Capitolo 2
Oltrepassata la porta della camera di Robin mi diressi subito verso le scale che portavano al pianterreno.
La penombra non mi infastidiva, conoscevo quella casa a memoria e avrei potuto camminarci tranquillamente anche a occhi chiusi. Del resto, la predisposizione delle stanze era praticamente identica a quella di casa mia.
Giunsi sul pianerottolo, ignorando le altre due camere presenti nel corridoio, e iniziai a scendere le scale. Non ero che al secondo gradino che il legno scricchiolò.
Mi morsi il labbro: parquet e stivali non andavano molto d'accordo.
Che stupida ero stata a non aver pensato prima a toglierli! Ma ormai il danno era fatto.
Tesi l'orecchio verso il pianerottolo dietro di me, sperando che il signore e la signora Webb non avessero sentito nulla e che fossero ancora tra le braccia di Morfeo.
Ginevra e Jonathan erano due persone squisite, e mi consideravano come la figlia che non avevano mai avuto. Anche se mi avessero trovato lì, al buio, in quel preciso istante, non avrebbero fatto storie.
Certo, sicuramente qualche domanda se la sarebbero posti... ma come spiegare loro l'arrampicata sul ciliegio e l'intrusione nella camera di loro figlio mentre questi dormiva beatamente?
Mi feci coraggio, e facendo finta di avere la grazia e la leggiadria di una ballerina di danza classica, scesi velocemente le scale in punta di piedi. Certo, arrivata al piano terra ero quasi certa di essermi fratturata il mignolo, ma almeno in giro per casa non risuonavano più i miei terribili tonfi.
Infatti, pur avendoci messo tutto l'impegno possibile, avevo pestato i piedi a terra come un elefante che fuggiva da un topolino.
Altro che leggiadria, ci mancava poco che scatenassi un terremoto.
Qualche istante dopo sentii un rumore dietro di me, che proveniva certamente dal piano superiore. Il cuore mi balzò a mille, nonostante sapessi che chi aveva causato il rumore potesse essere Robin, e corsi a perdifiato fino alla porta d'ingresso.
Il tubino mi ostacolava, ma del resto sapevo già per esperienza che portare quei cosi era una vera tortura.
Senza dubbio il fruscio della seta che scivolava sul mio corpo produceva un bel suono, ma in quell'istante era come se urlasse a gran voce: “intruso! Venite a prendere l'intruso!”
Finalmente, poggiai la mano sulla maniglia della porta e feci un gran sospiro di sollievo. La abbassai tutta felice, ma una mano mi toccò la spalla.
«Non volevo!» squittii subito, spaventata, irrigidendomi di colpo e cercando di trovare una giustificazione al fatto che mi trovassi lì. «È stato Robin a costringermi!»
La mano abbassò la maniglia al posto mio e mi spinse fuori dalla porta, in tutta fretta e quasi con irritazione.
Ripreso l'equilibrio, sentii che la porta dietro di me si chiudeva, e mi girai.
«È stato Robin a costringerti, eh?» Al chiarore della luna, gli occhiali di Robin sembravano quasi luminosi. Non mi sfuggì, però, la sua espressione. «Sai che cosa sembra?»
Io feci la finta tonta, sistemandomi lo stivale destro. Ero lieta che fosse soltanto Robin, per un istante avevo temuto il peggio. «No, cosa?»
«Sembra che ti abbia portata a casa mia con la forza per farti chissà cosa!»
«Uh, ma davvero?» dissi, assumendo un'espressione angelica.
Robin fece un sospiro melodrammatico. «Non puoi dire cose del genere, lo sai?»
«Pensavo che fosse tuo fratello o tuo padre», mi giustificai.
Lui mi guardò a bocca aperta. «Punto primo: sei tu quella che ha deciso di entrare nella mia stanza nel bel mezzo della notte. Sai che ore sono?»
Riflettei. Non poteva essere passata più di mezz'ora da quando mi ero seduta sull'altalena. «Le undici?» riposi, un po' titubante.
«Quasi l'una!» sbottò lui.
Io iniziai a camminare verso il cancello di casa sua, permettendogli di blaterare senza sosta. Non pensavo che fosse così tardi, dovevamo sbrigarci se non volevamo perdere il concerto.
«Punto secondo: che diavolo significava quella frase? Giustificarti? E se ti avesse trovato davvero mio padre? Sai che figura mi avresti fatto fare?»
Scrollai le spalle, divertita. Aprii il cancello, che cigolò con uno stridio acuto. Sembrava che si stesse lamentando.
Mi massaggiai l'orecchio. «Ma non glielo passi mai un po' d'olio?» borbottai, infastidita.
«Non è questo il punto!» strillò Robin, esasperato. Si coprì gli occhi con le mani. «Non oso immaginare quello che sarebbe potuto succedere.»
Mi avvicinai alla sua vecchia carretta, una Volkswagen T2 del '71, e l'accarezzai dolcemente. Mi trasmetteva così tanti bei ricordi...
«Ciao, bella. Come stai oggi?» le chiesi, rivolgendomi a lei come se fosse una mia vecchia amica.
Ovviamente il furgoncino non rispose.
Sentii una specie di singulto nervoso alla mia destra. «Considera quel vecchio macinino più di me. Roba da matti.»
Ridacchiai, divertita, ma dopo che mi fui ricomposta continuai a far finta di ignorarlo.
«Mi stai ascoltando? Non pensi che quella frase fosse parecchio inopportuna? No? E non mi rispondi neanche!»
«Uffa» borbottai. Ero stufa di quelle continue lamentele. «Stavo scherzando. Sapevo benissimo che eri tu» mentii, cercando di darci un taglio.
Come sempre, Robin non se la diede a bere. «Come no» sibilò infatti. «Davvero, pensa se avessi detto una cosa simile a Terence!»
«Terence sarebbe stato fiero di te» gli risposi semplicemente, impassibile, guardandolo dritto negli occhi. Non so come riuscii a non ridere davanti la sua faccia paonazza. «Sai che ho ragione.»
Terence, il fratello maggiore di Robin, era un donnaiolo fatto e finito. I suoi poveri genitori, esasperati dalle continue e frequenti visite di ragazze nella stanza del figlio, l'avevano spedito in una scuola privata completamente maschile.
Loro non lo sapevano, ma non è che fosse servito a molto.
Durante le vacanze di Natale di qualche anno prima, Terence era tornato per le festività. Io avevo tredici anni e Terence quasi diciotto, e una volta una delle tre ragazze del momento, Patricia, era scappata dalla porta sul retro mezza nuda, piombando nel mio giardino mentre leggevo uno dei miei libri preferiti seduta sull'altalena.
Ci eravamo fissate per un istante interminabile, poi la porta si era aperta di nuovo e un reggiseno era volato fuori, in mezzo alla neve. Lei lo aveva raccolto e, a testa alta, se n'era andata senza più degnarmi di uno sguardo, con il reggiseno ancora in mano.
Quando l'avevo raccontato a Robin, lui prima era diventato rossissimo a causa della vergogna, ma poi era scoppiato a ridere, contagiato dalle mie risate.
Una volta arrivata l'età per entrare al college, i signori Webb avevano rinunciato a rimetterlo sulla retta via, e le ragazze si erano moltiplicate come per magia.
Che fosse la vendetta di Terence per aver passato gli ultimi tre anni in un scuola interamente maschile?
Fatto sta che non smetteva di rimbrottare Robin per la sua mancanza di attenzioni verso il gentil sesso.
Ma non aveva molte speranze: i signori Webb erano stati molto più scrupolosi nell'educazione del fratello, cercando di evitare di ripetere lo stesso identico errore e facendo sì che almeno l'altro figlio fosse più cauto nelle sue scelte e non assumesse certi comportamenti.
Non che Terence non fosse gentile o rispettoso, ma aveva passato un periodo di forte ribellione. D'altra parte, tutte quelle attenzioni da parte dei genitori non servivano a un tipo come Robin, che non avrebbe sfiorato una ragazza neanche con un dito.
«Okay, forse hai ragione» rispose alla fine Robin, evitando il mio sguardo.
Sorrisi, ma non feci in tempo a cantar vittoria.
«Ma non se si tratta di te. Ti considera come una sorella, non sarebbe felice di scoprire una cosa simile.»
«Ah, davvero?»
«Ovviamente» fece lui, afferrando finalmente le chiavi del furgoncino. Aveva intuito che ormai non c'era più scampo, saremmo andati comunque.
«Strano» feci io, impassibile, tenendomi il vestito per entrare nel furgoncino.
Robin inarcò le sopracciglia. «E perché?»
Io entrai nell'abitacolo. «Perché una volta ha provato a baciarmi.»
Non mi aspettavo la reazione di Robin. Si irrigidì per un istante, facendo cadere le chiavi dalla mano.
«Serve un aiuto?» gli chiesi perplessa, sporgendomi fuori dal sedile.
«N-no» balbettò, riprendendo le chiavi da terra. Poi si mise al volante, chiudendo la portiera. Io abbassai il finestrino: c'era freschetto, ma si stava bene. In fondo ci trovavamo molto vicini alla costa, e l'estate era finita da molto poco. Eravamo solo agli inizi dell'autunno.
Aspettai che Robin mettesse in moto, ma invano. Mi girai verso di lui, ancora più perplessa, e lo trovai che mi fissava.
«Sei inquietante» gli dissi soltanto. «Voglio uscire da qui.»
Eppure lui continuava a fissarmi.
«Mettete al riparo i bambini!» scherzai, ma il mio tentativo di alleggerire l'atmosfera non funzionò.
Che cosa era successo tutto d'un tratto? Lo guardai: aveva un'espressione seria, ma al tempo stesso imperturbabile. Non era la prima volta che lo vedevo così, anche se gli accadeva molto raramente. Eppure quella sera era successo già due volte.
Che fosse a causa di quello che avevo detto prima?
Ma non aveva capito che stavo scherzando? Avevo solo ripetuto la battuta che mi aveva fatto una volta. Infatti anche lui mi aveva detto una cosa simile per scherzo, ma io non c'ero cascata, lo ricordavo bene.
Okay, Damian e lui erano due maschi, ma non mi ero mai considerata diversa da loro solo perché ero una ragazza. Del resto, crescendo con cinque ragazzi come compagni d'avventure — tra i fratelli Webb e i miei arrivavamo a quota cinque — era normale che fosse così.
Robin però sembrava averla presa molto seriamente.
«Si può sapere che ti succede?» gli chiesi, innervosita da quella situazione. Eravamo in estremo ritardo.
Lui deglutì. «Ti ha baciata sul serio?»
«No!» risposi subito, stupita dal fatto che ci avesse creduto sul serio. «Stavo solo scherzando.»
«E quindi non ci ha neanche provato, giusto?»
Annuii con decisione, incerta su come comportarmi in una simile situazione. L'imbarazzo era tale che non riuscivo ad alzare lo sguardo.
Quando avvertii un sospiro di sollievo lo guardai, ma il suo viso era calmo come sempre, come se non fosse successo nulla.
Dovevo essermelo immaginato.
Robin accese finalmente il motore, senza più dire una parola, e così partimmo, illuminati dal chiarore della luna che ci faceva da compagna mentre attraversavamo le stradine desolate di Charlestown.
*Angolo autrice*
Okay, che ve ne pare? Siate sinceri u.u, soprattutto ora che si può commentare di nuovo :D
Comunque sì, aggiorno oggi perché, sebbene non ve l'avessi ancora detto, ho intenzione di pubblicare Skyfall molto più spesso.
Yeee(?)
Come sempre, commentate dicendo se scrivo robe interessanti o meno, e in caso vi piacesse, votate.
Domanda del giorno: avete notato o no un piccolo particolare non detto? Uhm... Qualcosa che ha a che fare con i nomi...
OwO notatelo, su.
Chi indovina cosa ho tenuto nascosto apposta fino ad ora, riceverà una nomination (sì, se lo scrivo così fa figo, mentre in realtà è un banalissimo tag @-@) nel prossimo capitolo.
A domani, umanoidi! ^^
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