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1- Le Skysee

L'oscurità avvolgeva ancora la Capitale quando le candele vennero sistemate lungo la scalinata, in lontananza la luna che lentamente veniva sostituita dal sole. La dolce fiamma danzava libera e leggera sulla cera, disegnando sui trecento scalini un susseguirsi continuo di luce e ombra, un quotidiano benvenuto al nuovo giorno e un muto ringraziamento al Dio Sole.

Le infinite candele conducevano al Sinjeon, il tempio dei cinque dèi, antica costruzione dalla travagliata storia di amore e sangue, risalente alla creazione delle prime sacerdotesse. Nonostante il castello reale, con la sua immensa struttura e le alte torri di vedetta, si ergesse imponente alle sue spalle, il Sinjeon sembrava quasi sovrastarlo, il potere divino che si rifletteva nel suo tetto a punta e nel portone dorato che separava il luogo di culto dalla contaminazione dell'essere umano. Per questo era abitudine riferirsi al palazzo con il nome proprio del tempio.

Ai piedi del Sinjeon, nella piazza principale, in molti si erano già radunati per assistere allo Shikiten.

Si trattava di un evento di rilevante importanza, una storica tradizione che spingeva i cittadini delle Terre Volanti a riunirsi una volta l'anno per assistere alle preghiere e venerare la sacerdotessa, via di comunicazione tra il mondo terreno e il mondo divino. Lo Shikiten anticipava l'estate e non era un caso se, al termine della cerimonia, si teneva uno degli incontri annuali più attesi. I tre rappresentanti del popolo -uno per classe sociale- avrebbero infatti discusso con la famiglia reale riguardo le problematiche che la stagione secca, ormai in arrivo, avrebbe portato con sé. Davano in tal modo voce alle comuni preoccupazioni, la speranza di riuscire a superare i lunghi mesi di siccità, caratterizzati da campi incoltivabili e penuria di cibo, riposta nella sacerdotessa e nel suo legame con gli dèi.

Quando i primi raggi illuminarono il tetto del tempio, diversi gruppetti si erano già piazzati davanti alla gradinata, fiduciosi di riuscire così a stringere le sacre mani della giovane Skysee. I banconi per la festa erano stati già allestiti e, nonostante i teli che coprivano le diverse prelibatezze, qualche bambino aveva già allungato le mani, attirato dalle tante bontà che di rado durante l'anno si aveva occasione di mangiare. Gli ultimi preparativi erano quasi giunti al termine, l'intera cittadella che all'albore del giorno aveva provveduto a rendere memorabile un così importante evento. Tutto si trovava infatti al suo posto: l'infinito buffet finanziato dalla corona, le tipiche pietanze a base di cavoli e patate -preparate dalle famiglie della Capitale- e i focolari, collocati ai piedi dei trecento scalini in onore del Dio Sole.

Nelle Terre Volanti era risaputo: il Dio Sole dava la vita così come la toglieva.

Antiche leggende narravano di come l'origine del regno fosse a egli legata e di come per il suo stesso volere la sua grandezza fosse un giorno destinata a sgretolarsi, l'umanità punita per la sua natura egoistica e lussuriosa. Da quando si aveva memoria Araw, nonostante la siccità estiva, si era sempre mostrato benevolo con il suo popolo, e nessuno, ormai da secoli, credeva realmente di incontrare un giorno la sua ira.

La cerimonia sarebbe iniziata a mezzogiorno preciso, ora in cui il sole avrebbe raggiunto la sua massima lucentezza illuminando la piazza dal punto più alto del cielo. A palazzo tuttavia l'agitazione era già palpabile. Le servette del castello, più indaffarate che mai, correvano infatti da un posto all'altro per far sì che tutto fosse in ordine e che alla famiglia reale non mancasse niente. Non che questa fosse chissà quanto numerosa; delle Skysee erano rimaste solo in due: madre e figlia, due donne con esigenze e visioni della vita totalmente diverse, che animavano la casa di battibecchi un giorno sì e l'altro pure.

Dionne Skysee aveva ormai quarant'anni, eppure era più bella e splendente che mai. Con i suoi lunghi capelli ramati, gli occhi verdi e luminosi, la compostezza e l'eleganza di una vera regina, faceva invidia a molte donne più giovani di lei. Camminava impettita verso le stanze private della figlia, fermando di tanto in tanto qualche servo per le ultime direttive riguardo la cerimonia. Un sorriso stanziava sul viso asciutto e pallido, dipingendo sulle labbra una genuina pacatezza e nascondendo le burrascose emozioni dietro la maschera da reggente. Il suo cuore fremeva infatti di una rabbia motivata, una pressante delusione nei confronti di se stessa per aver fallito nell'educazione della figlia. Fleur era in ritardo, persino in un'occasione tanto significativa era riuscita a venir meno ai suoi doveri di sacerdotessa.

Il ticchettio dei bassi tacchi rimbombava nei corridoi luminosi del castello e Dionne sperava invano che potesse giungere alle orecchie di Fleurdelys per avvisarla del suo arrivo. Non rimase sorpresa dei rumori che arrivavano da quell'ala del castello, il vento che dalle arcate portava con sé ogni genere di suono. Dionne sospirò; non aveva neanche più la forza di reagire ormai. Prese un bel respiro, un respiro affranto e un po' scocciato, prima di spalancare le porte.

La trovò così come l'aveva messa al mondo: nuda.

Nuda a cavalcioni su un uomo.

Nemmeno si accorse di lei.

Fleurdelys Skysee era persa nel suo mondo, gli occhi chiusi e le mani sul petto muscoloso del soldato. Gemeva a ogni sua spinta, immersa con anima e corpo nell'atto sessuale e ubriaca di tutte le sensazioni che questo le regalava. Non le importava se nel Sinjeon sentissero i suoi gemiti o le sue urla di piacere, a Fleur interessava solo riempire quel senso di vuoto che mai l'abbandonava. Si sentiva sola, in gabbia, incapace di provare sentimenti, tanto che con il tempo aveva trovato nel sesso una facile via di fuga. Ogni uomo era per lei nuova fonte di scoperte, ogni donna le dava ciò che un'altra invece poteva toglierle. Era per questo che chiamava ogni giorno qualcuno nelle sue stanze. Non le interessava con chi condivideva le sue notti, spesso non ricordava neanche i nomi dei soldati o delle serve con cui aveva giaciuto; non erano che distrazioni, corpi indistinti che si mescolavano al suo senza neppure sfiorare il sottile confine che separava la sfera fisica da quella sentimentale.

Quando il soldato sotto di lei si fermò, ne capì immediatamente il motivo. Sospirò seccata, lasciandosi cadere sul letto, e guardò verso la madre, sulla soglia, pregustandosi il solito rimprovero.

«Fuori di qui» ordinò Dionne alla guardia, ancora nuda e imbarazzata nel suo mezzo inchino.

«Mi hai interrotta, di nuovo» affermò Fleur, alzandosi e afferrando la tunica abbandonata sul pavimento. Era stizzita, ma non arrabbiata; che Dionne ponesse fine alle sue più sfrenate fantasie era parte della sua quotidianità. Solo così alla fine riusciva ad ottenere quelle attenzioni che da bambina aveva sempre cercato e che inconsciamente ancora desiderava.

«Manca poco a mezzogiorno, devo forse ricordarti che giorno è oggi? Lo Shikiten e il popolo ti aspettano»

«Ammetto di essermene dimenticata» borbottò «Mi perdoni?»

Dionne ignorò le scuse poco sentite, la rabbia che come sempre scemò troppo presto, sostituita da una triste amarezza. Fleurdelys era tremendamente viziata e indisciplinata, non si rendeva conto della responsabilità della sua posizione, non comprendeva di essere il presente e il futuro, la sacerdotessa che a breve avrebbe regnato sulle Terre Volanti.

«Ormai hai vent'anni, Fleur» la guardò seria, speranzosa che per una volta l'ascoltasse «Alla tua età io ero già sposata e ti tenevo nel mio grembo, non puoi continuare così, gli dèi ti sono già avversi»

Dionne non nascose la propria afflizione, le labbra serrate in una linea sottile. Fleur rifiutava con così tanta testardaggine di ricoprire il suo ruolo, che lei non sapeva più cosa fare. Continuò con la ramanzina, ignorando l'espressione annoiata della figlia.

«Il Dio Sole vuole noi Skysee come reggenti, lo sai. Presto dovrai dargli un erede, una bambina» sottolineò dura «Sei la sacerdotessa, non un divertimento per l'intero castello. È ora che tu lo capisca»

Fleur alzò gli occhi al cielo, stanca di ascoltare le stesse identiche parole che Dionne le ripeteva ormai da anni. Nemmeno la guardò quando uscì dalla stanza. Ignorarla apertamente era diventata un'abitudine per Fleurdelys e Dionne non aveva mai nascosto quanto soffrisse per quell'atteggiamento. Seguì la sua figura snella sparire oltre le porte, poi sospirò, lasciandosi cadere sul letto sfatto. Si portò entrambe le mani al viso, stanca, la preoccupazione per la sorte del suo regno che mai come in quel momento si fece tanto evidente. Dionne si lasciò andare a un altro sospiro. Cosa aveva sbagliato con Fleurdelys? Quando rifiutare lei e gli dèi era diventata normalità per sua figlia?

Il giorno prima e quello prima ancora, Dionne aveva pregato sotto la chioma dell'albero sacro, la speranza che qualcuno rispondesse alle sue domande. Aveva pregato e chiesto aiuto, la consapevolezza che Araw non l'avrebbe abbandonata. Era stato al suo fianco vent'anni prima, quando era stata costretta a sposare quel mercante delle Terre di Mezzo, sapeva che l'avrebbe affiancata anche ora.

Le Terre Volanti avevano bisogno di lui. Fleur aveva bisogno di lui.

E Araw ci starebbe stato.

Dionne non aveva alcun dubbio a riguardo.

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