avrebbe finanziato l'esercito?
«Voi nobili non conoscete vie di mezzo, la colpa non è di certo nostra, generale» lo punzecchiò l'altro, gli occhi ancora puntati sulla giovane sacerdotessa, che persa nei suoi pensieri si limitò ad annuire.
Non le interessavano le problematiche del regno, non realmente; fingeva solo così fosse, il tempo di concludere la noiosa riunione e tornare alle sue altrettanto noiose giornate.
«E voi, signor Crasteba, avete richieste per la classe media? O volete far luce su alcuni avvenimenti?» intervenne Dionne, infastidita da come il mercante delle Terre di Mezzo avesse velatamente attaccato un suo leale suddito e soprattutto un suo caro amico.
«No, la classe media supererà anche quest'anno la stagione secca senza problemi» rispose lui, un sorriso tirato disegnato sulle labbra «Vorrei però, mia signora, azzardare con una richiesta che forse vi suonerà un po' audace. Vorrei consigliarvi di guardare oltre le Terre Volanti. Certo, i vostri mercanti sono senza dubbio attivi nelle Terre di Mezzo, ma se il commercio riaprisse anche con le Terre Montagnose sono certo che non avreste tutte queste problematiche. Quale miglior modo di un matrimonio? Magari con qualcuno delle Terre di Mezzo, influente anche nelle Terre Montagnose...»
Fleurdelys quasi si strozzò con il tè che stava sorseggiando, le mani che iniziarono a tremarle nervose. Le nascose sotto il tavolino, ascoltando ora il discorso con interesse, lo sguardo immobile sulla madre che soddisfatta non tardò a rispondere.
«Perché accontentarsi di un mercante delle Terre di Mezzo, per lo più abitate da pescatori e pirati di mare, chiamati erroneamente commercianti, quando nel regno delle Terre Montagnose c'è un principe disposto a sposare mia figlia? Non solo si recupererebbero e consoliderebbero i rapporti mercantili, ma soprattutto cesserebbero quelli ostili, nati e mantenuti dopo la Battaglia dei Mille. Dopo trent'anni di puro silenzio sulla questione sono giunta alla conclusione che è bene riunire sotto la stessa corona due regni così potenti» sorseggiò il tè, gustandosi la pausa e l'espressione sorpresa di Crasteba.
Poi aggiunse: «D'altronde le Terre di Mezzo, seppur indipendenti, sono sempre sotto il nostro dominio; il mio matrimonio servì a ciò alla fine, rinnovare un contratto di pace tra due terre confinanti e ampliare il mio regno. Non disponete di un re, di un esercito, avete solo la vostra merce a proteggervi»
«Matrimonio durato meno di un mese» puntualizzò Vermund, chiaramente stizzito.
«Matrimonio da cui abbiamo ottenuto un erede, figlia del sangue di entrambi i regni»
Fleur si ritrovò a trattenere il fiato, il cuore che all'improvviso aveva iniziato a batterle furioso nel petto. Si costrinse a tacere sulla snervante faccenda, in parte per non distruggere la maschera costruita con tanta fatica negli ultimi anni. Non aspettò però oltre, impedendo che la discussione si prolungasse ancora, e si alzò in piedi, mettendo fine a quei discorsi che reputava del tutto inutili.
«La riunione può dirsi conclusa» invitò i tre uomini a uscire, la rabbia che nel mentre le ribolliva nelle vene.
Dionne capì che la figlia avrebbe dato inizio a una delle solite polemiche riguardanti la propria libertà, la propria vita e il diritto di scegliere con chi, dove e quando stare. Non aveva alcuna voglia di ascoltare le sue lamentele, così si preoccupò di chiamare in privato Clarke Ross, invitandolo laddove orecchie e occhi indiscreti non avrebbero potuto sentire e vedere.
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Il giardino privato del Sinjeon era il luogo più tranquillo di tutto il castello; delineato da quattro portici, che andavano a formare un rombo perfetto, il giardino si vedeva circondato da colonne marmoree, i fiori di Kelijer che si arrampicavano su esse con i loro grandi petali aranciati. Al centro del cortile c'era il Kroaght, il sacro albero che metteva radici nel cuore dell'isola volante; come i rami di un salice quelli del Kroaght s'abbassavano verso l'erba curata, un tentativo forse d'abbracciarla e sentirsi con essa un unico tutt'uno, e quasi a contrastarli il tronco si estendeva verso l'alto, eretto, il colore che toccava le sfumature del marrone più scuro. Se Dionne pregava sotto la sua chioma almeno una volta al giorno, lo stesso non si poteva dire di Fleur.
Non era la prima volta che Clarke Ross faceva visita all'albero della Dea Terra, cui l'accesso era negato persino all'esercito.
«Finalmente» esclamò, togliendosi il cappello e la parrucca, una cascata di riccioli scuri che si riversò sulle sue spalle. «Stai attenta a quel Vermund, Dionne, avverti anche la principessina, quell'uomo è pericoloso. Come può la nostra gente non accorgersi delle sue intenzioni? I pirati delle Terre di Mezzo sono subdoli, fidarsi di loro è una pessima idea»
«Sai quanto siano avidi i mercanti, sicuramente ha dato loro denaro... Soldi e promesse»
«Tipico della gente delle Terre di Mezzo»
Dionne sospirò. «Quanto sa del mio matrimonio?»
«Quello che sanno tutti probabilmente, non credo tu debba preoccuparti di questo. Piuttosto... Fleurdelys? Dovrai riuscire a convincerla. Farle sposare il principe delle Terre Montagnose? Come ci sei riuscita?»
«Anni e anni di lettere, alla fine re Leofric ha ceduto. Ciò che mi preoccupa non è il matrimonio in sé, ma Fleur. Non è pronta per essere regina e il matrimonio, seppur non immediato, la porterà a esserlo»
Dionne si rattristò al pensiero di Leofric, l'affetto che leggeva nella sua scrittura elegante. Forse in occasione del matrimonio si sarebbero finalmente riusciti a incontrare.
«Oh, Dionne, certo che non lo è! Tu lo eri alla sua età?»
Dionne scosse la testa. «Io avevo l'aiuto e l'appoggio degli dèi. Non si sono mai mostrati a lei, Rossana, Fleur non crede nemmeno nella loro esistenza. A cosa pensi sia dovuta questa siccità di cui mi parli? Il Dio Sole è arrabbiato e deluso, deluso profondamente. Lei...»
«La situazione è grave allora. Molto»
La donna, coetanea di Dionne e sua migliore amica da ormai vent'anni, si sedette sul prato, seguita a sua volta dalla regina. Dionne chiuse gli occhi, poggiandosi come d'abitudine sulla spalla di Rossana, il familiare profumo di miele dei suoi scuri ricci che la fece subito sentire a casa. Il legame che le univa era forte, indistruttibile, l'una si fidava dell'altra, tanto che la classe sociale non era mai stata motivo di divisione o un ostacolo per la loro amicizia: si rispettavano e amavano per ciò che erano, al di là di ogni possibile convenienza. Ne avevano passate tante insieme e Rossana Clarkish era sempre stata un punto d'appoggio per Dionne Skysee.
Clarke Ross, leader carismatico e rappresentante del popolo più povero, non era altro che gli occhi, le orecchie e le gambe della regina stessa. La gente si fidava di lui, gli rivelava segreti e informazioni. Era questo di cui si occupava Rossana. Si divideva in due ottimi personaggi: la sarta e l'uomo. Una ascoltava i pettegolezzi delle donne, che non riuscivano a sigillare la bocca neanche riguardo gli affari privati dei propri mariti -contadini, mercanti e soldati- e l'altro sosteneva e dava voce ai problemi e ai pensieri della classe bassa.
Rossana era il braccio, Dionne la mente. Si completavano alla perfezione e se il regno della seconda in tutti quegli anni era stato così forte e prospero, il merito era di certo anche della prima che, con i suoi consigli e i suoi avvertimenti, aveva sempre messo in guardia la regina da eventuali pericoli.
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Fleurdelys sospirò spazientita, adirata nei confronti della madre per quel matrimonio a cui prima di quel giorno mai aveva accennato. Percorreva con i pugni chiusi i corridoi che l'avrebbero portata alla sua stanza, dentro sé il forte desiderio di sfilarsi l'abito cerimoniale, distruggere la pettinatura e togliersi dal viso quegli strati di trucco che non la facevano sentire se stessa. Voleva liberarsi della figura della sacerdotessa il prima possibile. Così fece appena spalancò le porte delle sue stanze private: disfò la treccia in fretta e furia e si strappò il vestito di dosso, abbandonandolo per terra come se nulla valesse.
Sussultò quando si accorse di una figura seduta sul letto, che famelica la guardava, studiando ogni centimetro del suo corpo esposto. Fleur assottigliò lo sguardo, avvicinandosi quindi con passi lenti e provocatori.
«Come siete entrato?» domandò, un sorrisetto sinistro disegnato sulle labbra.
«Durante il cambio del turno di guardia, principessa» rispose l'uomo, inchinandosi e rimanendo in ginocchio.
Fleurdelys gli alzò il mento con un dito, voleva guardarlo negli occhi, voleva che lui la guardasse. Vermund Crasteba la fissava con venerazione, lo sguardo infuocato di desiderio; era rimasto incantato da quella ragazza nella stessa sala della riunione e ora lei era riuscita addirittura a sorprenderlo. Non si aspettava di certo un'accoglienza del genere: poter contemplarla così, seminuda, a quella vicinanza, lo mandava in completa estasi.
«Immagino abbiate qualcosa da dirmi» sibilò Fleur, la barba appena accennata del mercante che le solleticava i polpastrelli.
Vermund si ritrovò a balbettare per la prima volta nella sua vita. Completamente inebriato dalla forte presenza di Fleurdelys Skysee, si dimenticò la ragione per cui voleva parlarle in privato, il motivo che lo aveva spinto a intrufolarsi nelle sue stanze. Rimase zitto, le labbra dischiuse, chiedendosi dove fosse finita la sacerdotessa pacata che aveva appena terminato una così importante cerimonia.
«Dunque vi trovate qui, a disturbarmi, senza una valida motivazione?» continuò lei, divertita, la mano che avida accarezzava il viso del mercante, percorrendo prima la sua mascella e scendendo poi sul collo e le spalle.
Crasteba parve riscuotersi dal suo stato di trance solo in quel momento. Sorrise malizioso, afferrando le natiche della giovane, che seria lo osservava dall'alto, curiosa della sua prossima mossa.
«Permettetemi allora di darvi piacere, mia signora, per farmi perdonare del disturbo»
Un gemito uscì dalle labbra di Fleurdelys.
Il primo di molti altri a venire.
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