•·Capitolo 3·•
Nel capitolo precedente: «Fingerò di essere una peccatrice dell'Invidia».
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Il girone della Lussuria aveva la stessa vivacità delle strade newyorkesi, Lilith le rammentava come sprazzi di fotografie, bagliori fiabeschi che i suoi occhi avevano osservato anni orsono. New York da bambina le era piaciuta, sembrava la città della meraviglia, dove i castelli fatati che aveva visto nei libri per bambini non avevano mattoni bianchi e torri, bensì pilastri in cemento e grandi vetrate sui lati, dove gli animali fantastici apparivano nei cartelloni pubblicitari e nelle luci abbaglianti e dove l'animo agguerrito delle principesse era spartito nella vivacità fiera dello sciame di cittadini. A New York sembrava che tutti avessero un'avventura sulle spalle, che fossero sempre nel mezzo di un'impresa.
Però, quando era partita nuovamente per quella metropoli, l'immaginazione bambinesca non c'era più e vedeva solo grigiore, un alveare sovrappopolato che arrancava schiacciato dal suo peso eccessivo.
Sins, il girone della Lussuria, le apparivano come fittizi, probabilmente anche loro avrebbero fatto la medesima fine di New York.
Le persone erano ammassate nelle vie principali, si guardavano intorno per niente interessate a cosa le stesse circondando, ma solamente per cercare qualcuno con cui compiacere il proprio piacere. Dal viale centrale, le strade secondarie più piccole erano buie e tanfanti, se non ci fosse stato tanto mormorio in giro, era sicura che avrebbe potuto udire gemiti e sospiri.
Scorgendo i peccatori, vide come il vento della passione offuscasse i loro occhi, riempiendoli di cispe e rendendoli ciechi. Arrancavano tentoni come bestie, incuranti di tutto ciò che avessero attorno.
Lilith camminava accanto a Jungkook, che faceva guizzare i suoi occhi azzurri ovunque, come se non si fosse ancora stancato dell'architettura antica, che riportava quasi in un Giappone feudale. Era rapito dalle lanterne e dall'accortezza dei dettagli degli edifici, ignorando completamente il contorno che rendeva quel girone come cosparso da una densa melma. Tuttavia, al contrario delle aspettative della ragazza, furono poche le persone a indirizzare la loro attenzione verso i Peccati Capitali. Jungkook ricevette delle occhiatine, alcune richieste, ma furono esime, mentre Jimin ne ebbe qualcuna in più, ma la maggior parte di coloro che si giravano, riconoscevano i due e voltavano la testa di scatto, come bruciati.
Sembrava paura, timore.
Lilith non seppe spiegarsi questo comportamento.
«Non venivo qui da troppo, cazzo» si lamentò Jungkook, «Questo posto puzza di lubrificante e vagine bagnate». Non era mai stato un assiduo frequentatore di quei luoghi, lui, preferendo starsene alla larga, visto che il sesso gli interessava relativamente poco. Era un bel modo di sfogarsi, sì, ma niente a confronto delle risse.
Jimin concordò senza alcuna esitazione, «Prima che venisse Namjoon, questa gente scopava nel fango, perché non c'erano pietre a coprir le strade» spiegò, «Lui fu il primo a far collaborare i Peccati Capitali e far arrivare qualche lavoratore anche qui». Prima del suo arrivo, Sins era una città degradata, in cui pochi erano i luoghi civilizzati.
«Ma non prendevano malattie?» domandò Jungkook con ingenuità, «Il fango non lubrifica mica, no?».
Il Peccato Capitale dell'Invidia scrollò le spalle, «Non ho queste esperienze nel curriculum».
Lilith sorrise ai loro discorsi, quei due erano strani, ma di buona compagnia. Jungkook in particolare la confondeva: non sembrava per niente un peccatore dell'Ira come se l'era sempre immaginato lei. In più, trovava affascinanti i suoi occhi azzurri, un blu cielo, di un chiarore disarmante, freddo come il giacchio, rigido ed estraneo, risaltava con le ciocche rosso sangue che vi si posavano sopra, come se un Angelo puro e candido stringesse un patto di tolleranza con un rozzo Demone squartatore. Era molto più alto di lei e ben piazzato, sotto il suo giaccone aveva visto muscoli prominenti e gambe allenate, nonostante, a quanto dicesse, non avesse nemmeno ventun anni.
Jimin, invece, era più piccolo, leggermente più basso e minuto di Jungkook, però andava in giro avvolto in pesanti mantelli e vestiti, lasciandosi alle spalle abbondanze di pregiato tessuto nero. Probabilmente familiarizzava con quel colore, perché anche i suoi capelli erano scuri come il petrolio e risaltavano terribilmente contro la sua pelle diafana. Non aveva visto bene, perché Jimin aveva gli occhi più sottili e affilati di Jungkook, ma forse portava delle lenti verdi.
Li precedeva, facendo strada con un mazzo di chiavi tra le dita e lo sguardo puntato verso i numeri civici delle abitazioni, così da trovare il suo. Le aveva chiesto se le facesse male il tatuaggio, visto che Namjoon gliel'aveva fatto prima di venire nel girone, e lei aveva risposto che poteva sopportare. Dalle labbra del ragazzo era uscito un secco bene e, poi, si erano allontanati dal luogo in cui selezionavano i peccati, dirigendosi verso il girone della Lussuria.
Le raccomandazioni erano state poche: non doveva metterli nei guai, né farsi scappare niente dell'assenza del Peccato. Finché non avrebbe avuto familiarità con Sins, non doveva staccarsi da Jungkook e, per il resto, se voleva godersi i diversi spicchi di città, poteva farlo tranquillamente con lui, l'iracondo non avrebbe protestato: Jungkook adorava avere qualcosa da fare, smaniava di svolgere attività e avere sempre le mani in pasta. Non riceveva, però, commissioni frequenti dai Bangtan Boys, così doveva ciondolare come un fantasma annoiato dalla prospettiva di un'eternità tanto noiosa. Spesso picchiava gente con gli Stray Kids, perché attorno al Wrath si radunavano sempre belligeranti vogliosi di sconfiggerlo e prendersi il suo trono, altrimenti andava a trovare i suoi colleghi. Svernava al Greed, bevendo e giocando con Hoseok, cenava con Seokjin nei suoi locali d'alta cucina e si appiattiva il sedere a starsene ore e ore seduto nelle bettole del girone dell'Invidia a sentir assurdità dalle bocche secche e acide dei peccatori.
Jimin era diverso da lui, conduceva studi, passava giorni con il naso sui libri, scriveva ore e ore e si rilassava con della musica classica quando sentiva la stanchezza. Era un uomo di cultura, si era accaparrato tutti i testi presenti a Sins, accumulandoli nella biblioteca dell'Envy, il suo palazzo, o stipandoli nella sua camera personale.
Jungkook non era mai stato dedito allo studio, odiava la scuola e la merda che là era insegnata, per questo non sapeva come facesse il suo collega a trovar appassionanti tutte quelle cose inutili e noiose, scritte in lingue spesso diverse dal coreano, perché non devi limitarti ai nostri caratteri e, siccome Sins era un luogo multiculturale, perché vi arrivavano persone da ogni parte del mondo, Jimin poteva soddisfare anche le sue brame di sapere e parlate nuove.
Non era un caso che Namjoon confidasse in Hoseok per gli affari economici, vista la sua capacità di sfruttare previsioni fruttuose e toccare con mano il denaro, e in Jimin per tutti i compiti che richiedevano competenze maggiori, sfortuna vuole che il peccatore fosse acido e tremendamente bastardo: non condivideva niente con nessuno, temendo di portare gli altri a competere con lui. Bisognava prenderlo nei rari momenti in cui era rilassato, in pausa, quando aveva trascorso una splendida giornata e, magari, si era svuotato le palle facendo sesso con qualcuno.
Però, c'era da dire che con Jungkook si era sempre comportato dignitosamente, l'aveva istruito, bacchettandolo ogni volta che sbagliava e gli faceva perdere la pazienza con la sua cocciutaggine caprina, tuttavia non aveva mai demorso. Jungkook odiava la scuola, ma non l'aveva mai frequentata per davvero, Jimin lo sapeva e cercava di compensare.
Inoltre, la cosa che più Jungkook adorava di Jimin, era che sapeva combattere e lo faceva egregiamente. Gli diceva che l'aveva imparato dai libri e sfidando i peccati dell'Ira per i primi anni in cui era in città, ma Jungkook trovava le sue abilità davvero troppo particolari e stupefacenti per credergli sul serio. In generale si fidava, ma su quell'aspetto non aveva mai accettato la versione che aveva fino in fondo, però Jimin non gli aveva mai lasciato alcuno spiraglio per chiedere o pressare e, dunque, si era accontentato di rimanere ignorante.
E inoltre l'arrivo di Lilith l'aveva emozionato, pensava che finalmente avrebbe avuto qualcosa di diverso da fare e quella ragazzina gli pareva piuttosto ganza.
Il girone della Lussuria, seppur fosse un bordello a cielo aperto, con le mura intrise dell'odore di sesso e delle carni che collidono selvagge, aveva alcuni negoziche la incuriosivano. Erano tutti abiti succinti quelli in vetrina, vero, ma ormai si trovava nella città del Peccato, cosa gliene importava di fingere di essere la perfetta figlia casa e chiesa che doveva soddisfare i canoni della sua famiglia, imparando a ricamare e duellare con la spada.
Le avevano vietato di andare alle feste e di uscire con le coetanee dell'Accademia che frequentava, poteva vestirsi solo con gli abiti delle stiliste che lavoravano nella sua villa e la acconciavano come una principessa, bacchettandola con una lunga stecca di ferro quando infrangeva le loro rigide imposizioni.
Probabilmente Jungkook aveva percepito il persistente desiderio di ribellarsi a regole che ormai non la vincolavano. Il ragazzo era noto per disprezzare con tutto sé stesso qualsiasi catena, esecrava le direttive che voci estranee alla sua gli imponevano da quando era nato. Bramava libertà, Jungkook, e, quando vide il volto di Lilith fisso sulle vetrine, si riconobbe specchiato nelle sue iridi. «Vuoi entrare?» le domandò.
Lilith si riprese dai suoi pensieri in quell'istante, colta alla sprovvista dalla domanda del ragazzo e stava per annuire, ma Jimin la fermò, «Non adesso».
«Perché?» chiese Jungkook, quasi con i denti digrignati per la freddezza con cui era stato fermato «Hai detto-».
Jimin si voltò al segno di protesta. Lui era l'esatto opposto di Jungkook: aveva passato una vita a chinare la testa, dire sì, farsi consumare dal desiderio di gridare davvero le sue volontà, ma non c'era riuscito. Mai.
L'insistenza di Jungkook alla sua risolutezza gli faceva bruciare il petto di rabbia, come lui aveva vissuto facendosi piegare, anche quel ragazzino avrebbe dovuto farlo. Assottigliò gli occhi, facendo schioccare la lingua «Non adesso» ripeté, «Continuate a camminare». Il modo in cui interpose il silenzio alla fine della frase fu un chiaro segno di inflessibilità, Jimin era già scocciato di essere là, non avrebbe risposto alle conseguenze delle sue azioni se non avessero seguito i suoi comandi.
A Lilith si mozzò il fiato in gola e il corpo ebbe un fremito che quasi la fece inciampare, riconobbe subito nel Peccato Capitale dell'Invidia il medesimo comportamento della sua famiglia, un'intransigenza austera che puniva chi sgarrava. Per questo non si azzardò a ribattere, anzi, prese il polso di Jungkook con la mano, in un muto cenno di stop, perché stava già per ribattere là dove non era proprio il caso.
La ragazza si volse ancora verso le vetrine che tanto le erano interessate, rattristendosi molto perché una consistente folla di vestite di bianco si frappose tra lei e la volontà di dire addio alla brusca realtà della superficie. Seguì, allora, Jimin a testa china e le sembrò che avesse accelerato il passo, forse conscio che mancassero meno di duecento metri alla loro casa, un appartamento dai tetti aggettanti proprio sopra un ristorante che serviva ramen. Era situato in una strada marginale, più piccola, ma non tanto angusta come altre che aveva scorto nel cammino. Il Lust non era tanto lontano, ne intravedeva la punta del tetto, e, probabilmente, anche l'abitazione delle Blackpink era a pochi isolati.
Salirono in rigoroso silenzio le scale e si chiusero la porta d'ingresso alle spalle con un tonfo secco. Solo allora Jimin si tranquillizzò e un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Camminò con passi leggeri attraverso l'open space dal pavimento in legno dorato e i muri coperti da mani grezze di vernice bianca, probabilmente era stata stesa sotto una parete di un acceso azzurro, perché si intravedeva un alone chiaro color ciano.
Lilith si guardò attorno con occhi curiosi, si soffermò sui banconi color panna e sui cuscini del divano coperti da orripilanti federe ricamate. Jimin andò subito a riempirsi un bicchiere con del whisky, sembrava come se l'avesse fiutato dalla strada, mentre Jungkook si guardò intorno con aria dubbiosa, «Ma perché ti è preso un attacco di rabbia mentre si camminava?» domandò all'amico, «Se avevi tanta urgenza di bere, potevi evitare tutte 'ste scenate»
Forse lo avvertì solo Lilith, ma l'atmosfera divenne ghiaccio e lei fu schiacciata dalla pressione di una conversazione che sarebbe finita male.
Jimin posò il bicchiere sul ripiano in granito e quel suono fu come il martelletto di un giudice che condannava a morte l'accusato. «Namjoon mi ha costretto a farti da balia per questo» iniziò con tono piatto, andandogli incontro, «Perché sei ottuso, Jungkook, e cieco».
Il Peccato Capitale dell'Ira serrò la mascella e i pugni, facendo scrocchiare le dita. «Ti ha fatto venire perché è una peccatrice dell'Invidia!» ribatté alzando la voce per coprire quella serpentina dell'altro.
Le labbra di Jimin si modellarono in un sorrisetto sbruffone, «Se il cervello umano potesse essere allenato con gli steroidi, allora saresti bastato tu e io avrei continuato a passare le mie giornate senza fare da sorvegliante a un vizioso infantile e un errore che potrebbe condannare noi sette e il nostro regime» sibilò, distruggendo anche gli ultimi interruttori di Jungkook.
Lilith indietreggiò spaventata, mentre vedeva il Peccato dell'Ira scagliare un gancio destro dritto in viso al moro. Era sicurissima che l'avesse colpito in pieno, distruggendogli almeno il setto nasale, però la foga del momento venne interrotta senza il rumore di ossa che si scontravano tra loro. Fu faticoso seguire i movimenti di Jimin, che si abbassò di scatto, evitando il pugno e cogliendo di sorpresa Jungkook, che si sbilanciò in avanti e inciampò nello sgambetto che subì dall'altro. Cadde in avanti, Jimin si scansò di lato per evitare il corpo cadente e si rialzò come se niente fosse successo.
«Ferma là» ordinò a Lilith, che già stava tagliando la corda lungo il corridoio che conduceva alle camere da letto. Girandosi lentamente e incrociando il suo sguardo, le venne indicata una delle poltrone, «Siediti» le disse, «Anche tu, muflone» esortò con più calma a Jungkook, che si stava alzando in religioso silenzio.
Riconosce la sconfitta – pensò Lilith, osservandolo sedersi al suo fianco, mentre Jimin prendeva posto davanti a loro.
«Ci sono delle cose che devi sapere, prima di camminare liberamente in questo posto» iniziò con voce chiara e concisa, «I motivi per i quali Namjoon mi ha ordinato di controllarvi».
Jungkook era perplesso, non capiva a cosa stesse alludendo l'altro, aveva una vaga idea dei motivi, ma non del perché ne stesse parlando adesso. «Il presupposto per cui ti teniamo rinchiusa è perché in città c'è una setta» iniziò con tono grave, «Sins è una capitale dalla quale non si può scappare, si giunge qui perché la superficie non ha più niente da offrire o bisogna assolutamente far sparire le proprie tracce. Tuttavia, pare che dopo anni, decenni in città, quando sopraggiunge la vecchiaia, ci si senta limitati».
Un'esistenza sempre nello stesso posto, sempre con le stesse persone, a fare sempre le solite cose e dar libero arbitrio al Peccato, sembrerebbe strabiliante, ma, secondo gli anziani, prima o poi Sins appare solo per l'Inferno che è. Una prigione, una condanna eterna.
«I peccatori, se non possono uscire fisicamente, cercano di farlo con le loro anime» affermò Jimin, «Iniziano a dedicarsi alla preghiera, si sottopongono a pene per l'espiazione e il perdono divino. Odiano noi Peccati Capitali perché alimentiamo il popolo con menzogne e punzecchiamo loro con gli speroni affinché si comportino secondo la loro vena selvaggia. Tuttavia questa setta è stanca di tutto ciò: non vuole la dannazione eterna e, dunque, cerca di elevarsi con l'animo per raggiungere Dio e la beatitudine».
Lilith rimase in silenzio, scioccata. Jimin non le stava dicendo menzogne, questa storia combaciava bene con i discorsi taciuti e sottintesi che i Bangtan Boys avevano esposto, tuttavia, se la proteggevano da questa setta era perché indubbiamente c'era un motivo personale. «Hai detto che non possono uscire, però so farlo» notò.
Jimin sospirò, «È questo che vogliamo evitare: la setta cerca di convincere gli abitanti a seguire il loro pensiero, tuttavia non hanno mai avuto gran seguito: fino ad ora le loro sono solo supposizioni. Perché si dovrebbe soffrire per qualcosa di cui non si è certi? Grazie a questo pensiero, noi Peccati Capitali abbiamo prosperato nel lusso, ma se dovessero scoprire di te, diventeresti un simbolo di miracolo, di veridicità. Ti renderebbero chissà quale Messia e, ovviamente, si ritorcerebbe contro di noi».
Non poteva assolutamente mettersi contro quei sette, non le sembrava minimamente saggio e nemmeno l'idea di diventare Messia la convinceva. Era meglio se manteneva l'anonimato e si faceva proteggere, piuttosto che finire tra le mani di vecchi estremisti con chissà quali pensieri assurdi.
«E quindi?» borbottò Jungkook. «Basta tenerla alla larga da quegli zombie, sai che difficoltà» alzò gli occhi al cielo, «Tutta 'st'agitazione per parlare di cazzate» borbottò.
«Mentre eri con la testa per aria ti sono passati sotto il naso» lo rimproverò Jimin, rammentando il folto gruppo da cui erano stati affiancati mentre Lilith stava desiderando di entrare nel negozio. «Avresti dovuto notarlo, i loro vestiti accecavano da quanto erano bianchi».
Jungkook assunse una faccia sconvolta, «Oddio, bianco! Stai bene? Vuoi supporto morale, occhiali da sole? Li facciamo neri e borchiati, se vuoi» lo prese in giro, vista la tendenza del Peccato dell'Invidia a non tenersi altro colore che non fosse quello del petrolio addosso.
Probabilmente, Jimin non trovò la forza di ribattere, si alzò, andò a prendersi un altro bicchiere di whisky e tornò a sedersi pesantemente sulla poltrona. Sorseggiando il liquore, preferì sbuffare e descrivere i membri di questa setta come anziani vestiti di tuniche bianche dai bordi cosparsi di scritte latine con i versi del Pater Noster. In particolare, quelli visti da loro portavano un cilicio e avevano le palpebre cucite con il fil di ferro, segno che fossero peccatori dell'Invidia che stavano scontando la loro pena. Nonostante fossero ciechi, non erano comunque da prendere sotto gamba, specie perché raramente erano soli, ma venivano accompagnati da altri viziosi.
Sconfitto dalla realtà, Jungkook non obbiettò, normalmente non stava tanto zitto: perseverava pur essendo nel torto e arrivando anche alle mani, ma con i Bangtan Boys era diverso. Era il loro cane e i cani riconoscono quando devono ritrarre i denti e seguire il loro padrone a testa bassa. Così si alzò in silenzio e andò a esplorare la casa come se niente fosse successo.
«Ti sei spaventata?» le domandò Jimin quando Jungkook fu lontano.
Lilith fece oscillare la mano a destra e a sinistra, mimando un circa, «È stato inaspettato» chiarì. «Ma suppongo che dovrò farci l'abitudine».
Jimin aveva gli occhi fissi sull'oscillazione lenta del whisky, che un po' andava da un lato, un po' dall'altro, «Jungkook è un idiota, però è una persona leale fino al midollo» le spiegò, «Tuttavia, non si tratterrà se a farlo scattare sarà qualcuno di esterno» era un avvertimento velato, che le suggeriva che doveva tenerlo sotto controllo. Non si espresse ancora, perché se ne andò poco dopo, visto che Jungkook stava calpestando tutta la sua buona volontà; disse alla ragazza di fare quello che preferiva e di tenersi alla larga dalla setta e di non aspettarlo per cena, sarebbe venuto dopo con una punizione a regola d'arte per quel bastardo dai capelli a metà.
Lilith, con le risa tra le labbra, andò a seguire i passi pesanti del peccatore esploratore, «WOW, questa doccia ha pure le panche» lo sentì dire dal bagno, dove trovò un sentiero di profumi e saponi e deodoranti aperti, a detta sua – per sentirne l'odore –, aveva scartato le saponette e gli spazzolini, in un angolo giacevano le pantofole, nell'altro gli asciugamani pendevano scomposti dal bordo della vasca. Jungkook si era lasciato alle spalle un sentiero di briciole di catastrofe, come una versione innovativa di Hansel e Gretel. «Credi che sia fatta per scopare?» le chiese, «Non ho mai visto una panca in una doccia».
Avvicinandosi alla seduta in legno che si spostava lungo il piatto ampio della cabina, notò l'interesse di Jungkook nell'avvicinarla a sé e allontanarla, posizionandola un po' dove voleva. «Dovresti chiederlo a Namjoon».
«Allora no» affermò, «Poi mi prende in giro, piuttosto, io dormo nella camera con il letto reale, sono più grosso di te e Jimin messi insieme, quindi me lo merito» disse con fermezza ed entusiasmo. «E ora andiamo a fare shopping!»
Colta dall'euforia di quel peccatore, Lilith si fece afferrare per la manica del giacchetto e portare fuori, quasi correndo lungo le scale e verso la via principale.
Prestando ben attenzione a non trovar alcunché di tuniche bianche accecanti, lasciò che Jungkook la portasse in esplorazione di quel girone, perdendosi tra le braccia accoglienti del Peccato della Lussuria, come se il calore carnale dei corpi fosse sulla sua pelle.
Tornarono nella zona del negozio che le era interessato e, aprendo la porta della vetrina, Lilith si trovò in una piccola bottega dalle pareti di mattoni e il pavimento di assi di legno sbollate e scricchiolanti, c'era solo una commessa, vestita di abiti stropicciati i cui bottoni erano in tensione sul seno e sul busto, perché probabilmente erano stati comprati quando aveva venti chili in meno a pesarle sulle ginocchia.
Rivolse loro un cenno svogliato, mentre il marchio della Lussuria appariva sbiadito, ma seppur indelebile, sul suo braccio coperto da folti peli neri.
«A Sins lavora chi non si accontenta dello stipendio mensile di Namjoon» le rispose Jungkook, dopo che glielo ebbe chiesto, «Alcuni ci campano senza problemi, altri vogliono una vita migliore e quindi non ci riescono» affermò.
Lei probabilmente avrebbe tentato di farselo bastare, qualora avesse smesso di vivere con i Bangtan Boys, visto che, come Namjoon aveva detto, avrebbe rimborsato a Jungkook e Jimin qualsiasi spesa fatta per lei e il disturbo per tenerla sotto chiave, ma a Lilith non sarebbe toccato un centesimo in più, rispetto a quelli prestabiliti.
Lasciandosi l'argomento alle spalle, si infiltrò tra i diversi appendiabiti che sfoggiavano vestitini enormemente succinti e spinti, di colori stravaganti e coperti di pizzo e perline. «Capisco perché eri tanto euforico» sospirò lei.
Però Jungkook, al suo fianco e con il naso arricciato per la troppa polvere che c'era nell'aria e in quelle stoffe, si fece dubbioso: «Hai guardato questo posto come si guarda una mazza chiodata in un combattimento uomo-alce» asserì convintissimo, «Io odio lo shopping, è noioso, ma penso che sarà divertente incastrarti negli usi di Sins» infine la guardò con una faccia a schiaffi, ricca di sarcasmo, «E poi, una vestita da puritana come te, in un luogo così fa sbellicare».
In realtà, Lilith aveva visto questo negozietto, perché era l'unico nella via principale a non vendere intimo e vestaglie o sex toys, però credeva che Jungkook non fosse molto capace a cogliere il senso di una frase, a meno che non gli venisse sbattuto in faccia con forza. «Se ti va, scegli pure qualche vestito che ti piace» gli propose – di sicuro sa meglio di me cosa indossino le ragazze in questo girone.
Jungkook fu allettato dall'idea e andò a puntare quei suoi magnificenti, e inquietanti, occhi azzurri tra stoffe e merletti colorati, mentre Lilith afferrò qualche abito a caso e andò a provarselo: erano palesemente tutti uguali, corti e provocanti, non valeva la pena perdere troppo tempo.
I primi due le fecero pentire della sua idea: corpetto smanicato in pizzo, solo pizzo, palesemente trasparente con una gonna che si fermava a metà gluteo, bello il color glicine, meno quello bianco della sua pelle in mostra. Per il secondo fu identico, chi l'aveva ideato si era trovato carente di stoffa e aveva deciso di far passare una taglia per bambini per una per ragazze.
Era vero, non si sarebbe dovuta lamentare tanto: cosa si sarebbe aspettata, alla fin fine? Era il girone della Lussuria, quello, il luogo dove poter dire addio alle vesti che le avevano imposto forzatamente per vent'anni. Però, quell'indottrinamento non era semplice da strappare dalla pelle, le aderiva come un guanto, faceva più parte di lei, di quanto ne fosse cosciente realmente.
Rammentare la sua famiglia non era semplice, la portò sull'orlo della follia. La costante pressione sulle spalle, il desiderio imposto di diventare l'erede di un impero economico che in passato era stato tanto fiorente, ma attualmente si trovava sul ramo discendente della parabola. Lilith doveva essere la premessa che avrebbe rattoppato gli errori del padre e schiacciato i rivali. Un ruolo meschino, che le aveva portato via precocemente il fascino dell'infanzia.
Solo l'udire gli scarponi del suo compagno oltre la tenda riuscì a placarla. Lilith la scostò, visto che portava già addosso il terzo vestito che si era presa: un tubino nero, con un'onda dorata che le partiva dall'ombelico e arrivava oltre la spalla, «Mi sento un insaccato» affermò lei, compressa in lembi di stoffa nemmeno dovesse essere un pezzo di arrosto avvolto con lo spago.
«Na'» ribatté Jungkook, «Questo te lo prendo» le disse con tranquillità.
«Mi appunterò che ti piacciono gli insaccati» commentò Lilith, prendendogli gli altri due che le aveva portato, entrambi di due tonalità di azzurro talmente fredde che sentì la pelle ghiacciarsi. «Intonati alle tue lenti direi».
Jungkook inarcò un sopracciglio, «Lenti?»
«Quelle» e gliele indicò con il dito.
Però il ragazzo scosse la testa, «Non sono lenti, ma che, sei pazza? Con che pazienza dovrei mettermi le lenti tutte le mattine?» affermò con ovvietà, «È un intervento che ho fatto in superficie, qualcosa di nuovo che i dottori elogiavano manco fosse mandato da Dio e che ho fatto perché mi andava» le spiegò.
Ne aveva sentito dire qualcosa, «Ti hanno tolto la melanina superficiale dall'iride, suppongo» dedusse lei, rammentando di averne vagamente parlato con qualcuno in passato.
Jungkook inclinò la testa, «La melanina è un nome più figo per chiamare la buccia della mela?»
Sconvolta e stordita, si chiese se Jungkook avesse mai frequentato una scuola, perché era a dir poco strano non saper cosa fosse la melanina. «È un pigmento che determina la colorazione della cute, ne hai di più a seconda dell'esposizione ai raggi ultravioletti. Se ce n'è poca nell'iride, allora li avrai chiari» osservandolo meglio aggiunse. «Tutti avremmo gli occhi azzurri in realtà».
Illuminato da quelle risposte, Jungkook sorrise, «Figa questa melanzanina!» disse con convinzione, «Inizierò a mangiarne di meno, magari mi trasformo in un puffo...» meditò con voce sempre più dubbiosa e indecisa, lasciando Lilith interdetta e con la bocca schiusa dai dubbi.
Chiudendosi nel suo camerino, indossò gli ultimi due abiti e notò che le stessero innanzitutto alla perfezione, quei toni dell'azzurro sembravano forgiati per adornare e abbellire il suo corpo magro. Con i loro velluti, stringevano dov'era giusto risaltare e nascondevano ciò che era da celare, come se glieli avessero cuciti addosso.
Uscì con uno e fece una reverenza al peccatore poggiato con la schiena al muro davanti al camerino, egli gradì e si indicò gli occhi, «Melanoma o no, questi non sbagliano mai, Jagiya» ammiccò soddisfatto.
Le impose di tenersi addosso quell'abito, senza sapere se potesse farlo o no, ma indubbiamente era l'ultimo dei suoi interessi il permesso. Pagò, litigò con la commessa perché non aveva spiccioli per dargli il resto e, ottenute le monetine con inesistente gentilezza, decise di chiudersi con forza la porta alle spalle, facendola sbattere sui cardini con uno stridio fastidioso.
«Ti manca un po' di odore di sperma addosso, poi sei perfetta» commentò mentre si facevano un giro lungo quelle strade pienamente baciate dal buio, gli anfratti dove la luce artificiale non arrivava erano spaventosi punti in cui le ombre si annidavano, atterrendo con la loro densità di carbone.
Jungkook aveva la testa per aria, sembrava stesse pensando a qualcosa, mentre camminava ondeggiando un po' da un lato, un po' dall'altro nei suoi scarponi pesanti. «Cosa ti turba?» gli chiese Lilith.
Jungkook scrollò le spalle, «Stavo pensando a quello che diceva Jimin» e immediatamente Lilith si rattristì, credendo che il ragazzo fosse rimasto male per le verità che aveva ricevuto in faccia con violenza. Egli fece un sospiro, poi parlò: «Ma gli asteroidi perché dovrebbero costituire il cervello?»
Non sapeva se dovesse scoppiare a ridere così di punto in bianco, se le fosse permesso farlo senza che Jungkook sfogasse il suo peccato, però trovò quella situazione ai limiti dell'assurdo. Sospettava che la mente del ragazzo fosse stata impegnata per tutto quel tempo a trovare un collegamento logico per il quale gli asteroidi influenzassero davvero la psiche umana.
«Ci sono teorie scientifiche secondo cui la vita sia arrivata sulla terra portata da una stella cometa» affermò Lilith, reggendogli il gioco, perché rivelargli la verità sarebbe stato orrendo.
Jungkook arricciò il naso, «No, ferma un momento» stoppò la sua camminata per davvero, alzando il dito nella sua direzione e assottigliando gli occhi confuso, «Quindi quella testa di cazzo di Carletto Bucato respira la mia stessa aria per un fottuto bruco che è sceso da un sasso spaziale?» sembrava attendere sul serio una risposta sensata, che magari gli dicesse di no.
Lilith sorrise, ma scrollò le spalle, «Può essere, la scienza teorizza ipotesi alla fin fine».
«Ma speriamo di no» brontolò Jungkook, avanzando ancora, «Maledetto bruco del cazzo».
Il così chiamato Carletto Bucato, ma in verità noto come Carlisle Bouchard, era un ventenne furbo e discolo, dipendente dal gioco d'azzardo, nonostante appartenesse al peccato della Gola, che aveva modellato il suo posteriore sui divani del Greed, sfidando chiunque gli capitasse a tiro e stando ben lontano da Hoseok, perché era l'unico con cui non avrebbe potuto vincere niente. Jungkook l'aveva incontrato per sbaglio, mentre portava un fascicolo al suo collega dell'Avarizia, era stato sfidato a poker e aveva accettato, perché Carubo aveva una faccia tutta brufoli e niente rispetto, ma si era fatto aggirare, perché sotto i residui dell'acne, Carlisle vantava numerose ore di gioco con campioni.
Quando Hoseok era tornato nella sala dove aveva lasciato Jungkook, dovette allontanarlo di peso perché Carciofo aveva un naso più storto del cammino di un ubriaco su una linea retta. Si era ripromesso di sconfiggere Carlisle, ma ancora non c'era riuscito e più perdeva, più provava l'impulso di spaccargli gli incisivi da coniglio con cui veniva schermito.
Le raccontò questa storia alla ragazza, mentre le accennava di voler andare a bere e mangiare visto che parlare di Carlisle gli aveva fatto brontolare lo stomaco per la fame. Aveva fantasticato troppo con la mente, immaginando l'acerrimo nemico prima impalato, poi appeso a una picca, oppure arrostito come quel suicida fiorentino che veniva citato nella Divina Commedia. Jimin gliel'aveva fatto studiare giusto il giorno prima, per questo se lo ricordava ancora.
Lilith aveva capito due cose ascoltando attentamente il resoconto di Jungkook, la prima era che molto probabilmente era cresciuto nella strada, dubitava che venisse da una realtà come la sua, piuttosto che avesse familiarizzato con una quotidianità priva di vincoli e catene, passata a correre lungo i sobborghi della sua città natia e schifando chi aveva origini nobili, come lei.
La seconda fu il suo odio per i nomi, non sapeva se fosse volontario o meno, tuttavia aveva storpiato il nome del fottuto Carving brufoloso in qualunque modo gli passasse per la testa, benché meno quello corretto.
Nel mentre che avveniva questa conversazione strampalata, seguì l'orma dei suoi passi senza far domande sulle svolte che decideva di prendere, né sulla meta finale in cui voleva andare. Poteva essere strampalato, però Jungkook non le aveva fatto una cattiva impressione, tutt'altro. Nella sua semplicità l'aveva divertita e si era guadagnato il privilegio di evitarsi le sue paranoie sul percorso che sceglieva.
Pian piano il percorso che stavano seguendo iniziò a parerle sempre più familiare, finché non si rese conto che Jungkook stesse andando al Lust.
Quest'oggi vi porto un bel capitolo introduttivo sull'inizio della scoperta di Sins da parte di Lilith. Non ho molto da dirvi, in realtà, vi ho gettato l'amo dei caratteri dei nostri personaggi, nel prossimo assisteremo all'arrivo vero e proprio di Namjoon.
Spero vi sia piaciuto, vi invito a commentare e lasciare una stellina. Un bacione😘
By: _ShiroYasha___
IG: _vbtshiroyasha___
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