2- Lo Shikiten (I)
Immersa nella vasca da bagno Fleurdelys guardava oltre la finestra, lo sguardo puntato sulle isole nel cielo e il pensiero rivolto alla vicina cerimonia. Cercava invano di distrarsi, concentrandosi sul tocco di Krystel e Jezrabelle, le sue dame, che nel mentre le massaggiavano la chioma corvina con delicatezza.
Nonostante le tre ragazze fossero cresciute insieme, tra loro c'era un certo distacco. Fleur era la sacerdotessa, la messaggera degli dèi, non poteva mescolarsi con la gente comune perché un gradino più in alto, lontana dal mondo terreno e dalla sua immanenza. Era qualcosa che Fleurdelys non concepiva, che disprezzava. Era per colpa di tutto ciò che lei rappresentava che non aveva nessuno, che era sola.
«È una bella giornata» constatò, la voce distante.
Come al solito, le dame non le risposero.
Fleur detestava il silenzio. L'assenza di suoni e parole era un continuo promemoria della sua triste solitudine e l'atmosfera di puro dovere la trovava soffocante quanto un cappio intorno al collo. Trattenne un sospiro e si alzò, cercando di scacciare quella sensazione, le gocce d'acqua che scivolarono sul seno coperto dalle onde dei neri capelli.
Con un panno intorno al corpo, si sedette sullo sgabello, aspettando. Fleurdelys aspettava sempre.
Le dame cosparsero prima la sua pelle di un profumato olio, in seguito si occuparono della scura chioma, acconciandola come di tradizione: una particolare treccia partiva dal capo, incastrando alla perfezione ogni singola ciocca, il solo ciuffo che incorniciava il viso lentigginoso di Fleur. Tra i suoi capelli si trovavano piccole campanelle argentate, stelle che brillavano nel buio e che tintinnavano a ogni suo movimento. Krystel si occupò quindi del trucco, coprendo il volto di strati di fondotinta; le palpebre si tinsero presto di nero, mettendo in risalto le iridi verdi uguali alla madre, mentre le labbra carnose di rosso. Una serie di brillantini furono infine sparsi sulle braccia e sulla schiena, uniche parti del corpo che il vestito cerimoniale lasciava scoperte.
Fleur si alzò di nuovo, congedandole.
Guardò le due damigelle chinare il capo e uscire, forse grate di aver terminato in fretta il loro compito. Non le capiva. Prima del suo diciottesimo compleanno trascorrevano interi pomeriggi a spettegolare, da bambine giocavano senza pensieri nei cortili del castello, per anni le aveva considerate le sue più care amiche. Era cambiato tutto nel giorno dell'investitura, quando Fleurdelys era diventata la sacerdotessa. Non riusciva a comprendere perché essere la messaggera degli dèi significasse rinunciare a tutto il resto, non capiva perché gli altri dovessero trattarla diversamente, gli occhi bassi che mai incrociavano i suoi. Fleur sapeva solo che la loro amicizia non c'era più o che forse mai era esistita.
Cosa poteva fare lei se non sopportare? Persino durante il sesso d'altronde nessuno osava ricambiare il suo sguardo, il volto comunque perso in un'adorazione che Fleurdelys mai aveva compreso.
Senza sapersi rispondere osservò l'abito rosso. Ne sfiorò il morbido tessuto e si ritrovò a sospirare per l'ennesima volta, indossandolo. Non si soffermò davanti allo specchio; non aveva alcuna intenzione di guardarsi, di guardare quella ragazza, quella donna che riteneva e sentiva lontana.
Ogni anno, quando prendeva le vesti della sacerdotessa, non si sentiva se stessa. Una parte di lei veniva soppressa per dare vita a una figura che il suo popolo voleva, figura che esisteva da sempre, dalla creazione delle Terre Volanti, figura in cui lei non credeva. Fleurdelys era così: non credeva se non vedeva e ironicamente il destino aveva voluto che le sorti del regno e la predicazione dei cinque dèi toccassero proprio a lei. Era di sicuro la prima sacerdotessa a odiare lo Shikiten, la grande cerimonia che anticipava l'estate.
Lo Shikiten si svolgeva una volta l'anno, ma non era solo una festa in onore del Dio Sole. Si trattava infatti di un evento estremamente religioso, una tradizione che da millenni riuniva il popolo delle Terre Volanti nella Capitale per assistere al culto dei cinque dèi.
Prima di uscire dalla stanza si preoccupò di accendere le candele che poggiavano sui davanzali di marmo. Respirò il loro profumo di rosa quasi con disperazione, perdendosi per qualche istante nelle rosse scie della fiamma. Doveva sopportare solo qualche ora, si disse, solo per poco. Quindi uscì, ignorando le guardie appostate fuori dalla porta, e camminò verso il tempio vero e proprio. Ormai era quasi ora.
La madre l'accolse nella sacra struttura, luogo in cui sorgevano le statue delle divinità. Il tempio era piccolo, eppure era la stanza del Sinjeon più preziosa: le pareti erano alte, il soffitto che si alzava nel punto centrale per via del tetto a punta. Bianco e oro erano i colori dominanti e il legno del pavimento veniva ripreso dai cornicioni dei muri e dell'unica finestra presente. Al centro della stanza sorgeva la statua del Dio Sole, al suo fianco quelle dei suoi quattro fratelli: a destra si trovavano la Dea Terra e la Dea Acqua, a sinistra il Dio Vento e il Dio Luna. Tutte erano perfettamente visibili dalla città ai piedi del palazzo, i portoni d'oro che aperti permettevano ai fedeli di ammirarle.
Fleur lanciò una breve occhiata alle cinque statue di marmo, la profonda indifferenza che non lasciò il suo viso nemmeno quando raggiunse i cofanetti contenenti i simboli sacri. Si chiese come potessero essere dèi quei visi scolpiti e così umani, costringendosi poi a sigillare i propri dubbi nel cuore. Indossò quindi la solita maschera di freddezza e iniziò a liberare gli oggetti dal proprio involucro di stoffa.
Dionne sorrise nostalgica nel vederla avvolta nell'abito cerimoniale, il vestito di generazioni passate che lei stessa aveva indossato nella sua giovinezza. Era usanza passare il titolo di sacerdotessa alla prima figlia una volta che questa avesse compiuto i diciotto anni, momento che segnava il passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Quello era il terzo anno in cui Fleur si presentava al popolo, in cui recitava la sua parte, parole vuote, assenti di fede e di ogni sentimento che puntualmente facevano raggelare la regina. Anche quel giorno Dionne nascose la propria preoccupazione; scosse infatti la testa, la sola speranza che Araw accogliesse presto la sua preghiera, e guardò Fleurdelys posare sui piatti di ceramica, retti dalle mani delle statue, un oggetto per ogni dio. Così la ragazza diede inizio alla cerimonia.
L'ipomea bianca, fiore che sbocciava solo di notte e dalla forma tondeggiante come una luna piena, rappresentava il Dio Luna; un corallo di mare, proveniente dalle Terre di Mezzo, la Dea Acqua; un'unghia di drago simboleggiava il Dio Vento e una radice del Kroaght, l'albero sacro che sorgeva nel giardino privato del Sinjeon, la Dea Terra. Il Dio Sole sosteneva un'urna con le ceneri di ogni Skysee, vaso che racchiudeva generazioni di sacerdotesse e la loro antica storia. Dionne considerava un onore che i suoi resti potessero un giorno riunirsi a quelli delle sue antenate, Fleur rabbrividiva invece al solo pensiero, l'idea di non poter essere libera nemmeno nella morte che la faceva inevitabilmente soffrire.
L'orologio rintoccò per tre volte. Era mezzogiorno.
La folla riunita alla fine dei trecento scalini smise di parlare e così calò il silenzio sull'isola volante. I cuori della gente si riempirono di ansia e ammirazione, l'attesa di vedere la sacerdotessa e di prendere parte alla preghiera. Fleurdelys superò il portone del tempio, fermandosi davanti alla gradinata, e le persone scoppiarono in urla di acclamazione e gioia. Fece un primo passo e i campanellini incastrati nei suoi capelli tintinnarono in argentini suoni.
Nel silenzio, che successivamente si appropriò della piazzola, iniziò lo Shikiten.
Fleur continuò a scendere le scale, poggiando un piede dopo l'altro e tenendo le mani incrociate sul grembo. I suoi occhi passarono sui visi di uomini, donne, anziani e bambini. Visi del suo popolo, volti di cui si sarebbe dimenticata molto presto l'esistenza. Arrivata a metà della scalinata rivolse le braccia verso l'alto, come ad abbracciare il sole luminoso sopra la sua testa, e cominciò a predicare.
«Siamo qui riuniti oggi per celebrare la venuta dell'estate e la grandezza del Dio Sole. Ringraziamolo per la sua luce, per il suo fuoco, ringraziamolo per la vita che ci ha donato. Lode a colui che ci ha creato, lode a colui che ha reso grande il nostro regno, lode a colui che veglia su tutti noi»
Fleurdelys fu tentata di scoppiare a ridere. Parole vuote, ridicole, ecco cos'erano. Ripeté le stesse identiche preghiere di ogni anno, preghiere che confortavano il popolo, ma che portava sulla schiena come fossero massi. Parole ricche di significato per molti, ma insensate per lei. Continuò a parlare, parlare e parlare, si dimenticò di alcuni passaggi, ma la gente nemmeno se ne accorse. Era un'ottima oratrice, riusciva comunque, in ogni situazione, a non perdere il filo del discorso.
«Ringraziamo dunque i suoi fratelli: rendiamo grazie alla Dea Terra, che rende le nostre terre ricche e fertili, rendiamo grazie alla Dea Acqua per i suoi fiumi e le sue cascate. Rendiamo grazie al Dio Vento, che consente ai nostri draghi di volare e a noi di spostarci tra le isole, e rendiamo infine grazie al Dio Luna, che permette l'alternarsi del giorno e della notte e che sceglie le nostre sorti dopo la venuta della morte» si fermò, puntando lo sguardo al sole, il volere di sfidare Araw e la sua potenza.
«Oh la morte! Dolce premura la sua di portarci via da questa vita di sofferenze!» riprese a camminare, gli occhi che le bruciavano per la luce accecante.
«Non temetela, ma abbracciatela, abbiate speranza di incontrarla un giorno, che sia oggi, domani, nella vostra vecchiaia. Sarà la nostra ultima amica, ci cullerà durante l'esalazione del nostro ultimo respiro, respiro che si mescolerà dolcemente con quello suo, freddo e glaciale. È lì che vedrete i nostri dèi! È lì che si mostreranno e ci indicheranno il cammino! Il Dio Sole non ci abbandona, il Dio Sole sempre ci protegge: prima, durante e dopo le tenebre! Non perdete dunque la fede, abbiate speranza e non dubitate! Gli dèi sono con e tra noi»
Fleurdelys era ormai arrivata alla fine degli scalini e con la sua discesa era giunta a termine anche la cerimonia. Accese con una fiaccola i due focolari ai lati della gradinata e il fuoco si innalzò al cielo, simboleggiando la forza ineguagliabile del Dio Sole.
Come da abitudine sfiorò qualche mano e quando una donna le allungò il figlio per far sì che lo prendesse in braccio, Fleur fu costretta ad accontentarla. Strinse il neonato, che piangeva e si dimenava tra le sue braccia perché allontanato dal calore della madre, e cercò di calmarlo con parole appena sussurrate; solo quando il piccolo aprì gli occhietti, incrociando quelli verdi della giovane, il pianto cessò, le dita cicciottelle che si allungarono verso la sua guancia come ad accarezzarla. Le persone più vicine scoppiarono allora in esclamazioni stupite, lo sguardo adorante di chi credeva si trattasse di un segno divino, una benedizione di Araw e dei suoi fratelli.
Fleurdelys trattenne a stento un sospiro scocciato, poi, una volta liberatasi dell'infante, diede il via alla festa. E così, mentre i tre rappresentanti del popolo la seguivano verso il tempio, la popolazione delle Terre Volanti passò la giornata a bere, mangiare e ballare.
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