Voli pindarici
Capita, a volte, di avere la testa affollata da una miriade di pensieri scollegati. Una volta ho provato a farli uscire senza legarli tra di loro, ma piuttosto accompagnandoli con una melodia immaginaria.
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Cercavo una canzone.
Un'ispirazione.
Me ne stavo al piano, palleggiavo con i pensieri e i desideri. Ne cercavo un senso, un filo conduttore. Un linguaggio conduttore. Uno solo, e neanche in quello riuscivo a compiermi.
*Silenzio*
Mi scuoteva un vento forte, mi trascinava tra ossimori surreali, una ricerca di originale che fracassava la sua corsa contro un muro di mattoni.
*Silenzio*
Me ne stavo al piano, cercavo una melodia che non fosse già ascoltata, catturata dal pentagramma di un artista più poliedrico (?) e tutto ciò che mi veniva era solo note slegate e accordi da nulla.
*Silenzio*
E allora l'ho fermato. Il ritmi. L'ho rallentato. Nella testa intendo (che sia chiaro!). L'ho rallentato e del ciclone ne ho fatto un'onda.
E lì
mi ci sono adagiata.
Allora sì, le parole, le domande, le ho viste affiorare. Tra bagliori di luce e fasci di buio le ho sentite germogliare.
#1 – What if...
E se il seme... Se il seme nella terra avesse paura di morire? Se dubitasse del rifiorire della primavera? Del susseguirsi delle stagioni, del ciclo eterno che sempre – inequivocabilmente – si ripete? Se rifiutasse di lasciarsi andare perché stretto, strizzato dal dubbio che striscia, che sale, che cresce? Perché martellato dalla paura del non sapere. Come me che non vedo, non chiedo il conforto di un Dio che ormai non mi appartiene. Se il seme nella terra avesse paura di morire?
Se si fermasse ansimando
cercando
di rubare attimi di aria a una stagione che non gli concederà di continuare? Che morire è a volte necessario. Per rinascere. Rifiorire.
#2 – Getting dark...
Titoli di coda, è tempo di salutare. Fare un inchino e poi svanire. Adesso ho imparato e non ho paura. Non ho paura di perdere, di cadere. No. Adesso non ho paura di cadere.
Ma piuttosto di quel momento – invincibile! – quel momento in cui ci si ritrova così
dolorosamente
nuovamente
soli...
Con cosa riempirò il vuoto che lascerai? Con quali ninnoli, passioni, ricordi, impegni, desideri? Quanti e quali dovrò cercare perché siano tanti abbastanza? Perché siano tanti e potenti abbastanza... Da riempire il vuoto. Il buco gravitazionale di quello che ora è l'orbita di un mondo parallelo che così – inaspettato e invincibile – ha sfiorato il mio. Con il suo senso di pienezza, di nuovi spunti, nuova fede (forse?), luci e stelle come guide, fari nella notte. Ma come affidarsi alla stella polare in una notte di nubi (cosmiche) e foschia?
A tentoni, andando avanti. A perdersi nella nebbia.
E ritrovarsi in qualche modo.
Ritrovarsi prima o poi.
Ma trovandosi soli.
#3 – Hush...
Un'ultima onda a cullare il mio pensiero. Lenta, delicata, costante. Piacevole. Il pensiero di quando si era, un tempo lontano, vivi. Il ricordo perfetto e indelebile di averla avuta. La vita. Averla avuta sulla pelle, averne preso un sorso – delizioso – a piene mani. Averti avuta, vita.
Tra le paure, le sciocchezze, le spine da nulla e i ferri arroventati, laggiù in un angolo c'eri tu. Dall'altra parte. A lucidare ciò che la polvere voleva seppellire. A spazzare i cocci di ciò che si era rotto, a rimpiazzare ciò che era andato perduto. Paziente, costante a spolverare. Dopo la rabbia, il dolore, la gioia, l'euforia. Dopo tutto il resto c'eri tu. A portare via le cianfrusaglie. A sgonfiare le parole, le inutilità ermetiche dei miei pensieri contorti.
A ricordare il sapore che hanno, la scossa che danno le emozioni quando le si esprime chiamandole esattamente con il loro nome. Sorprendenti. E disarmanti. Come la pioggia estiva che piomba inaspettata sulla terra rovente e il fumo che ne viene fuori ha l'odore puro, essenziale della vita quando la senti respirare.
E la pioggia sulle foglie diventa melodia.
(ottobre 2008)
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