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Capitolo 4

«Mi spieghi a che gli serve una sedia con le rotelle?» bisbigliai a Robin, abbassando il volume della voce per non farmi sentire da nessuno.

Ma il professore mi sentì comunque.
Le cose erano due: o al posto di parlare come una persona normale strillavo, oppure il professor Wilson era dotato di un udito fuori dal comune.

Infatti, dopo aver congedato Claude e afferrato la sedia in modo estremamente possessivo, mi rispose con un'aria parecchio divertita.
«Questa, signorina Sky, è tutto ciò che mi serviva per svolgere al meglio la lezione di oggi.» Alla mia occhiata perplessa mi strizzò l'occhio, evitando però di farsi notare. Poi si rivolse a tutta la classe. «Chimica, giusto?»

«Certo, questa è l'aula di chimica, e lei è un professore. Io sono un'alunna e questa è una scuola» sottolineò Petunia con aria saccente, incrociando le braccia. Era ancora arrabbiata per il rimprovero che il professor Wilson le aveva rivolto.
Com'è ovvio, i suoi compari risero tutti alla sua battuta.

Ma il professore li ignorò, e dopo aver rivolto la sedia dalla parte opposta, ci si sedette, poggiando comodamente le braccia sul basso schienale di fronte a lui.

«Mai sentito il detto: ride bene chi ride ultimo?» chiese alla classe, con tono apparentemente gioviale. Tutti annuirono, continuando a ridacchiare.

Io invece ghignai, perché se avevo già inquadrato il suo carattere sapevo bene come sarebbe andata a finire...

«E io riderò per ultimo quando a fine anno più della metà della classe si ritroverà una bella D– stampata sulla pagella in rosso. Un bel rosso color sangue!» abbaiò, facendo sobbalzare Steven Mackenzie, che aveva ancora il sorriso stampato sulle labbra. Steven smise immediatamente di sorridere, facendosi serio come se ne andasse della propria vita, e forse era davvero così.

Il professor Wilson non mi aveva affatto delusa. Se da una parte ero certa che quest'anno mi sarei divertita molto, dall'altra i miei compagni avrebbero trovato pane per i loro denti.

Il professore iniziò a girare per l'aula comodamente seduto, e andava avanzando con i piedi, mentre le rotelle svolgevano il loro lavoro scivolando rapidamente sul pavimento liscio della classe simulando una buffa corsa tra i banchi.

In questo modo controllava che i ragazzi avessero preso i libri e riposto i cellulari negli zaini, e dopo che le sue occhiatacce ebbero mietuto molte vittime tra i miei compagni, il professor Wilson frenò bruscamente, sterzando come se stesse guidando un'auto da corsa. Poi si fermò precisamente di fronte al mio banco, che era all'ultimo posto.

In quel momento dividevo il mio banco con Robin perché il nuovo arrivato, Frederick o qualcosa del genere, era arrivato prima di lui, fregandogli il posto accanto al mio.
Per un attimo avevo avuto l'impressione che l'avesse fatto apposta.

Ma a me non importava, tanto il banco nell'aula di chimica era sufficientemente grande per entrambi. E poi così io e Robbie avremmo potuto essere compagni di laboratorio.

Il professore ci lanciò un'occhiata che io non seppi decifrare. «Allora», esclamò, «iniziamo la lezione?», e dopo un rapidissimo dietrofront e una corsa sfrenata, passando accanto al banco di Petunia tuonò: «Signorina Pratchett, posi subito quel cellulare, o le assicuro che farà un bel volo dalla finestra!», atterrando poi dietro la cattedra come se niente fosse.

La tentazione di applaudire e esibire un cartello con un bel 10 stampato sopra era fortissima, e solo l'occhiata ammonitrice di Robin mi fece desistere dal farlo.

Così iniziò la lezione.

***

«È stata una gran bella lezione, non è vero?» Ero tutta allegra mentre camminavano svelti verso l'aula dove si sarebbe svolta la prossima lezione, quella di letteratura inglese, e questo a Robin non andava giù.

«Non la definirei proprio così», mi rispose, con un tono di voce incolore. «Ma è stata senza dubbio interessante» affermò, calcando pesantemente sull'ultima parola.

Sbuffai. «Come no. Sei solo irritato perché Frederick ti ha rubato il posto.»

«Quello era il mio posto» ripeté per l'ennesima volta, tutto imbronciato. La sua risposta mi diede ragione. Era tutta la mattina che Robin fissava torvo il nuovo compagno di scuola, e il suo umore era peggiorato sempre di più, soprattutto perché alla sua richiesta di rendergli il banco Frederick lo aveva totalmente ignorato, limitandosi a un sogghigno compiaciuto.

«Vedi? Il nuovo professore di chimica ti piace, ma sei troppo impegnato a pensare a Frederick e a quello stupido posto per rendertene conto. Guarda che non mi dà fastidio dividere il mio banco con te.»

Robin borbottò qualcosa a mezza voce, ma io non lo sentii perché proprio in quel momento Todd, il compare di Steven, mi si avvicinò. «Il concerto di ieri ha fatto schifo, sfigata. Prova a fregarci di nuovo e te la farò pagare cara!» mi urlò all'orecchio, e ribadì il concetto spingendomi bruscamente in avanti.

Dato che già in condizioni normali non ero molto coordinata, non riuscii a mantenere l'equilibrio e mi ritrovai lunga distesa sul corridoio, sbattendo dolorosamente il naso a terra.

Mentre provavo a mettermi seduta sentii Robin urlare. «Che razza di problemi hai?» gridò a Todd, spintonandolo. «Ti piace prendertela con le ragazze che non sono neanche la metà di te? Prova a prendertela con me, se ci riesci!» Robin non era certo nerboruto come Todd, ma era più alto di lui, e in quel momento sembrava sicuramente molto più minaccioso.

Todd, un ragazzone di quasi diciotto anni dalla corporatura tozza, i capelli rasati e il naso a patata schiacciato sul viso, era il bulletto della scuola. Il suo unico amico era Steven Mackenzie, e nessuno capiva come quei due potessero essere amici considerato che Steven era, tutto sommato, un bravo ragazzo. Steven però in quel momento non era presente. Questa era una cosa piuttosto strana, perché generalmente Todd non si separava mai da lui quando erano a scuola.

Todd evitava scrupolosamente di rivelare il suo cognome, e i professori lo chiamavano sempre e solo “Todd” quando facevano l'appello. Ma le voci correvano comunque in una cittadina come Charlestown, e si diceva che suo padre fosse un alcolizzato. Doveva essere comunque sufficientemente ricco, dato che era in grado di pagare le tasse scolastiche del figlio.

La High School Classic&Athletic era, infatti, una delle più rinomate scuole private del Nord America, e molti ragazzi si trasferivano con le famiglie a Charlestown solo per frequentarla.

Charlestown era una cittadina costiera piuttosto tranquilla che contava non più di una decina di migliaia di abitanti: le famiglie che erano di condizione più agiata da anni ne approfittavano per iscrivere i propri figli alla C&A, che garantiva per i loro pargoli tutti gli sbocchi lavorativi più remunerativi.

La C&A si distingueva dalle altre scuole per il suo eccellente corso di musica e quello di sport, di notevole importanza anche a livello nazionale.
Frequentare uno di questi due indirizzi era obbligatorio, e ovviamente Todd faceva parte di quello sportivo.

In quel momento però sembrava minuscolo se confrontato a Robin. Il mio migliore amico, che era sempre stato così tranquillo da non dare mai nell'occhio, non sembrava neanche più lui, e Todd era rimasto sorpreso dal suo comportamento tanto quanto me.

Mezza stordita, provai a rialzarmi tenendomi una mano sul naso che aveva iniziato a sanguinare, ma fallii miseramente. La testa mi girava troppo.
Come sarei riuscita a fermare Robin dal commettere qualche imprudenza? Eppure si trattava di Robbie, del mio migliore amico, un ragazzo che non aveva mai fatto del male a una mosca e che a scuola, da piccolino, se mi importunavano piangeva al posto mio. Ogni volta ero dovuta correre a consolarlo e a dirgli che andava tutto bene, e solo allora Robbie smetteva di piangere.

Tuttavia, i miei sospetti non si rivelarono infondati. «Robbie, non farlo!», mi ritrovai infatti a urlargli, nel tentativo di fermare il pugno che si stava rapidamente dirigendo verso Todd.

Todd non si aspettava quella mossa, e guardava Robin con la paura negli occhi. Anche io avevo paura, così distolsi lo sguardo per evitare di assistere alla scena. Qualche secondo dopo però, siccome non avevo sentito il tonfo del colpo che veniva scagliato contro Todd, né i gemiti di quest'ultimo nel caso in cui il pugno lo avesse colpito, mi voltai a guardare, e mi ritrovai di fronte una scena piuttosto bizzarra.

Frederick, di cui non sapevo nulla se non il nome dato che quella mattina non si era presentato alla classe approfittando del fatto che anche il signor Wilson fosse nuovo e non conoscesse nessuno, aveva fermato il pugno di Robin mettendosi tra lui e Todd.

«Sai» gli sibilò, indicando con un cenno della testa piuttosto eloquente i ragazzi che si erano fermati per assistere alla scena, «dovresti proprio evitare di dare spettacolo. Credo che stia arrivando un professore.»

Effettivamente la piccola folla di curiosi stava crescendo, incrementata dagli studenti che al trillo della campana della terza ora stavano passando da lì per raggiungere le aule dell'ora successiva. Molti si erano fermati per osservare la scena, incuriositi, ma ovviamente nessuno di loro interveniva per sedare la rissa.

Tra tutti questi non ce n'era uno che sembrasse disposto ad aiutarmi. Sentii distintamente una ragazza che mi aveva notato giustificarsi con qualcuno dicendo che non voleva sporcarsi i vestiti di sangue.

Intanto la baruffa continuava. «Vattene, sparisci da qui!» ordinò Frederick a Todd, minacciandolo con lo sguardo di levarsi di torno o altrimenti sarebbero stati guai. Todd, che in realtà era un vero vigliacco, non se lo fece ripetere un'altra volta, e si allontanò di corsa incespiscando nella direzione opposta.

Robin guardò Frederick dritto negli occhi, fronteggiandolo senza timore. «Se fossi in te mi farei gli affari miei, senza impicciarmi in quelli degli altri» gli suggerì candidamente.

Frederick inarcò un sopracciglio con aria stupita. «Perché? Un aiuto fa sempre comodo.»

«Non ti facevo così altruista» gli rinfacciò Robbie, parlando senza sotterfugi. «Sembri più il tipo che vuole qualcosa, in cambio di un favore.»

Gli occhi grigi di Frederick brillarono divertiti e per nulla intimoriti. Continuava a stringere strettamente il pugno di Robin. «Ti do un consiglio: se non sai tirare un pugno decente, non cercare di attaccare briga. Qualcuno potrebbe irritarsi» lo informò, con un tono di voce mellifluo che non prometteva nulla di buono.

Quel ragazzo nascondeva qualcosa, ma di cosa si trattava? Inoltre, da come gli si era rivolto, sembrava che conoscesse bene Todd... che legame c'era tra i due?

All'ennesima occhiataccia Frederick lasciò andare il braccio di Robin, proprio mentre la professoressa Clayton riusciva a farsi largo a fatica tra gli studenti, con il fiatone e paonazza nel viso paffuto. Il suo petto prorompente e troppo poco coperto faceva su e giù a una velocità incredibile, e temevo che le gambe tozze e corte che si ritrovava non sarebbero bastate a reggerla in piedi in caso di mancamento. Non che un alunno sarebbe stato in grado di tenerla sollevata, considerando il peso non indifferente che si portava dietro.

«Che succede qui?» squittì la professoressa, portandosi una mano sul petto con fare melodrammatico.

«Niente professoressa, è tutto apposto» la rassicurò Frederick nel tentativo di liquidarla, ammiccando nella sua direzione.

La professoressa sembrò sciogliersi dietro quella sua occhiata: in fondo Frederick era davvero un bel ragazzo, con i suoi capelli neri e il fisico invidiabile, ed era risaputo che la Clayton sbavasse dietro quelli più giovani di lei di almeno una ventina d'anni. Dato che la professoressa doveva aver superato abbondantemente la quarantina, Frederick era la preda perfetta.

«Va bene, allora» gli disse con aria sognante. «Ah, di che classe sei tu?»

«Non ne ho idea, sono arrivato da poco» le mentì Frederick, e la donna se la bevette.

Un po' dispiaciuta, ma con l'aria di chi avrebbe ottenuto presto ciò che voleva, la professoressa si decise finalmente a fare il suo lavoro, esortando i ragazzi a dirigersi verso le rispettive aule.

«Non c'è niente da vedere» continuava a ripetere con la sua vocetta acuta e petulante. «Sciò, via di qui!» diceva, neanche si trovasse sulla scena di un crimine.

La Clayton non si accorse della mia presenza, nascosta com'ero dietro una piccola folla di ragazzi che si dirigeva verso la propria classe, e così, più tranquilla e convinta di essersi allarmata per nulla, si dileguò velocemente con gli alunni.

Mentre gli altri se ne andavano provai nuovamente ad alzarmi, ma non ci riuscii. Il naso non smetteva di sanguinare, e ormai avevo tutta la maglietta imbrattata di liquido rosso scuro.
Una volta che tutti si furono allontanati mi misi in piedi aggrappandomi a un armadietto, ma mi tremavano le gambe.

«Ah, per la cronaca, prima di fare il paladino della giustizia forse avresti dovuto aiutare la tua ragazza. Sembra che si senta male» e io non potei dirgli che non ero la ragazza di nessuno perché la vista cominciò ad annebbiarmisi.

Dopo questa ultima scoccata Frederick se ne andò con tutta calma, lasciando Robin da solo. Robin si girò di scatto nella mia direzione, e prima di chiudere gli occhi scorsi distintamente i suoi, colmi di preoccupazione e senso di colpa.

Ormai non sentivo che un ronzio indistinto alle orecchie, e le gambe non mi reggevano più in piedi, così mi lasciai scivolare contro l'armadietto certa che Robin mi avrebbe afferrata prima che avessi toccato terra.

E infatti l'ultima cosa che percepii fu la sensazione di essere sollevata in aria, e una voce calda che mi sussurrava all'orecchio “mi dispiace”.

*Angolo autrice*
Vogliate perdonarmi il ritardo, dovevo aggiornare Skyfall sabato scorso, ma Wattpad non mi faceva fare nulla. Oggi credo che sia tutto apposto, quindi dovrei riuscire a postare anche il nuovo capitolo di Nobody's Land prima di sera.

Come sempre, commentate a prescindere, scrivendo se ciò che ho scritto è interessante o noioso o altro, e se vi piace e se vi va lasciate una stellina.

Buona giornata! ^^

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