L'unico modo per farti stare zitta
Matt mi chiama per pranzare con lui, poi decidiamo di guardare un film e finiamo col passare il pomeriggio intero stesi in divano a mangiare schifezzette.
La sera tornano i miei genitori e ci dicono che quella sera mangeremo fuori, in un ristorante carino, il che implica il vestirsi bene. Mio malgrado obbedisco e indosso la gonna col velo e un crop-top nero con le decoltè di vernice. Il ristorante è un po' fuori città, una ventina di minuti in auto. Abbiamo un tavolo riservato per noi quattro in un angolo del locale. La cena prosegue noiosissima: Philip e mia madre parlano di lavoro e commentano ciò che è successo al meeting di questi giorni, Matt finge di ascoltare messaggiando sotto il tavolo e io, beh, mi annoio. Beh, almeno ho la mia birra.
-Si... hai ragione cara...- ridacchia Phillip, alzo gli occhi al cielo pensando che questa cena non possa peggiorare quando... il mio patrigno torna a parlare, ma questa volta pretende la nostra attenzione. Tintinna con la forchetta sul bicchiere, Matt alza lo sguardo dal cellulare. -Bene ragazzi, vi starete chiedendo perchè siamo qui questa sera.-
-È dall'inizio della serata che mi chiedo che faccio qui.- sussurro a denti stretti.
-Ebbene, Pamela ed io pensiamo sia ora di dirvelo, siete abbastanza grandi e vogliamo trattarvi da adulti.- attacca Phillip.
-Non era così serio neanche quando mi ha detto che babbo Natale non esiste.- ridacchia Matt guadagnandosi un occhiataccia da suo padre.
-Battutacce a parte, Pamela ed io abbiamo deciso di dirvi che ci sposeremo.- no, devo aver sentito male.
-Come?- esclamiamo in contemporanea Matt ed io.
-Ci sposeremo!- ripete mia madre con un sorriso eccitato. Apro la bocca nel disperato tentativo di respirare. Non mi ero mai posta il problema che mia madre pensasse di risposarsi, pensavo che dopo papà non ci sarebbe più stato nessuno. Immagino loro si aspettassero un'altra reazione. Ci guardano.
-Grande pa'.- tenta di rimediare Matt, ma gli leggo nello sguardo che neanche lui é troppo felice di diventare mio fratello a tutti gli effetti. Io scuoto la testa.
-Ho bisogno di aria.- sussurro allontanandomi dal tavolo, prendo la giacca ed esco dal locale. Compongo il numero di mio padre. Ho bisogno di lui, di dirgli quello che sta accadendo. Scommetto che lui farà qualcosa. Non voglio che Phillip diventi mio padre; non voglio abbia potere su di me, che possa punirmi, che possa obbligarmi a cambiare un vestito per lui troppo corto o che si metta a ficcare il naso nelle mie cose. Non voglio che Matt diventi mio fratello. Non voglio che mia madre abbia un altro uomo a tutti gli effetti.
Squilla, ti prego rispondi.
Squilla, ti prego.
Squilla, entra in segreteria.
-Fanculo.- impreco lasciando cadere il cellulare in terra. E ora che faccio? Non voglio tornar dentro e vedere quei due che si tengono la mano. Sento gli occhi velarsi di lacrime.
Decido di andare dall'unica persona di cui mi fidi, l'unico che mi faccia stare bene, Avan. Mi guardo attorno... non dovrebbe essere molto distante casa sua, le mie gambe si muovono da sole. E che faccio? Mi presento a casa sua alle nove e mezza della sera senza un invito? È pur sempre il mio professore di filosofia. Son quasi convinta a tornare indietro quando le sue parole della prima volta mi tornano alla mente:
Fai finta di non conoscermi,
ora non siamo a scuola.
Lo farei, se fosse Matty, mi presenterei davanti casa sua senza invito. Ora lui non è un mio professore, non siamo a scuola.
Quasi senza accorgermene mi trovo davanti al suo cancello, senza saper bene cosa fare. Mi maledico per aver abbandonato il mio cellulare davanti al ristorante; ora che faccio? Una sagoma viene verso di me, si stringe nella felpa per il freddo.
-Elizabeth?- la sua voce mi fa fremere, raggiunge il cancello, inserisce le chiavi e fa scattare la serratura, la grata ruota sui cardini ben oliati e silenziosi. Appena si apre il cancello mi getto tra le sue braccia. Dapprima è un po' insicuro e resta duro, poi le sue braccia si chiudono attorno alle mie spalle stringendomi a lui. Non mi fa domande, semplicemente poggia le labbra sulla mia fronte e mi pettina i capelli tra le dita. Mi stacco leggermente, ho le guance arrossate e il trucco mi è un po' colato sotto gli occhi. -Vieni dentro.- sussurra cingendomi le spalle con un braccio, annuisco e percorriamo il cortile. Orami la sua roulotte mi è diventata familiare e amo ogni quadro, ogni statuina, ogni libro. Mi lascia sedere sul letto come le altre volte, solo si siede davanti a me. Poso lo sguardo sul pacco di compiti aperti sulla scrivania.
-Io... - inizio a parlare a raffica, senza connettere il cervello alla bocca. -Scusa, ti sto disturbando, non dovevo venire qui solo che è tutto così fottutamente una merda che non posso farcela da sola e poi mio padre e...- mi zittisce, posa le sue labbra sulle mie bloccandomi il respiro. Resto ferma, impacciata su come muovermi. Non mi era mai capitato di non sapere come comportarmi ad un bacio di un ragazzo eppure sembro di ghiaccio. Lui si stacca con un sorrisino, mantenendo le mani sulle mie guance.
-Era l'unico modo per farti stare zitta.- si scusa, il suo sguardo si posa nuovamente sulle mie labbra.
-Dovrei parlare un po' più spesso.- sussurro.
-Dovresti parlare sempre.- conferma con un sorriso.
-O forse dovresti essere tu a baciarmi un po' più spesso.-
-Forse.- fa combaciare nuovamente le nostre labbra, questa volta mi sento un po' più a mio agio e gli circondo il collo con le braccia. Lentamente mi fa sdraiare e si mette sopra di me a gattoni. Ci separiamo leggermente, entrambi ansimiamo per la foga del bacio, i nostri occhi incatenati gli uni agli altri.
-E ora che succede?- chiedo in un sussurro incrociando le dita che lui non pensi al fatto che sono sua alunna. Sorride sfiorando le mie labbra.
-Che dovrebbe succedere?- abbasso lo sguardo sulla felpa che indossa e sui pantaloni della tuta portati bassi che lasciamo intravvedere i boxer blu. Quelli finiranno in terra.
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