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CAPITOLO VENTIDUE

I miei occhi guardavano costantemente l'orologio appeso al muro del mio ufficio.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e stavo aspettando il momento per andare via, ma avevo ancora tanto da fare.
Dopo mesi e mesi, riuscimmo finalmente ad ottenere i filmati delle videocamere del Tower Bridge. Combattemmo per indagare sul posto, ma la NCA ci proibì di mettere piede all'interno, lasciando a loro lo spazio di lavorare su quel posto, essendo un'attrazione importante della città.
Infatti, ancora oggi, il Tower Bridge era chiuso al pubblico.

«Ti sono arrivati?» domandò Jay irrompendo nel mio ufficio.
Io annuii soltanto, facendogli spazio per sedersi al mio fianco.
«Vogliamo vedere anche noi!» esclamò Chris, entrando anche lui seguito da Connor, che si posizionarono alle nostre spalle.
Chris, mi baciò dolcemente la testa dopo esserci scambiati un veloce sguardo dolce.
«Okay allora, lo faccio partire!» esclamò Jay, digitando lettere sulla tastiera del mio computer, facendo poi partire finalmente i filmati delle videocamere.

«Manda avanti!» dissi mordendomi il labbro interno.
Improvvisamente il silenzio calò nella stanza, tutti noi eravamo concentrati sullo schermo che mostrava il pontile superiore che collegava le due torri.
C'erano turisti e ancora turisti, chi scattava foto e chi faceva video.
La porta della stanza era aperta, così quando passarono mio padre e James si incuriosirono entrando, vedendoci imbambolati.
Feci segno con una mano di rimanere in silenzio, mi piegai in avanti e con il mouse iniziai a schippare il video velocemente, fino a quando non notai un viso familiare.

«Chris guarda... è Miles...» dissi indicando il ragazzo sullo schermo.
Improvvisamente sentii una fitta allo stomaco nel vedere il nostro amico, sembrava essere spaesato mentre continuava a guardarsi intorno con in mano il cellulare.
Cercava campo visto che sventolava in aria l'oggetto, forse stava provando a rintracciare qualcuno o aspettava qualcosa.
«Quindi era ancora vivo quando abbiamo trovato Stephanie... ma perchè non ha risposto alle mie chiamate?» domandò Chris scosso.
«Dove sta andando?» domandò James, indicandolo con un dito.

Miles, iniziò a camminare velocemente dopo essersi guardato alle spalle.
Non riuscimmo a vedere nessuno che lo stava seguendo, ma notammo un'altra delle tre vittime di quella sera.
«Guarda, c'è Matteo!» esclamò Jay.
Ripuntai i miei occhi sullo schermo impaziente nell'intravedere qualcosa o qualcuno, ma tutto ciò che vedemmo, fu che Matteo era anche lui spaesato, aveva fermato alcuni turisti per chiedere loro qualcosa, ma fu respinto e spintonato più volte quando iniziò ad essere invadente.
«Accidenti!» imprecai con nervosismo nella mia voce, continuai a mandare avanti il video il più veloce possibile, la mia pazienza stava esaurendo.

«Chelsea, Chelsea fermati!» quasi urlò Jay, balzando dalla sedia mentre mi spintonò via bruscamente.
Mandò indietro di qualche secondo il video e rallentò non appena il ponte si svuotò.
«Ecco ora, vedete...» disse con euforia Jay, iniziando a mordersi le unghie.
Sembravamo impazziti.
Il video mostrava il Tower Bridge dopo la chiusura, ovviamente vuoto e al buio, la notte era calata.
Dopo svariati secondi, un corpo di un agente venne lanciato sul pavimento, proveniente dalla porta che era dietro la videocamera.
L'uomo strisciò all'indietro spaventato, allontanandosi da qualcuno che sbucò poco dopo di lui.
Un uomo alto che indossava un cappotto lungo e nero, zoppicava tenendosi poggiato su una stampella, la stessa che colpì con violenza la testa del povero uomo ai suoi piedi.

Ma fu allora che, non appena quell'uomo colpì l'agente, stendendo il braccio a favore della videocamera, lo vidi... il tatuaggio che Tony aveva avvistato.
Bloccai il video in quell'esatto momento, avvicinando di più l'immagine sul polso e schiarendola, così che si potesse vedere meglio il nome.
«Kim...» farfugliò mio padre alle mie spalle.
Jay fece ripartire il video volendo scoprire altro, fu in quell'istante che rimanemmo tutti con il fiato sospeso, io quasi stavo morendo dentro non appena vidi il presunto assassino voltarsi verso la telecamera, sembrava proprio che ci stesse guardando.
Il suo viso era coperto fin sopra al naso, con la stessa bandana che si stava abbassando lentamente prima che lo schermo diventasse tutto nero e grigio.
Qualcuno aveva disattivato le videocamere.

«Merda... merda...» urlò Jay incredulo, colpendo a pugni la mia scrivania.
Chiusi gli occhi nel pieno dello sconforto e sospirai, l'assassino era sempre un passo avanti.
«Jay, sta calmo!» esclamò James notando il ragazzo camminare avanti e indietro per la stanza, respirando rumorosamente dal nervoso e passandosi continuamente una mano fra i capelli.
«Avete idea di chi possa essere Kim?» domandò invano Connor.
Abbassai lo sguardo rimanendo in silenzio mentre giocavo ansiosa con le mie mani.
Dopodiché mi alzai, avvisando i ragazzi che mi sarei assentata un secondo per andare in bagno.

In realtà, mi recai verso gli archivi per cercare dei fascicoli risalenti all'anno 2019.
Avevo una strana sensazione che mi stava divorando e non potevano essere solo coincidenze.
Non sapevo esattamente cosa stessi cercando tra quelle carte, ma sicuramente avrei trovato qualcosa, prendendo in mano finalmente un fascicolo di un vecchio omicidio.
«Stai cercando qualcosa?» la voce profonda di Jay mi fece sussultare, facendomi sbattere la testa sotto il ripiano delle cartelle.
«Dio santo...» mugolai massaggiandomi il capo e voltandomi verso il ragazzo, che si avvicinò a me prendendo la cartella che era stretta tra le mie mani.

«I bagni sono a destra, tu sei andata a sinistra...» spiegò iniziando a leggere il fascicolo. «A cosa ti serve questo?»
«Volevo... in verità stavo cercando...» e sbuffai interrompendomi, non sapevo cosa dirgli.
«Chelsea, non mi piace quando mi si nascondono le cose!»
«Non sto nascondendo nulla, Jay!»
«No? Io credo proprio di si invece!» disse sbattendo il fascicolo su un mobile ed avvicinandosi di conseguenza a me, con aria turbata e per niente tranquilla. «Non mentirmi Chelsea, non... farlo...»

***

Erano quasi le undici e mezza quando salii sulla collina di Cutty Sark quella notte.
Fremevo dalla voglia di sapere da chi mi fosse arrivato quel messaggio, ma avevo anche paura di stare sola in quel posto, con poca illuminazione.
Mi sedetti su una panchina tirandomi su il cappuccio della felpa, piegai in avanti il busto poggiando i gomiti sulle ginocchia mentre i miei talloni battevano continuamente sull'asfalto bricciolato.
Faceva freddo in quella sera di inizio settembre, non a caso, l'estate durò nuovamente poco a Londra.
Il caldo atroce scomparì dopo due sole settimane, ritornando al vento e al cielo nuvoloso.

Avevo ancora qualche minuto per dedicare a me stessa, con quell'aria ventilata che mi scombussolava i capelli mi incantai sulle luci di Canary Wharf, con i suoi palazzi alti illuminati nel cuore dell'isola.
Una delle banche a punta aveva una striscia intorno a led, che questa sera si illuminava di rosso, bianco e blu, i colori della bandiera Inglese.
Sorrisi nel pensare agli avvenimenti delle precedenti ore, non potetti non puntare i miei occhi sull'anello che portavo al dito, rigirandolo e sfiorando la pietra delicatamente.
Ancora non potevo credere che Chris mi avesse chiesto di sposarlo, come non potevo credere che c'era ancora spazio alla felicità in quel caos infernale.

Qualcosa però andò storto in quell'attimo di spensieratezza, il mio sorriso scomparve nel momento in cui la mia mente iniziò a giocare brutti scherzi.
Sarà per l'atmosfera cupa, del freddo o del buio che mi stava mangiando, ma vari immagini del passato mi condussero al significato del tatuaggio di quell'uomo.
Mi alzai di scatto, pronta ad andare via da quel posto e tornare in centrale, ma chi mi ritrovai davanti mi fece bloccare, come se le mie gambe non funzionassero più.
«Vicky!?» dissi confusa.

«Posa la tua pistola sulla panchina Chelsea!> esclamò la ragazza con tono fermo.
«Aspetta... che significa? Tu sei...» mi interruppe prima che potessi finire la frase.
«Per tutti questi anni sono stata derisa e rifiutata per via del mio aspetto... mi avete rovinato la vita, ma non sarei mai capace di mettere in atto una cosa del genere...!» spiegò facendo un passo verso di me e così ne feci uno indietro, la situazione non sembrava essere una delle migliori.
«Sei stata tu a mandarmi quel messaggio?» domandai alzando un sopracciglio.

«Sono stato io!» esclamò un'altra voce, sta volta maschile, proveniente dalle mie spalle.
Nel momento che mi girai verso di lui, un agente di polizia, con un aspetto pessimo, venne spinto ai miei piedi mentre mugolava dolorante.
«Toglimi la cavigliera, Chelsea!» esclamò Harry avvicinandosi con le mani in tasca.
Non potevo credere ai miei occhi.
«Voi due... voi due vi conoscete?» domandai balbettando, mentre li guardavo alternando lo sguardo.
Mi sentivo confusa, la testa iniziava a farmi male che sembrava volesse esplodere.
«Chelsea, devi togliergli la cavigliera!» ripetette Vicky.
«Non se prima non mi dite che sta succedendo!» urlai stufa, mentre i due continuavano ad avvicinarsi, quasi volessero bloccarmi.

Iniziai ad avvertire la paura, ma quella vera e non la solita sensazione che avevo provato in tutti questi mesi.
«Non fai più così la grande ormai!» una terza persona sbucò dal buio di quella collina, mentre zoppicante si avvicinava lentamente a noi. «Adesso hai capito cosa si prova a perdere una persona a te cara? O cosa si prova nello stare da soli?»
L'uomo dal viso coperto cercò di accarezzarmi il viso, ma Harry non glielo permise che, con fare protettivo, lo fermò mettendo solo un braccio tra noi.

Il zoppo ridacchiò, come se quella mossa fu prevedibile da parte di Harry.
«Prima uccidi delle persone e poi vuoi lavartene le mani come se nulla fosse? Oh, Harry caro, ti facevo più furbo!»
«C-Cosa?» dissi incredula in un sussurro.
Harry mi lanciò una veloce occhiata, prima di abbassare lo sguardo sconfortante che si era creato sul suo volto.
«Facciamola finita!» disse l'uomo, o meglio dire, l'assassino mentre si scopriva il volto con nonchalance.

Restai secondi a guardare il suo viso, cercando di capire chi fosse realmente: occhi verde chiaro, capelli ricci corti e una cicatrice sull'occhio destro, una cicatrice inconfondibile.
Spalancai le labbra facendo un altro passo indietro: «No, non è possibile... tu, tu dovresti essere morto...»
«Dovrei essere, hai detto bene... ma non hanno mai trovato il corpo!» sorrise beffardo Noah Robinson.
Prima che potesse dire altro, feci l'unica cosa che in quel momento mi sentivo di fare: scappare dalla trappola che avevano organizzato.

Iniziai a correre giù per la collina cercando in tutti modi di non farmi male, il buio non mi aiutava e non vedevo dove realmente stessi andando. Ero nel panico più totale.
Udii altri passi, oltre ai miei, alle mie spalle mentre i piedi colpivano ripetutamente il cemento.
Sentivo il cuore in gola, la pelle in fiamme e il fiato corto, la mia mano destra era poggiata sulla pistola, era l'unica cosa che mi avrebbe protetta in quel momento.
In lontananza, i miei occhi appannati dalle lacrime scorsero il grande cancello del parco e le luci della strada, ero quasi vicina all'uscita ma non appena qualcuno mi afferrò per la felpa, non esitai a premere il grilletto, sperando solo di non aver mancato il bersaglio.

Non dimenticherò mai l'urlo straziante di Harry, che si accasciò dolorante sull'asfalto mentre dalla ferita dello stomaco, scorreva imperterrito del sangue rosso scuro.
Continuò ad urlare dal dolore e tra i pianti, mi chiedeva aiuto, ma io non potevo restare lì.
Prima che qualcun altro ci raggiungesse, mi piegai al suo fianco e, con le lacrime che scendevano lente sul mio viso, strinsi la sua mano baciandola.
«M-Mi dispiace Chelsea...» sussurrò lui.
<Sssh, non parlare, non ti devi sforzare...» dissi accarezzandogli il viso. «Mi dispiace tanto Harry, ma devo andare...»
«Ho un cosa per te... nella tasca... sinistra...» tossendo disse lui, continuando a gemere dal dolore.

Presi di corsa una busta bianca e mi rialzai, dandogli l'ultimo saluto per poi riniziare a correre ed allontanarmi il più veloce possibile da lì, anche se avrei preferito restare con lui ed aiutarlo, ma tutti dovevano venire a conoscenza di quell'avvenimento, prima che la morte venisse a fare la mia conoscenza. Non potevo permettermi di farmi uccidere, se prima non avessi dato a Chris e Jay il nome dell'assassino.
Dalla discesa di quel piccolo posto, le mie gambe correvano ormai da sole e piangendo, non riuscivo a credere a ciò che era appena accaduto: Vicky complice, Noah vivo ed Harry ormai in fin di vita.
Fermai il primo taxi che mi passò davanti e ci salii, una volta sui sedili, cercai disperata il mio cellulare nelle tasche.
Per tutto il viaggio in macchina, che durò poco, avevo il viso coperto dalle mie mani mentre pensavo a ciò che era successo, piena di nervosismo e paura.
Avevo sfiorato di poco la fine della mia vita, ma ciò che tanto continuava a tormentarmi, erano gli occhi profondi di Harry che mi guardavano, chiedendomi scusa.

Non dimenticherò mai il rumore del mio cuore, che si frantumava nel venire a conoscenza che chi avevo sparato era Harry. Per quanto potessi reprimerli, provavo dei sentimenti nei suoi confronti, mi ero pur sempre affezionata, anche se ad una menzogna.

Mi asciugai il viso una volta arrivata a casa e assicurandomi che nessuno fosse alle mie spalle corsi dentro al mio palazzo.
Una volta raggiunto il mio appartamento, mi chiusi la porta alle spalle e con il fiatone, tirai quasi un sospiro di sollievo.
«Chelsea?» la voce di Chris proveniente dal soggiorno, mi fece correre in quella direzione, fermandomi una volta ritrovatami faccia a faccia con lui.
Rimase a bocca aperta notando le mie condizioni e il sangue sparso sulla mia pelle e i miei vestiti.
Era arrivato il momento di raccontare la verità al mio futuro marito, liberarmi di un peso che portavo con me da anni e che avevo promesso di portare con me fin dentro la mia tomba, era arrivato il momento di rivelargli ciò che accadde nella notte del venti luglio del duemiladiciannove.
«Dobbiamo parlare!» dissi tremando.

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