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Ah ah, scordatelo, non ti mostro le tette

-Elizabeth, svegliati tesoro.- la voce di mia madre di prima mattina è la cosa più fastidiosa al mondo, dopo il suo modo gioioso di rovinarmi il risveglio, chiaro. Tira su la persiana, il sole mi brucia gli occhi e nascondo la testa sotto al cuscino mugugnando parole incomprensibili. Mia madre si avvicina al letto e inizia a passarmi la mano sulla schiena per farmi alzare, neanche in vacanza posso dormire?

-Ancora qualche minuto...- borbotto girandomi dall'altra parte.

-Devi fare le guide con Beck, Elizabeth, svegliati.- risponde pacata, è così strano che abbia una voce così tranquilla nello svegliarmi.

-E vabbè, arrivo tra un po'.- brontolo.

-È già qui Elizabeth.- eh, Beck è già qui... cosa?!? Mi alzo di scatto sedendomi sul cuscino, riesco a mettere a fuoco la figura di Beck poggiato alla porta e con le braccia incrociate al petto; uh, cazzo, spero non racconti di questo ad Avan. Mi fa un cenno con la mano, alzo gli occhi al cielo. -D'accordo, allora ti lasciamo preparare.- squittisce mia madre raggiungendo la porta. -Vieni caro, preparo un caffè.- sparisce in fondo al corridoio seguita dal moro. Cado nuovamente a letto.

-Dio, odio la mia vita.- sbuffo dovendomi allontanare dalle coperte calde e accoglienti.

-Sempre più psicopatica.- commenta Matt passando in corridoio, non vorrà chiudersi in bagno a... la porta sbatte e sento le chiavi girare.

-Devo fare la pipì.- sbuffo avvicinandomi all'armadio, al solito contemplo il vuoto cosmico per qualche minuto prima di scegliere cosa indossare: oggi mi sento da tuta.
Busso alla porta del bagno. -Matt, ho bisogno del bagno.-

-Vai al piano di sotto.- risponde con voce scocciata.

-Ho bisogno di un assorbente.- la porta si apre, la mano di Matt mi passa un assorbente notte e sparisce chiudendo nuovamente la porta a chiave. Torno in camera, se devo prepararmi giù mi servono la spazzola e i trucchi, già che scendo decido di prendere anche le scarpe e il giubbotto; con le mani ingombre di cose scendo le scale, faccio il corridoio  e passando davanti alla cucina dove mi scontro con zia Rose.

-Scusa pasticcino, devo andare, perdonami.- dice veloce superandomi, con un lamento mi chino a raccogliere le cose. Beck che ovviamente stava in cucina con mia madre viene ad aiutarmi; raccolgo i trucchi, la  spazzola, le scarpe. Alzo lo sguardi sul moro che tiene il giubbotto e l'assorbente in mano, me li porge con un sorrisetto che fa bruciare le mie guance arrossate.

-Grazie.- borbotto strappandoglieli dalle mani, mi chiudo in bagno. Bene, come sempre la giornata inizia al meglio. Un respiro profondo Elizabeth e tutto andrà meglio. Mi cambio, mi pettino e mi trucco, una decina di minuti e sono pronta, raggiungo Beck e mia madre in cucina dove, perlomeno, mi aspetta la mia tazza di caffè fumante. La sorseggio in silenzio. Sento lo sguardo di Beck posarsi su di me. -Bene, andiamo? Prima iniziamo sta cosa e prima finiamo.- sbuffo appoggiando la tazza sul lavello quando il silenzio è ormai troppo imbarazzante, il ragazzo annuisce e saluta mia madre. Usciamo di casa, una cinquecento grigio metallizzato è parcheggiata sul vialetto, Beck la apre con un bagliore dei fari.

-Bene, principessa a lei.- mi apre la portiera del guidatore, scuoto la testa con un sorriso.

-No, io non lo farò. Ho bisogno che tu mi porti a Willowwood park in centro.- apro la portiera del passeggero, lui si appoggia alla macchina e incrocia le braccia al petto. -Per favore, puoi portarmi a Willowwood  park?- lui alza le spalle.

-Perché dovrei? Gli accordi con tua madre erano che guidavi tu.-

-Senti amico mio, ho bisogno di arrivare a Willowwood park, ho bisogno di vedere mia nonna paterna e indovina un po'? Sta lì! Quindi sali su questa cosa e portami lì per favore.-

-Vedi, sarebbe disubbidire a ciò che ho detto a tua madre.- alzo gli occhi al cielo, come se davvero potesse interessargli di mia madre.

-D'accordo, cosa vuoi in cambio?- sbuffo, un sorrisetto malizioso gli compare sulle labbra e posa lo sguardi sul mio seno, incrocio le braccia al petto e scuoto la testa. -Ah ah, scordatelo, non ti mostro le tette.-

-Uh... hai ragione: col ciclo non si scopa.- ridacchia accennando all'assorbente di poco fa in cucina.-Bene, allora un appuntamento. Solo tu ed io, questa sera. Accetta o preparati a guidare.- uscire col fratello di quello che è il mio "fidanzato", un prezzo un po' alto per un semplice passaggio in auto; prezzo che son pronta a pagare per capire cosa succede alla mia famiglia paterna. Mi porge la mano.

-Uh, d'accordo.- stringo la sua mano. Lui mi fa l'occhiolino e si muove verso il posto del guidatore.

-Fidati principessa, sarà la serata migliore della tua vita.- io alzo gli occhi al cielo e chiudo la portiera. Allaccio la cintura e fa muovere la macchina. Poggio la testa sul vetro freddo del finestrino, sarà un viaggio abbastanza lungo.

-Ti disturba la musica?- chiede cortese, scuoto la testa: se c'è la musica non son costretta a parlare e almeno non ci sarà il silenzio imbarazzante di due che effettivamente non si conoscono e non hanno nulla in comune.

La macchina si ferma proprio davanti al vecchio cancello d'entrata del parco, io volgo lo sguardo ai palazzi lì davanti: da quello che mi ha detto mia madre dovrebbe essere il 32 B.

-Ti aspetto qui?- sbuffa Beck spegnendo il motore, io scendo dall'auto.

-Penso sia meglio... se vuoi farti un caffè ci vediamo tra un'oretta.- rispondo prima di chiudere la portiera. Attraverso la strada, cammino un po' prima di trovare il palazzo contrassegnato 32 B, spingo la pesante porta di vetro ed entro nell'atrio, mi avvicino alla portineria.

-Posso esserti utile?- sbuffa la ragazza dietro il vetro spesso, fa scoppiare una bolla di cewingum e torna a masticare a bocca aperta.

-Io... stavo cercando un appartamento affittato per un paio di settimane a nome "Gillies".- dico poggiando le mani con le dita aperte, se non la smette con quella cicca gliela faccio ingoiare.

-Gillies dici... uh, fa un po' guardare.- masticando, scrive qualcosa sul computer e preme invio, alza gli occhiali sul naso a punta e scorre l'elenco. -Uh, c'è un Thomas Gillies all'interno 58.-

-Si, è lui, grazie mille.- non le chiedo neanche il piano perchè se fa un'altra bolla le spacco la faccia. Mi limito a salire le scale piano per piano; uno, due, tre, quattro. Sono senza fiato quando arrivo al nono piano e trovo davanti a me la porta segnata 58. Cazzo, devo smettere di fumare; i miei polmoni chiedono pietà. Percorro il breve spazio del pianerottolo con gambe tremanti, mi poggio allo stipite della porta e suono il campanello attendendo che o la nonna o il nonno o papà venga ad aprirmi. Dopo qualche minuto son quasi rassegnata a scendere quando sento la chiave girare nella serratura e numerosi chiavistelli aprirsi, il viso coperto dalla barba candida del nonno sporge dallo spiraglio appena appena aperto.

-Elizabeth?- mormora, alza gli occhiali sul naso pronunciato e accenna ad un sorriso.

-Ciao nonno.- sorrido abbracciandolo, mi lascia entrare accogliendomi in un piccolo locale illuminato da una lampadina pendente dal soffitto.

-Che ci fai qui cara?-

-Son venuta a trovarvi, dov'è papà? Perché non siete venuti ieri sera? Perché non siete ancora venuti a trovarmi?- domando frenetica, il sorriso del nonno si spegne e il suo sguardo si abbassa per terra. -Dov'è papà?- chiedo nuovamente. Lui non risponde, allora giro io per le stanze: soggiorno, nulla; cucina, niente; bagno, vuoto; mi resta la camera da letto, apro anche quella porta e vedo la nonna seduta curva su di una sedia davanti la finestra, stringe in mano il cellulare. Solo ora mi rendo davvero conto di cosa è successo.

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