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Capitolo 1

«Robbie!» Lanciai un altro sassolino in direzione dello stipite della sua finestra, sperando che colpisse il punto giusto. Il sassolino fece un lungo giro verso l'alto, e proprio mentre pensavo che forse sarebbe stato il caso di accendere le luci in giardino prima di mettermi a tirare sassi in giro, questo colpì esattamente il legno, evitando il vetro per una questione di qualche millimetro.
Tirai un profondo sospiro di sollievo: meno male che avevo una buona mira. Se avessi rotto il vetro la signora Webb, sua madre, mi avrebbe fatto una bella ramanzina. La mia invece si sarebbe limitata ad uccidermi, dopo essersi scusata con i nostri vicini.

«Robbie! Svegliati!» urlai, trattenendo quando più possibile il volume della voce. Stavo gridando, ma al tempo stesso sussurravo.
Come facessi? Non ne ho idea.
Solo io potevo essere in grado di fare una cosa simile.

Guardai verso l'alto, in direzione della stanza del mio migliore amico, ma della sua testa riccioluta non c'era nessuna traccia.
Sbuffai, incapace di trattenere l'irritazione.

«Dormiglione!» borbottai tra me e me. «Te la farò pagare cara.»

Mi sedetti sull'altalena che avevamo in giardino. Era stato un regalo dei miei per i miei cinque anni, e ora che ne avevo quasi diciotto potevo affermare con assoluta sicurezza che era il regalo migliore che potessero farmi a quell'età. Avevo passato interi pomeriggi a dondolarmi su quell'affare, immaginando cose fantastiche e mondi totalmente nuovi, e con gli anni non avevo smesso di dedicarvici almeno un'oretta di tempo a settimana.

Era l'unico posto in cui potessi stare da sola per un po', in totale pace con il mondo, pensando solo ai fatti miei mentre il vento mi cullava dolcemente.
Permettevo ai miei di entrare nella mia stanza e curiosare tra le mie cose, ma l'altalena era assolutamente off limits, soprattutto quando c'ero io seduta sopra, e chiunque fosse stato sano di mente si premurava di rispettare rigorosamente questa mia unica regola.

Mentre rimuginavo tra me, osservavo la casa che avevo di fronte. In quel momento ce l'avevo a morte con il mio dirimpettaio. Se solo Robin si fosse svegliato saremmo potuti andare...
«È sempre colpa sua» sbottai, riscuotendomi dal leggero torpore della notte.
Un petalo bianco si poggiò sulla mia mano. Lo osservai per un po', e poi lo soffiai via delicatamente.

Un pensiero fece capolino improvvisamente nella mia testa. Mi alzai dall'altalena e mi avvicinai al ciliegio in fiore, che ormai sfiorava i diciassette metri.

Sogghignai. «Se proprio devo» mi dissi, scrollando le spalle. Ero divertita al pensiero di ciò che sarebbe successo di lì a breve.

Poggiai la mano destra sul tronco dell'albero, in un punto poco sopra la mia testa, alla ricerca di un appiglio; una volta che ebbi una presa sicura con la mani mi feci forza sulle braccia e appoggiai anche la punta dei piedi.

Inizia ad arrampicarmi adagio, riscoprendo il gusto di farlo. Era da tanto che non mi arrampicavo sul vecchio ciliegio, eppure ricordavo ancora i punti più adatti per l'arrampicata.
Mi abituai subito e assunsi un ritmo più veloce, senza farmi intimorire dal fatto che il terreno si allontanava sempre di più, e che se fossi caduta mi sarei fatta un gran male.

In quattro e quattr'otto raggiunsi il ramo più basso del ciliegio e sbirciai attraverso le fronde in direzione della casa di Robin, ma da dove mi trovavo non avevo la giusta visuale. La finestra era completamente coperta dai fiori bianchi dell'albero.

Sospirando, mi allungai verso il ramo poco sopra al mio, e pur non essendo alta chissà quanto, riuscii a sollevarmi e a sedermici su.

«Sono diventata uno scoiattolo» esclamai, stupita da me stessa.
Mi sporsi dal ramo e guardai il terreno sotto di me, deglutendo. Non mi ricordavo che da piccola avessi mai sofferto di vertigini.

Ignorando la sensazione spiacevole del vuoto sotto di me, gattonai per tutta la lunghezza del ramo, schivando i rami più sottili e i fiori bianchi che mi spuntavano a un palmo dalla faccia. Arrivai finalmente alla fine del ramo e, sputacchiando dei petali, poggiai saldamente una mano sul davanti della casa.

Fino a qualche anno prima sarei riuscita a guardare da una finestra della mia stanza direttamente dentro la stanza di Robin, ma poi il ciliegio era cresciuto e si era frapposto tra me e quella finestra, impedendomi la visuale.

Ignorai quei ricordi e bussai sul vetro della finestra, mantenendo una presa salda sul ramo. «Robbie!» bisbigliai. «Hai intenzione di svegliarti sì o no?»
Un piccolo tonfo proveniente dalla sua camera mi distrasse, e senza pensarci gettai uno sguardo alla stanza illuminata.
La visione di lui a torso nudo che mi fissava con gli occhi spalancati a meno di un paio di centimetri di distanza dalla mia faccia, mi fece spaventare.

Strillai, perdendo la presa sul ramo.
Chiusi gli occhi, spaventata dalla caduta di almeno cinque o sei metri che stava per accogliermi a braccia aperte, e mi raggomitolai su me stessa per cercare di attutire l'impatto.

Ma il tonfo del mio corpo che toccava terra non arrivò mai.

Mi sentii afferrare per le braccia da qualcosa di forte, e qualcuno mi sussurrò: «ci sono qua io, non ti lascio», e finalmente aprii gli occhi, appena in tempo per vedere Robin che finalmente riusciva a sollevarmi fin dentro la sua stanza.

Mi stava abbracciando forte. «Ehi» mi sussurrò dolcemente. «Stai bene?»

Io annuii, incapace di parlare. Mi sentivo tremare le ginocchia.
Dopo circa cinque minuti in quella posizione però, la situazione non migliorava. Aprii nuovamente gli occhi, accorgendomi che lui era ancora senza la maglietta. Che fosse quella la causa delle membra a budino?

“Ma no”, mi dissi, scacciando via quel pensiero. “L'ho visto nudo anche a sei anni, che sarà mai cambiato in una decina di anni?”

Lo osservai di sottecchi ancora una volta. Okay, sì, qualcosa era cambiato. Giusto un tantino.

Mi schiarii la voce, allontanandomi dal suo abbraccio affettuoso. «Sto bene» gli dissi. «Potresti, ehm, che so... metterti qualcosa di più coprente?» accennai al suo petto indicandolo con un gesto delle mani, imbarazzata.

Ma lui non mi ascoltava nemmeno: la sua espressione era assolutamente furiosa. Che ne era stato della premura di pochi istanti prima?
«Scema!» esclamò, trattenendosi dall'urlare per non svegliare i suoi genitori. «Che cavolo ti è saltato in mente? Potevi ammazzarti!»

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando, e mi buttai sul suo letto. «Ma no, che esagerato.»

Lui mi guardò male. «No che non esagero! Sarebbe stata davvero una brutta caduta.»

Io lo ignorai, rotolando sul suo letto. Ero felice di essere tornata normale: gli arti tremolanti erano completamente spariti.

«E togliti dal mio letto!»

Mi fermai e mi sedetti, però non accennai minimamente ad alzarmi da lì. Lo guardai, e feci un sorrisetto allusivo. «Hai intenzione di vestirti, prima o poi?»

Robin indossava solo i pantaloni del pigiama, che gli ricadevano morbidi lungo i fianchi. Era a piedi scalzi, sul parquet, e i capelli più o meno ricci erano tutti spettinati. Aveva sempre avuto dei capelli strani, che sparavano da tutte le direzioni. La cosa più strana in quel momento però, non era quella.

Robin non stava portando gli occhiali. Da che ne avevo memoria, non lo avevo mai visto senza occhiali.

Lui si guardò e arrossì, resosi improvvisamente conto dello stato in cui si trovava. Mi venne da ridere per la sua espressione comica, e lui se ne accorse. Infatti mi lanciò un'occhiataccia.

Dalla mia nuova postazione sul suo letto gli tirai una maglietta, divertita. Robin la prese al volo e si affrettò a indossarla, mentre borbottava qualcosa che purtroppo non sentii.

«Dimmi subito cosa hai detto» gli ordinai ridendo, lanciandogli un cuscino.

«Cose poco lusinghiere» mi rispose, tirandomi addosso il cuscino quando meno me lo aspettavo. E infatti riuscì a colpirmi in faccia.

Ruzzolai all'indietro tra i cuscini, continuando a ridere ripensando alla sua espressione di poco prima. Rimasi così, in preda a un folle attacco di ridarella.

Mentre ridacchiavo da tra me e me, sentii un peso sul letto, proprio accanto a me, e Robin mi tolse il cuscino dalla faccia, sorridendo. «Sei strana» mi disse, scuotendo la testa con pietà. «Pazza, a dire il vero. Non credo che riuscirò mai a capire le pazzoidi.» Si diede una manata sulla fronte, con fare drammatico. «Povero me!»

«Sei cattivo!» Misi il broncio, contenta però che avesse smesso di rimproverarmi per il gesto di pochi minuti prima. Sapevo di aver sbagliato, ma non me ne curavo troppo: quello che stava per accadere era più importante di una semplice caduta. Non vedevo l'ora di dirglielo.

Robin fece un sorrisetto sghembo, quasi storto. Era una cosa che faceva spesso. «Sei tu che mi sei piombata in casa nel bel mezzo della notte.»

«Dettagli» risposi noncurante, mangiucchiandomi l'unghia del pollice. «Futili dettagli», ribadii. Sai cosa sta per accadere?»

Lo guardai negli occhi per vedere la faccia che avrebbe fatto alla notizia, e la nostra vicinanza mi colpii.

Robin mi stava quasi incollato addosso, e i suoi espressivi occhi color cioccolato guardavano dritti verso di me. Mi erano sempre piaciuti gli occhi di Robin. Avevano un'espressività un'unica, e sebbene lui affermasse il contrario, erano gli occhi più belli che avessi mai visto.

Eppure, senza le lenti la loro espressività risaltava ancora di più, colpendomi profondamente. Era come se non stessero guardando solo me, ma tutta la mia essenza.

«No, cosa?» sussurrò, con un tono di voce che mi fece sobbalzare. Non riuscivo più a guardarlo negli occhi.

Mi girai repentivamente verso il suo comodino e afferrai i suoi occhiali. Poi mi stampai un enorme sorriso in faccia ed esclamai: «Stasera suona la mia band preferita. Si esibisce proprio qui, in città!» Gli appoggiai gli occhiali sul naso, frettolosamente, continuando a parlare. «L'evento è stato organizzato in fretta, nessuno sapeva del loro arrivo. L'ho saputo un'ora fa, e non vedo l'ora di andarci!»

Sorridevo, davvero troppo felice della cosa, mentre gli sistemavo gli occhiali dietro le orecchie. Lui mi faceva fare, come se non fosse infastidito dal mio gesto.
Del resto, mi guardava con la bocca spalancata, troppo stupito per parlare.

Pensai che la notizia non fosse poi così importante per lui, ma poi Robin fece un enorme sorriso. Di conseguenza, sorrisi pure io. «Scherzi? Sono davvero felice per te!»
Mi toccò la guancia con l'indice, punzecchiandomi in modo scherzoso. Poi improvvisamente il suo sorriso si spense, e la sua fronte si aggrottò come ogni volta che faceva un pensiero serio.

«Aspetta» disse infatti, guardandomi con un'espressione truce. «Stavi per cadere dal quinto piano per uno stupido concerto?»

Ouch. Quell'aggettivo mi fece male fisicamente. Eppure, sapevo che Robin non lo pensava sul serio. Anche a lui la musica piaceva molto: in fondo era un artista come me. Ma la sua offesa non passò indisturbata. «È colpa tua che non ti sei svegliato» ribattei, contenendomi per non rispondergli male.

«Mi sono svegliato appena hai tirato il primo sassolino! Il tempo di alzarmi dovevi darmelo, no?»

Riflettei, aggrottando le sopracciglia. Ora non avevamo tempo per discutere. «Sciocchezze, dobbiamo sbrigarci. Andiamo!»

«Aspetta, quando dici che è oggi intendi dire che stanno per suonare?»

«Brillante deduzione, Sherlock» gli risposi, ironica.
Scesi dal suo letto, iniziando a sfilarmi gli stivali.

Lui mi guardava strano. Si passò una mano sulla nuca. «Che stai facendo?»

Lo ignorai e mi tolsi gli stivali, scalciando. Poi iniziai a sbottonarmi i jeans.

«Ferma, ferma, ferma! Si può sapere che intenzioni hai?» strillò, allarmato. Guardava continuamente a destra e a sinistra, come se si sentisse osservato.

«Tranquillo. Non ci sono telecamere nascoste in giro per la stanza, sai?» gli feci notare, irritata dal fatto che stesse cercando di guardare ovunque tranne che me. «Non ancora, per lo meno» aggiunsi, nel tentativo di attirare la sua attenzione.

Lo stratagemma funzionò, perché lui si girò verso di me proprio mentre i jeans cadevano a terra e io mi sistemavo la gonna del vestito che avevo sotto.
Lui però non se ne rese conto, perché il suo viso guizzò istantaneamente verso l'alto, nel tentativo di non guardare, e io mi misi a ridere. «Che scemo» ridacchiai, iniziando a sfilarmi la felpa. «Vedi che ho un vestito sotto.» Buttai la felpa sul suo letto. Che te ne pare?» gli chiesi, dopo essermi sfilata anche la maglietta.

Avevo scelto un tubino rigorosamente nero per l'occasione, semplice ma elegante.

Abbassò lo sguardo verso di me e si rese finalmente conto che che non avevo deciso di improvvisare uno spogliarello nella sua stanza come se niente fosse. «È carino» mi disse, grattandosi la guancia nel tentativo di non far trasparire l'imbarazzo di poco prima. «Davvero carino.»

Sbuffai, non molto soddisfatta della risposta. Del resto, che mi aspettavo?
Ma non mi importava, perché avevo ancora una missione da compiere.
Mi rimisi gli stivali, ancora più scontenta di prima a causa di quella scelta stupida: non erano per niente adatti, specie con quell'abito, ma non potevo tornare a casa per cambiarli con qualcosa di migliore.

Afferrai le scarpe di Robin che erano vicino al letto e gliele passai. «Andiamo» gli ordinai soltanto, prima di spalancare la porta della sua stanza e addentrarmi in punta di piedi nell'oscurità della sua casa.

*Angolo autrice*
Allora, cari fanciulli... Che ve ne pare?
Genere nuovo, stile nuovo... Certo che dalla terza alla prima persona è un bel cambiamento, eh :3
Spero che questa storia vi abbia incuriosito, perché non è come tante altre (il che non è necessariamente un bene ^^").
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto

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