1. L'inizio di un grande casino
Melbourne, Australia, 16 marzo 2014, 11:15 AM, 03:15 UTC
Il sole splende sul circuito di Melbourne, non ci sono nuvole all'orizzonte, l'asfalto è quasi rovente in questa calda domenica di marzo. Non c'è un filo di vento e l'aria è bloccata tra le tribune e la pit lane in una bolla afosa che fa sudare tutti come fosse luglio. Cammino lungo la pit lane, diretta al box Ferrari, dove lavoro. Ho cominciato a lavorare al Cavallino un anno fa, quando mi scelsero tra più di cento candidati. Quando toccò a me ed entrai nella stanza per il colloquio, se così si può chiamare, il team principal Stefano Domenicali sembrava la disperazione fatta persona, gli serviva al più presto un tecnico bravo con i numeri e veloce a leggerli e interpretarli. E io corrispondevo perfettamente all'idea che aveva in testa. Il fatto che sono una donna non gli ha mai dato fastidio, anzi, disse che sarebbe stato diverso e avrebbero avuto un punto di vista diverso da quello maschile.
Un leggero venticello mi scompiglia la coda di cavallo perfettamente pettinata e mi fa svolazzare i vestiti, alleviando la sensazione di sciogliermi sotto il sole. Entro nel box e saluto tutti, ovviamente in italiano, come è solito fare qui. Vado verso il corridoio dove recupero le mie cuffie appese al muro sotto la sigla AW247, i numeri indicano il giorno e il mese in cui sono nata, anche se non ne vedo il motivo, visto che non c'è un altra Alice Wolf qui dentro. Le passo intorno al collo ed entro nella sala "riunioni", come mi piace definirla, mi siedo al mio posto, accanto alla sedia di Fernando Alonso, ancora vuota. Mi siedo accanto a lui perché sono io che parlo con lui durante i team radio. Siamo un'ottima squadra, abbiamo anche inventato qualche termine per capirci al volo senza che gli altri team riescano a capire. Tempo due minuti e la stanza si riempie, cominciamo a parlare della strategia dei pit stop e la mescola delle gomme che useremo. È la prima gara della stagione e vogliamo che vada alla grande fin da subito.
Dopo mezz'ora siamo costretti a fermarci, andiamo tutti a pranzo in modo da avere energie sufficienti per le 14. Finito di mangiare abbiamo un ora per rilassarci, quindi cerco una stanza libera nell'hospitality della Scuderia. Chiudo la porta e mi siedo al tavolino al centro, tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans insieme alle cuffiette, le infilo nelle orecchie e creo una playlist di canzoni. Quando sento le prime note di "Magic" dei Coldplay comincio a canticchiare, dopo qualche secondo si trasforma in un canto spensierato e liberatorio, un modo per scaricare la tensione, o in questo caso per aiutarmi a essere concentrata. Per fortuna ho scelto una stanza insonorizzata, così non possono sentirmi da fuori.
Un "din" del mio cellulare mi avvisa che è ora di andare, stacco le cuffiette dal cellulare e la musica si ferma automaticamente, esco dalla stanza e mi avvio verso il muretto di fronte al box, indosso le cuffie e non appena tocco la sedia entro in modalità "fredda e distaccata", nonostante le parole della canzone continuino a susseguirsi nella mia testa. Il mio sguardo si sposta sui semafori, da qui ne ho un ottima visuale, i piloti hanno appena terminato il giro di formazione, i miei occhi si abbassano sulla Ferrari di Nando, ferma sulla prima piazzola. I semafori cominciano ad accendersi.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
"Falli secchi." Dico al microfono, un attimo prima che le luci si spengano e la gara inizi.
È andata alla grande, la prima vittoria e la prima doppietta dell'anno sono nostre, Nando e Sebastian non hanno sbagliato un colpo, la strategia ha funzionato esattamente come ci aspettavamo. Mi congratulo con Nando via radio da parte di tutti i ragazzi, lui sa che non mi vedrà a festeggiare sotto il podio, che non amo la ressa di quella festa.
"Dai Alice, vieni sotto al podio, fallo per me..." mi supplica in italiano, il suo italiano con accento spagnolo, che io trovo incredibilmente sexy. Non riesco a dirgli di no, dopotutto posso fare uno strappo alla regola dopo aver resistito per un anno a quella voce seducente.
"E va bene, ci vediamo là." Rispondo, mentre mi tolgo le cuffie e le lascio sulla sedia. Corro verso il podio più in fretta che posso, per cercare un posto in prima fila, lo trovo tra altri nostri meccanici. Arrivo appena in tempo, Nando, Seb e Lewis stanno fermando le loro auto di fronte a noi. Fernando esce dalla macchina e, stando in piedi su di essa, alza i pugni al cielo, sventolando una bandiera spagnola passatagli da chissà chi. Il suo gesto dura pochi secondi, poi scende e si precipita verso di noi, una marea di braccia e mani lo stringono, premendolo contro di me, l'unica persona che lui sta abbracciando davvero, a separarci c'è solo la transenna di metallo.
"Grazie di essere venuta." Sento a malapena la sua voce tra gli schiamazzi del team, e il fatto che abbia ancora il casco non aiuta. Si allontana, gli sorrido. Mi perdo un attimo nei miei pensieri, quando mi riprendo alzo lo sguardo verso il podio e loro tre sono lassù, a stringersi la mano a vicenda. L'inno spagnolo risuona nell'aria, le labbra di Fernando intonano in silenzio le parole. Un minuto dopo un coro di voci maschili si leva intorno a me, ad intonare l'inno di Mameli, io evito di cantare ad alta voce.
Un'ora dopo sono nella mia stanza d'albergo, sotto la doccia. Sto cantando "Am I Wrong" di Envy a un volume decisamente alto, ma non mi interessa, sono più concentrata sulle parole che sul resto del mondo che mi circonda. Quando ho finito esco e mi avvolgo in un asciugamano. Lascio i capelli liberi, si asciugheranno da soli con il calore della stanza. Vado in camera e comincio a cercare nella valigia qualcosa da mettere per scendere a cena, qualcosa di adatto a festeggiare. Non faccio in tempo a tirare fuori una maglietta bianca con le maniche a volant che bussano alla porta, vado ad aprire. Davanti a me c'è l'ultima persona che mi aspettavo di vedere. Fernando è fermo davanti a me oltre la soglia. Vedendomi avvolta nell'asciugamano le sue labbra si schiudono e i suoi occhi si spalancano, le sue pupille si dilatano. Si riprende giusto il tempo per parlare.
"Canti da Dio, Alice. Non ho mai sentito una voce bella come la tua." Mi sono completamente dimenticata che la sua stanza è proprio accanto alla mia e mi ha sentita. Il suo sguardo torna sul mio corpo, metto freno alla sua eccitazione chiudendo la porta, gesto che mi viene impedito dal suo piede.
"Posso parlarti?" Chiede.
"Se è per la mia voce, no, non possiamo parlarne." Rispondo, acida.
"No, in realtà volevo parlarti e basta." Il mio sguardo vola sul comodino, sulla sveglia digitale. Ho ancora parecchie ore prima di dover scendere, perciò accetto la sua richiesta.
"Mi lasci il tempo di cambiarmi?"
"Certo." Il suo piede sparisce oltre la porta e posso chiuderla. Mi cambio abbastanza in fretta e cerco di pettinarmi i capelli in modo che da asciutti non mi facciano sembrare un leone. Alla fine mi presento alla porta con un paio di pantaloni neri e la maglietta che avevo scelto prima. Apro la porta con un sorriso, incontrando immediatamente lo sguardo di Nando.
"Dove...?" Non finisce la domanda ma la riesco a capire lo stesso.
"Scendiamo nella hall?"
"Si, certo." Mi infilo alla svelta un paio di scarpe nere, recupero il cellulare e la chiave della camera, scendiamo nella hall dell'albergo, troviamo due poltrone una di fianco all'altra e ci sediamo.
"Allora, di che mi dovevi parlare?" Chiedo, osservandolo. Ha una camicia azzurra a maniche corte, che mette in risalto i muscoli delle sue braccia e un paio di jeans scuri abbinati a delle Adidas dello stesso colore.
"Beh, mi hai già detto qualcosa di te un po' di tempo fa, ma di sfuggita, ora mi stavo chiedendo... perché nessuno sa che canti?" Lo sapevo. Sapevo che voleva arrivare a questo punto.
Mi irrigidisco e scatto in piedi, tenendo lo sguardo al pavimento, in collera. Anche lui si alza subito, bloccandomi la strada.
"Alice aspetta, io..." comincia, ma non lo lascio finire.
"Io e te non abbiamo nulla di cui parlare." La mia voce è fredda come ghiaccio, tagliente come la lama di un rasoio.
"Per favore, non c'è nulla di male se facciamo due chiacchiere su..."
"Non sono affari tuoi." Lo interrompo, alzando lo sguardo su di lui. "Potresti semplicemente dimenticarti quello che hai sentito e fare finta di niente? Lo sai mantenere un segreto?"
"Si, so mantenere un segreto, ma volevo solo sapere se è un dono o hai dovuto perfezionarlo."
"Non. Sono. Affari. Tuoi. Ora che lo sai, non dovrai mai parlarne con nessuno, o rischio di essere cacciata."
"Cosa c'è di male in una ragazza che canta?"
"Smettila subito, questo discorso sarebbe dovuto finire già da un po'."
"Hei Fernando!" Una voce maschile giunge da poco distante, è di Daniele, un meccanico addetto alle gomme. Non appena mi accorgo della sua presenza sul mio viso si stampa un sorriso finto, come se stessi ridendo a una battuta di Fernando, ma la sua espressione ci tradisce entrambi.
"Che succede qui? Il nostro tecnico non è abbastanza loquace?" So che con il termine "loquace" intende tutt'altro, inutile dirlo, nel nostro paese viviamo con i doppi sensi.
"Magari alla prossima gara stai tu al posto mio, eh Dani?" Dico. Lui e i numeri non vanno d'accordo, perciò si rimangia immediatamente le parole con un "no, grazie, non ci tengo."
"Beh, vi lascio chiacchierare." Dico, avviandomi verso il bar dall'altra parte dell'ingresso, vengo fermata da uno strattone al braccio che mi costringe a tornare indietro, le labbra di Fernando sono attaccate al mio orecchio.
"Forse per te la discussione sarà anche conclusa, ma io non intendo metterci una pietra sopra." Sussurra.
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