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La cartina

Quando mi decisi a scriverlo, l'idea base di questo racconto mi girava nella testa da tempo senza trovare un inizio e una conclusione. Mi incuriosiva l'idea di raccontare una persona che fosse un po' viaggiatore e un po' artista, una persona che avesse una storia diversa dal solito.  Ne ho riscritto spesso delle parti per renderle più fluide e tappare, qui e là, qualche falla nella narrazione. Ritengo, tuttavia, che ci sia ancora margine di miglioramento. Ma per ora va bene così.

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Il treno riparte. La fronte chiara precipita dal pugno su cui era appoggiata. Riposo da equilibristi delle trasferte notturne: ormai lo conosce bene. Con un gesto rotondo Éter si abbraccia le ginocchia, dà un'occhiata al corridoio ancora vuoto pochi metri più in là, poi torna ad appoggiarsi con la fronte sulla stoffa consunta. Il sedile puzza di ferro e di polvere. Un altro scossone, e proprio quando la testa le scivola giù per il sonno. Si solleva, inspira, guarda fuori dal finestrino. Ancora notte fonda. Il ricamo di stelle nel cielo sopra la ferrovia che attraversa il buio come un graffio rugginoso. Un uomo entra nello scompartimento, le chiede qualcosa in una lingua che non conosce. Starà cercando un posto per sedersi. Lei gli indica quello accanto al suo abbozzando un sorriso, lui lo esamina per qualche secondo, getta uno sguardo allo scompartimento vuoto accanto, poi si allontana senza una parola. Ci sono complicità segrete che nascono soltanto tra viaggiatori insonni, così, senza bisogno di parlarsi, come due soldati in trincea ad aspettare l'alba quando ormai la battaglia è passata. La cartina arrotolata fa capolino dalla tasca dello zaino. Éter la apre, la osserva sorridendo, conta le crocette. Ormai sono esattamente la metà di quando è salita sul primo treno, qualche anno o qualche vita fa. Finalmente si riaddormenta, distesa sui sedili come un cane randagio. Ha l'espressione imbronciata di chi non è sereno neppure nel sonno. Non ha casa, né famiglia. Un tempo li aveva ma adesso non le importa di essere ricordata. Non si rivela se non quando balla, in punta di piedi, col peso di una vita in equilibrio sulle caviglie sottili. Una breccia dentro un muro di roccia e mattoni.

La stazione nel mattino è un formicaio di grida e cappelli. Éter resta per un po' a guardarsi intorno. A chiedersi come fare per affezionarsi ad un'altra città ancora. Soprattutto a capire dove passerà la notte questa volta. Per anni ha vissuto piazze, tendoni, strade. Senza soffrire la fame e dormendo al freddo solo poche volte. Ha imparato presto che i passanti che storcono il naso a mendicanti e accattoni sanno essere generosi con chi riesce a commuoverli o magari soltanto a divertirli. Una bambina si dimena contro il padre che cerca di trascinarla sul treno arrossendo di rabbia e imbarazzo. Éter la osserva costretta dal suo corpicino ad arrendersi ai "grandi", a seminar lacrimoni mentre sparisce nel mostro di ferro. Strani segnali manda a volte il destino. Sa che nel profondo ognuno desidera partire, ma che ci vuole un motivo per farlo. Desiderio, bisogno o soltanto noia, ma un motivo per farlo. Alcuni giorni i ricordi si fanno più forti, pesano sulle spalle. È allora che si guarda intorno e capisce che è il momento di andare. C'era stato un tempo in lasciava che il mondo la permeasse dei suoi eventi, i turbinii di dolore e di gioia della vita vissuta da chi ha terra e radici. Fino a che, come a volte accade, in quel mondo finì col perdercisi senza più sapere come venirne fuori.

– Se esiste un modo – aveva pensato – se esiste un modo per non perdersi, deve essere non avere una meta.

La piazza del paese è mezza deserta ma si popolerà nel pomeriggio. Éter ha già trovato un'amica per questa tappa. Un po' di denaro risparmiato è sempre una benedizione. Stranieri in terra straniera, capirsi è semplice. Non è certa che sia un bene: di solito non ama incontrare i suoi connazionali, soprattutto quelli che hanno messo radici altrove. Non fanno che domandare come si viva adesso a casa, sperando di sentirsi dire che va tanto bene o che le cose miglioreranno presto. Amano sognare di tornare un giorno. Éter decide sempre di renderli felici e regalar loro l'illusione di poter tornare a camminare le strade dell'infanzia. Come se fosse possibile riaverle immutate. Come se il ritrovarle irriconoscibili e quasi stuprate non fosse una delusione peggiore del dover sognarle soltanto. Ma non si preoccupa di questo, sa che tornare è raro per chi ormai parla una lingua diversa. Si allaccia le scarpette ben strette intorno al collo del piede. I segni che non vede in qualche modo se li porta sulla pelle. I segni di un amore che non visse mai, che non si consumò mai ma restò nascosto, celato in gesti rubati agli occhi altrui e desideri che si confinarono in fondo all'animo a scavare. A bruciare piano. Quell'amore che sapeva esserle negato sin dall'inizio, ma che, per istinto o debolezza, decise comunque di assecondare. Del resto – lo sapeva – un istante dopo averlo incontrato era ormai già tardi per spegnerlo. Ne accettò ogni aspetto, anche le conseguenze. Gli adulti hanno destini ai quali non possono sottrarsi. È loro diritto piangere, scalciare, sognare persino, ma non cambiare vita. Lui non poteva cambiare vita. Troppo grave lo scandalo, troppo alto il rischio. Non poteva. Ma a lei era ancora concesso.

E allora Éter aveva deciso di andare. Riassumere il suo mondo in due stracci in fondo a un bagaglio e seguire l'aria, i suoi profumi, i colori del cielo. Intoccabili anche quelli, come a volte l'amore.

– Sono qui per dire fine. E non so se è giusto e non so se sarò felice. Ho paura, questo so. Ma anch'io ho una strada da seguire.

– Lo sapevi.

– Sì. Lo sapevo.

– Mi dispiace.

– Lo so.

Solo una cosa decise di prendergli, gliela chiese in pegno.

– La cartina.

Una velleità da aristocratico, quell'ostentazione pacchiana sul muro al fianco di arazzi e tele d'autore. Una cartina su cui lui aveva segnato ogni luogo che avesse toccato nei suoi anni da corrispondente in giro per il mondo. Una croce su ogni città in cui aveva messo piede.

– La cartina.

Non disse mai a nessuno a cosa le servisse, neanche a lui.

Ma così, girando il mondo, ha riscritto la sua vita come un affresco su un muro. Ha calcato piazze e città, ballando la storia che non visse mai. Ogni sera la racconta per riviverla poco a poco. Per riuscire a esorcizzarla forse. Poco a poco. E in questo modo perderla, superarla e tornare ad aprirsi al mondo. Tornare ad amare come una persona reale. Ma adesso no, adesso è presto, e ci sono troppe crocette ancora da cancellare, troppi ricordi da liberare. Non ha mai capito questa abitudine che hanno in tanti di segnare sui mappamondi i posti che hanno visitato con spilli e croci. Infilzano e tumulano ciò che hanno vissuto facendo della loro storia un cimitero di ricordi. Forse perché sanno di avere una casa, sanno di dovere in qualche modo proteggere le loro radici per non cedere alla tempesta di fuori che grida incessante il suo richiamo. Chi non ha casa ha soltanto se stesso, ed è in sé che custodisce i ricordi.

E così, prendendosi in pegno la cartina, Éter prese per sé una parte della sua vita. La parte in cui anche lui era libero di decidere, forse l'unica che avrebbe potuto donarle. Calcare le sue impronte a ritroso. Ha camminato strade e incontrato gente ogni volta cercando lui. Ed è stata con cento uomini ogni volta amando lui. Da anni continua a seguire il sentiero tracciato dal suo amore anni prima. E più cieli vede, più capisce di amare troppo il mondo per appartenere a un posto solo. Eppure, nonostante tutto, sa che un giorno deciderà di fermarsi. Sceglierà una casa dove guardare lo stesso orizzonte cambiare colore con le stagioni e dove fare le pulizie quando arriva primavera.

Ma oggi è presto. Oggi si sente leggera. Ballare saràfacile. Le luci della città sono già accese sebbene non sia ancora ilcrepuscolo. Éter si posiziona proprio al centro della piazza tra i lastroni dipietra chiara e attende che la musica parta. Ha le dita rivolte verso unorizzonte che non sa ancora. È pronta a riviversi di nuovo per una sera comeogni sera. Ecco la musica. Le gambe che inseguono un paesaggio lontano. Ognitanto la sfiora il tintinnio di una moneta gettata ai suoi piedi, che laschivano agili e disegnano nell'aria una serie di linee frastagliate, comescritte su una cartina geografica.

(giugno 2009)

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