7. Incubo
Barcellona, Spagna, 9 maggio 2014, intorno alle quattro della mattina.
C'è un ospedale, in mezzo a un prato, un po' isolato in periferia. In questo ospedale, un vetro separa me, in piedi in corridoio, da una sala operatoria. I medici stanno terminando una delicatissima operazione a cuore aperto. E sotto i loro ferri, sospeso in un instabile equilibrio tra la vita e la morte, c'è Fernando. Da dove sono io riesco a vederlo in viso, di profilo. Il suo profilo interrotto da un respiratore, appannato dal suo fiato. Alle sue braccia sono attaccati fili su fili, un monitor aggiorna costantemente i suoi parametri vitali. Continuo a sperare che vada tutto per il meglio, che riescano a salvarlo. Vederlo sdraiato su quel lettino è una tortura, soprattutto perché potrebbe essere l'ultima volta che lo vedo. Va tutto alla perfezione, hanno ormai dato i punti al taglio sul petto, ma è questione di un istante perché i suoi battiti accelerino, per poi affievolirsi un un colpo, privandolo di vita con un unico bip prolungato. E dentro di me sale il panico, non posso fare niente per aiutarlo, i medici cominciano ad agitarsi, tutto si fa più confuso ai miei occhi.
"Non lasciarci Fernando!" Grida una di loro, tanto forte che la sento anche attraverso il vetro, mentre cerca di rimettere in funzione il suo cuore. La confusione va avanti per diversi minuti, ricorrono anche al defibrillatore un paio di volte, ma è tutto inutile.
"Giorno?" Chiede il chirurgo, togliendosi la mascherina.
"22 marzo 2015." Risponde l'anestetista. Il chirurgo alza lo sguardo sull'orologio al muro.
"Ora del decesso: 05:56."
E in un attimo è come se anche il mio cuore si fosse fermato, proprio su quelle parole che speravo di non dover mai sentire. Una lacrima riga il mio viso, esco dall'ospedale poco prima di scoppiare in lacrime.
Mi sveglio, gridando. Ho le guance bagnate, non era solo nel sogno che stavo piangendo. Fernando, che dorme accanto a me, a sentire il mio grido si sveglia e accende la lampada sul suo comodino. È dalla Cina che dormiamo insieme, da quando Sebastian ha vinto la gara e Nando è arrivato terzo dietro a Felipe, da quando mi ha chiesto se potevamo condividere la camera, perché aveva sempre desiderato dormire con me.
"Alice..."
"Va tutto bene." Rispondo, voltandomi dall'altra parte e cercando di asciugare il più velocemente possibile le lacrime.
"Oh no. Non mi mentire. Non va tutto bene." Risponde, mettendo due dita sotto il mio mento e voltandomi verso di sé. Chiudo gli occhi, per nascondere il probabile rossore dovuto alle lacrime, ma niente posso contro il segni umidi che non sono riuscita ad asciugare sulle guance. Fernando passa il pollice sulle righe bagnate, cancellandole del tutto. "Apri gli occhi amore."
"Non voglio." Rispondo, con la voce sul punto di spezzarsi. Sento che mi accarezza i capelli.
"Aprili." Li apro, senza poter fermare la lacrima che cade da uno di essi non appena è libera di scendere sotto l'effetto della gravità. In un secondo Fernando l'ha già fermata ed asciugata.
"Oh Alice... qui ci vuole del collirio." Dice, dopo aver osservato i miei occhi, si alza.
"Ne ho nel mio beauty case."
"Ne ho anche io, tranquilla." Risponde, mentre entra in bagno. Rimango ad ammirare il suo corpo, coperto solo da un paio di boxer, la mia mente formula subito pensieri per niente puliti su noi due. Torna in camera con la boccettina del collirio e costringo la mia mente a reprimere quelle fantasie. Alzo la testa e guardo in alto, Nando versa una goccia per occhio, sbatto le palpebre un paio di volte e poi gli chiedo un fazzoletto. Lui me lo porge, soffio il naso e lo butto sul mio comodino. Lui si sdraia e spalanca le braccia, io mi sdraio accanto a lui con la testa sul suo petto.
"Me ne parli?"
Fosse anche l'ultima cosa al mondo che faccio ma non ti parlo di come sei morto in un mio incubo.
Non gli rispondo. Mi basta aspettare ancora un paio di minuti perché lui si addormenti. E invece no, non demorde. Rimane in silenzio credendo che mi sia addormentata, ma ormai sono sveglia e riaddormentarmi sarà difficile. Alzo lo sguardo su di lui.
"Allora?"
"Smettila Fernando." Rispondo, spostando lo sguardo alla parete e cercando di controllare il più possibile la voce, che è già un po' rauca.
"Per favore. Non voglio vederti soffrire senza saperne la causa."
"Magari in un'altra vita." Rispondo, prima di girarmi per dargli la schiena. Il suo braccio passa attorno alla mia vita, gli prendo la mano e la avvicino alle labbra, sfiorandogli le dita. Lui si sposta un po' per spegnere la luce, poi torna accanto a me. I nostri corpi si toccano, la mia schiena contro il suo petto, le sue gambe contro le mie e i miei piedi tra i suoi. Alla fine prendo coraggio e gli racconto il sogno.
"Ho paura. Ho paura che ti possa succedere qualcosa quel giorno, o in quelli precedenti. Promettimi di fare attenzione, Nando. Non voglio perderti." Concludo, ormai di nuovo in lacrime. Lui mi stringe di più, la mia mano stringe la sua, le mie labbra la sfiorano.
"Non mi succederà niente, te lo giuro." Mi volto verso di lui, che al buio mi accarezza il viso e trova le mie labbra, un istante dopo sono sulle sue, in un bacio che sa delle lacrime che mi sono finite in bocca, pieno di paura da parte mia e di amore da entrambe.
"Cerca di dormire." Sussurra.
"Prometti che non ti succederà mai niente?"
"Lo prometto."
09:40 AM
Mi sveglio d'improvviso. Butto un'occhiata sul telefono, è tardissimo. Mi accorgo anche di un po' di notifiche da Twitter e Whatsapp, ma le ignoro, non ho tempo da perdere. Tra venti minuti iniziano le prove libere e io sarei dovuta essere nel paddock già da mezz'ora. Vado in bagno, mi lavo e mi vesto velocissima, prendo il telefono, le chiavi della macchina e il pass del paddock, poi scendo nella hall dell'albergo e ordino un caffè al bar, che arriva con estrema lentezza. Lo bevo in un colpo e mi precipito fuori, salgo in macchina e non appena esco in strada, diretta a Montmelò, mi scappa un imprecazione. La coda in quella direzione è chilometrica.
Merda. Non mi bastava essere già in ritardo, anche la coda adesso!
Prendo il cellulare che ho abbandonato sul sedile di fianco al mio e faccio per chiamare Fernando, ma il mio sguardo viene catturato dal messaggio di Whatsapp che non ho ancora letto.
=Ho detto ai ragazzi che non sei stata bene, Ti hanno lasciato la mattina libera e hanno detto che posso anche stare senza team radio per stamattina.=
È di Fernando. Non ho intenzione di prendermi la mattina libera, senza di me quell'uomo in pista è perso, e se per caso mettono qualcun'altro al posto mio sarà un disastro. Lo chiamo.
"Nando dì alla squadra che sto arrivando." Dico, senza neanche lasciargli il tempo di dire "pronto".
"Ali hai la mattina libera." Rispose.
"No! No amore, non mi prendo la mattina libera. È la fine se non c'è nessuno a parlarti ai team radio. Sono solo bloccata in una coda che mi sembra interminabile ma ti giuro che sarò lì in tempo. Avvisali." Dico.
Dio mio, se non mi controllo rischio di esplodere, sono troppo stressata.
"Va bene. A dopo." Risponde, poi mette giù.
Il tempo a mia disposizione per arrivare a un orario decente scade nell'istante in cui entro con la macchina nel parcheggio dell'autodromo. Dopo una rapida occhiata in giro e dopo aver constatato che non c'è un posto manco a pagarlo, esco e parcheggio sulla strada. Scendo dalla macchina e mi precipito nel paddock. L'orologio sospeso alla fine della pit lane, che vedo a diversi metri di distanza sulla mia destra, segna le 10:05. Mi precipito al box Ferrari e una volta entrata mi accorgo che la macchina di Nando non c'è.
"Ci sono, ci sono. Ora vado." Dico, più a me stessa che al team. Faccio per uscire sulla corsia dei box, ma poi mi ricordo di una cosa.
Le cuffie.
Torno indietro di qualche metro e le prendo al volo, esco dal box stando attenta a non farmi investire da qualche pilota che sta entrando o uscendo e finalmente arrivo al mio posto al muretto. Le cuffie si collegano automaticamente al sistema delle comunicazioni wireless, quindi mi basta abbassare il microfono e parlare a Nando.
"Eccomi." Dico, in inglese.
"Ottimo." Risponde lui nella stessa lingua. "Stai meglio?" Chiede, stavolta in italiano.
"Magari ne riparliamo a pranzo." Queste comunicazioni sono tutt'altro che un posto sicuro per parlarne. Penso, mentre leggo i dati sugli schermi in alto e in basso davanti a me.
Non appena finisce la sessione mi allontano dal muretto e attraverso la pista davanti alla macchina di Lewis Hamilton, che sta rientrando proprio in questo momento. Entro nel box e noto subito Maurizio Arrivabene, che mi sta squadrando in malo modo dalla testa ai piedi. Mi avvicino a lui, proprio mentre i ragazzi stanno facendo rientrare le monoposto di Nando e Seb.
"Mi dispiace per il ritardo." Dico, con lo sguardo basso.
"Meglio in ritardo che non venire proprio." Risponde, freddo. "Stai bene? Ho sentito il primo team radio con Fernando."
"Sì, sì sto bene." Rispondo. "Non deve interessare alla FIA se io sto bene o meno. Digli di farsi gli affari loro." Concludo, pensando subito che hanno tradotto quel che ho detto a Fernando e saranno curiosi di farsi gli affari miei. Mi allontano verso l'hospitality della Scuderia, sento dietro di me una conversazione tra Fernando e Maurizio, vorrei proseguire ma mi fermo.
"Cos'ha?" Chiede Maurizio.
"Aveva solo bisogno di fare due chiacchiere, tutto qua. Stanotte non è stata bene e mi ha chiesto di avvisarvi che non sarebbe venuta, ma evidentemente si è ripresa." Risponde Fernando.
Ti darei un Oscar, Nando. Tutto quello che hai detto è esattamente il contrario di ciò che è successo. Loro devono credere a quello che gli dici, ottima recitazione.
"Beh, meglio se la vai a vedere. Mi sa che le girano ancora le scatole."
"Mi sa anche a me." Risponde Nando. Riprendo la mia camminata verso l'hospitality, diretta alla stanza di Fernando. Verrà lì di certo prima di andare a pranzo. Non appena arrivo mi siedo sul lettino dove lui si fa fare i massaggi, a gambe incrociate e con una mano appoggiata sulla fronte. Non passa molto che sento aprire la porta. È Nando. Chiude la porta dietro di sé, poi si accorge della mia presenza.
"Alice, va meglio?" Mi chiede in spagnolo.
"Più o meno. Sono ancora un po' scossa." Rispondo, in italiano, ripensando all'incubo. Quando nessuno dei due è dell'umore i nostri discorsi funzionano così: lui parla in spagnolo e io in italiano, e il bello è che ci capiamo alla perfezione. "Non faccio altro che rivedere quelle immagini nella mia testa. È un'ossessione, sento ancora il suono che annunciava la tua morte, io..." mentre parlo si avvicina a me, e per mettermi a tacere mi costringe a far scendere le gambe dal lettino e mi abbraccia, tenendo il mento sulla mia testa, e devo dire che funziona. Ha le dita intrecciate dietro la mia schiena, ed io lo abbraccio anche con una gamba, tirandolo verso di me. Volto la testa in modo che il mio orecchio sia appoggiato al suo petto e la metà inferiore del mio viso sia nascosta dal suo braccio. Direi che ho un'ottima visuale sul muro bianco di fianco a noi.
"Come sono andato stamattina?" Chiede.
"Puoi fare meglio." Rispondo, ricordandomi del suo sesto tempo. In risposta annuisce leggermente. Lo stringo ancora di più a me, stavolta usando entrambe le gambe, in una specie di gabbia formata dai miei arti. Chiudo gli occhi, restando in ascolto del suo cuore che batte regolare sotto la tuta. Mi allontano, liberandolo, o almeno è quello che lui crede, infatti quando fa per allontanarsi per togliere la tuta, incrocio i piedi dietro di lui, imprigionandolo di nuovo. Lo tiro a me per il colletto della tuta, i nostri visi sono separati solo da qualche centimetro.
"Pensavi di scappare signorino?" Dico in spagnolo, ridendo. Ride anche lui.
"Assolutamente no." Risponde. Gli tiro giù la zip della tuta, finché non trovo la fine, poco distante dalla sua intimità. Si eccita in un secondo, baciandomi con trasporto. Lo allontano poco dopo, sentendo che comincia a osare troppo.
"Scusa." Dice, mentre ho ancora gli occhi chiusi, a qualche millimetro dalle mie labbra.
"Niente." Rispondo, aprendoli. "Cambiati, ho fame." Dico, allontanandolo da me con una leggera spinta. Sfila la tuta fino alla vita e si toglie la maglia tecnica che ha sotto, per poi infilarsi quella rossa della squadra di cotone. Sfila anche i pantaloni e ne indossa un paio neri, poi si cambia anche le scarpe. Quando ha finito usciamo dalla stanza e saliamo al piano di sopra, dove ci aspetta qualcosa di leggero da mangiare.
Sì, insomma, più o meno. Pasta al sugo, per i curiosi che lo vogliono sapere.
Mangiamo abbastanza in fretta, poi mi assento un attimo per andare in bagno.
"Ti aspetto da me." Dice, prima che vada, riferendosi a dove eravamo prima. Annuisco.
Entro nella stanza di Nando e ci trovo lui e il suo fisioterapista, Fabrizio, che si porta dietro fin dall'inizio della sua carriera in Formula uno.
"Fabri." Dico, lui si volta.
"Alice, che ci fai qui?" Chiede lui.
"Le ho chiesto se poteva venire a parlare un po' dei miei tempi nelle prove." Interviene Nando.
"Ah, okay." Risponde lui.
"Ehi Ali, perché non gli canti qualcosa?" Mi sussurra Nando all'orecchio.
"Ma sei completamente fuori? Ma ti pare? Lo dirà a tutti." Rispondo, con la voce bassa.
"Dai, coraggio, Fabri è bravo a mantenere i segreti."
"Che cosa c'entra? Magari ne rimane talmente colpito che non farlo sapere sarebbe un delitto." Rispondo alzando la voce.
"Dai, ti prego, anche io ho voglia di sentirti cantare!" Alza anche lui la voce.
"No! Se vuoi ti canto qualcosa stasera, ma di certo non qui con lui!" Rispondo, guardandolo negli occhi. Abbiamo detto queste frasi talmente veloce che Fabrizio non è riuscito a seguirci, per fortuna. "Smettila di insistere porca di quella miseria!"
"Sta calma, ho solo proposto una cosa!"
"Ragazzi?" Dice Fabrizio, ma non gli prestiamo attenzione.
"Non proporre cose che sai che non voglio fare." Dico io.
"Va bene, scusa." Risponde lui.
"Ragazzi!" Esclama il fisioterapista.
"Che c'è?!" Gridiamo in coro, voltandoci verso di lui.
"Ma voi due state insieme per caso?"
"Perché?" Rispondo, fredda.
"Perché ragazzi miei se cominciate così una relazione non so quanto durerà." Dice, poi esce dalla stanza. Rimaniamo a riflettere sulle sue parole, i nostri sguardi si incontrano.
"Scusa." Dice Nando "Non avrei dovuto proportelo."
Eh già, non avresti dovuto. Meno persone sanno della mia voce meglio è. ,
"Scusa anche io, non avrei dovuto darti contro in quel modo." Rispondo, poi alzo lo sguardo e cerco le sue labbra. Si allontana poco dopo.
"Sai cosa?" Chiede.
"Cosa?"
"Lunedì vieni con me a Oviedo. Voglio farti vedere la mia città."
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Ci terrei a fare una piccola precisazione: il nome di Alice va letto all'inglese.
A presto,
~Jess
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