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CAPITOLO SEI

Aprii lentamente gli occhi, stropicciandoli per via della luce del sole che mi creò un gran fastidio.
Mi rigirai nel letto e subito dopo mi stiracchiai, lasciando che un piccolo lamento fuoriuscisse dalle mie labbra quasi scocciata dall'idea di alzarmi. Ma l'odore del caffè mi penetrò le narici convincendomi nel scendere al piano terra.
«Buongiorno, dormito bene?» domandò Harry con un sorriso mentre riponeva in un piatto del bacon fritto.
Annuii avvicinandomi a lui «Che odorino... Da quanto sei sveglio?»
«Da un po', non mi andava di svegliarti, avevi bisogno di riposo!» affermò lui porgendomi la tazza di caffè.

Iniziai a bere a sorsi dato che il liquido era ancora abbastanza caldo e mi accomodai su una sedia, raggiunta poi da lui una volta finito di preparare la colazione.
«Qual è il programma di oggi?» chiesi addentando un pezzo di bacon.
«Ti porto a far vedere le scogliere di Dover.» rispose lui riprendendo a mangiare subito dopo.
Annuii sorridendo e continuai a mangiare il mio pasto in silenzio.

Era una bella giornata nel Kent, non vidi nessuna nuvola nel cielo, solo colore azzurro.
Non si udiva un rumore dall'interno della casa se non solo il cinguettio di qualche uccello.
Diedi un'occhiata veloce al telefono notando di aver ricevuto un messaggio da parte di Sarah, la moglie di Chris, il quale mi invitava a bere un caffè con lei il giorno dopo.

Per il momento decisi di ignorare il messaggio, facendo lo stesso con la chiamata persa di Chris e spensi il telefono.
Harry era salito a cambiarsi, avremmo trascorso il resto della giornata a Dover e verso tarda sera, avremmo ripreso la nostra via verso Londra.
Incuriosita dalla casa, iniziai a girarci intorno cercando delle foto di famiglia o qualcosa che riportasse al passato di Harry, ma tutto ciò che trovai fu il nulla.

L'occhio curioso cadde principalmente su alcuni mobili. Harry aveva raccontato che non metteva piede in quella casa da anni e pure sembrava più che nuova, quasi ristrutturata. Mezzo ripiano della cucina era ancora cellofanato.
Mi voltai in procinto di raggiungere la camera da letto ma una porta di colore bianco latte all'angolo della cucina mi distrasse dai miei pensieri precedenti.
Mi avvicinai ad essa con l'intento di aprirla, ma non appena ci provai la maniglia non girò, facendomi capire che era chiusa a chiave.

«Cerchi qualcosa?» con voce profonda, Harry chiese stando alle mie spalle.
Mi girai verso di lui, notai il suo sopracciglio inarcato e le labbra serrate, mi pietrificati sotto al suo sguardo interdetto.
«È solo una cantina!» esclamò continuando, ammiccando successivamente un sorriso.

***

Raggiungemmo le scogliere di Dover verso le tre del pomeriggio, il cielo era di un azzurro chiaro, il sole splendeva in tutta la sua bellezza e un leggero venticello rendeva il pomeriggio ancora più rilassato.
Per quanto io ricorda, non avevo mai visitato le scogliere di Dover e come nelle foto che mi avevano mostrato, era di una vista incantevole.

Ci fermammo in cima alla collina e dopo esserci seduti sul prato verde, ammirai dinanzi a me una distesa di mare cristallino. Eravamo i soli ad essere lì, in quella domenica pomeridiana e potevo udire benissimo le onde che si schiantavano con dolcezza contro la scogliera.
E a pensare che a trentatré chilometri da lì distava la Francia. Quanto mi sarebbe piaciuto ritornarci!

«Ti devo delle scuse per ieri sera!» esclamai voltandomi verso Harry.
«Non devi chiedermi scusa, anzi, mi piacerebbe capire cosa sia successo».
Sospirai voltandomi nuovamente verso il mare.
Dopo la crisi avuta in bagno, mi ero praticamente chiusa in me e per tutta la serata non avevo fatto nient'altro che evitarlo, fino ad arrivare ad una discussione.

«Avevo bisogno di stare da sola...»
«Ti ho portata qui per passare un weekend insieme, da soli, lontani dai casi di lavoro o da ex insistenti!» ribatté nervoso Harry.
Emisi una smorfia: «Ex?»
«Certo Chelsea, riconosco gli sguardi di due persone che sono state insieme» si alzò in preda al nervoso. «Senti, capisco tu sia stressata per ciò che stai passando, ma mi piacerebbe essere coinvolto nel tuo dolore invece che esserne sbattuto fuori!»

Abbassai lo sguardo per qualche secondo. Aveva ragione, mi chiudevo sempre in me stessa quando accadeva qualcosa e questo portava nel far allontanare le persone da me.
Mi alzai e prendendogli il polso destro lo tirai a me, anche se per un attimo oppose resistenza.
«So che ho sbagliato e ti ho chiesto scusa, ma devi accettare il fatto che alcune cose io non posso dirtele!» replicai.

«Io non voglio che tu mi dica le cose, voglio solo non essere la conseguenza della tua rabbia esterna a noi, lo capisci questo?» formulò stringendomi a se.
Annuii rilassandomi sotto il tocco della sua mano mentre accarezzava lentamente la mia guancia.
Di seguito, la portò dietro al mio collo e stringendo delicatamente mi avvicinò al suo viso permettendogli di baciarmi.

Mi fece chinare sul prato, stavolta stendendoci senza staccarci dal bacio. Strinse in una mano il tessuto della mia canotta bianca tirando i lembi in su ma lo fermai, quasi insicura di ciò che potevamo fare.
«Non c'è nessuno...» sussurrò sulle mie labbra.
«Ne sei sicuro?»
«Sicuro!» rassicurò tirandomi delicatamente i capelli facendo sì che la mia testa si piegasse all'indietro.
Le sue labbra toccarono la pelle del mio collo lasciando una scia di baci umidi.

Avevo sicuramente rovinato il weekend nel Kent, rilassarsi è stata l'ultima cosa che ero riuscita a fare ma nessuno aveva detto di non godermi le successive ore.
Gli sbottonai il jeans, sfilando lentamente e lui fece lo stesso.
Bloccò uno dei miei gemiti baciandomi nel mentre mi possedeva con delicatezza.
Mi aggrappai al suo busto stringendo in due pugni il tessuto della sua maglietta, mi lasciai andare al bacio ansimando sulle sue labbra.

Percepivo il sole scottare sulla mia pelle e il rumore delle onde del mare coprivano il nostro piacere che continuava ad essere più forte, più deciso.
Non avevo mai provato la sensazione che stavo provando in quel momento, l'inebriarsi e la paura di essere scoperti mi eccitava sempre di più, portandomi al culmine della situazione.

***

Ritornammo a Londra, erano quasi le otto di sera e Harry parcheggiò la sua auto sotto il palazzo dove io abitavo. Andavamo incontro l'estate e le giornate si erano allungate, il sole stava tramontando ma il cielo era ancora carico d'azzurro.
Durante il tragitto dal Kent a Londra, avevo riacceso il telefono con l'intenzione di accettare l'invito di Sarah e così feci, evitando del tutto i messaggi e le chiamate da parte di Chris.
«Ti va di salire e cenare insieme?» domandai voltandomi verso Harry il quale annuì.
Raggiungemmo il piano ma mi fermai non appena notai la porta di casa mia socchiusa.
«Che c'è?» chiese Harry.
Gli feci segno di rimanere in silenzio e seguirmi.

Entrai a passo lento nell'abitazione tirando da un comodino vicino l'entrata una pistola.
Tesi le braccia e mi incamminai verso il salotto ma non c'era nessuno, cercai di trattenere il respiro per ascoltare meglio, percepire attraverso qualche suono se ci fosse realmente qualcuno in casa.
Controllai la sezione giorno, niente di anomalo ma sussultai alla voce acuta di un uomo alle mie spalle, così, mi voltai velocemente puntandogli l'arma contro.
«E' così che dai il benvenuto a tuo padre?»domandò l'uomo a mani alte.
«Papà!?» poggiai l'oggetto sul ripiano della cucina e corsi verso di lui abbracciandolo. «Che diamine ci fai qui?» domandai tra le lacrime che erano inziate a scorrere lente.

***

«Vorrei non aver mai accettato questo caso papà, vorrei tornare ad Edimburgo...» seduta sul divano con una tazza di tè tra le mani, raccontavo a mio padre del caso e di ciò che ancora non ero riuscita a capire. «I cittadini sono arrabbiati e spaventati, chiedono della polizia, dove siamo e perchè non facciamo niente a riguardo... mi sento come anni fa, oppressa da questa città».
Mio padre sospirò, alzai lo sguardo su di lui con gli occhi pieni di lacrime, sul ciglio di piangere nuovamente.
«Mi ha portato via l'unica persona che mi è sempre stata vicina e non so perchè ma penso che in qualche modo... lui voglia arrivare a me! Ho paura, non riesco a dormire la notte perchè questo pensiero mi rimbomba nella testa ogni secondo, ho tanta paura papà...» scoppiai in un pianto disperato, incapace di trattenermi ed andare oltre.

Lui, senza dire una parola, mi tirò a se stringendomi in un enorme abbraccio.
Mi accarezzava i capelli cercando di tranquillizzarmi, quella scena mi riportò ad anni fa, ricordandomi di quando ero piccola e lui partiva in missione senza sapere se ritornava vivo o morto.
Mi chiudevo in camera mia incapace di salutarlo, piangevo a dirotto e lui mi raggiungeva per stringermi tra le sue braccia muscolose, accarezzando i miei capelli mi ripeteva di stare tranquilla, che mi avrebbe pensato costantemente e che mi avrebbe dedicato ogni sua vittoria.
«Domani appariamo in tv, non sono pronta a dire a tutta Londra che non abbiamo una pista... non posso deludere i miei concittadini, non voglio deludere te...» dissi con voce impastata dal pianto, contro il petto di mio padre.

«Chels, mi hai reso fiero più e più volte, non c'è niente che tu possa fare per deludermi!» esclamò prendendomi il viso tra le mani. «In qualsiasi modo vada questo caso, resterai per sempre il mio piccolo pudding e sono fiero di avere una figlia come te, tua madre mi ha dato te, l'unica cosa buona nella mia vita e io non potevo chiedere di meglio!»
Ammiccai un sorriso e di seguito gli lasciai un bacio sulla guancia: «Verrai con me domani all'intervista?»
Annuì asciugandomi le lacrime: «Però adesso vorrei sapere una cosa... Chi era quel ragazzo?»
Harry, il quale gli avevo chiesto gentilmente di andare, aveva lasciato l'appartamento poco prima che la conversazione con mio padre ebbe inizio.
«L'ho incontrato un pò di tempo fa in un pub, stiamo uscendo e ci stiamo conoscendo, mi piace...» spiegai abbassando lo sguardo.
«Ma...?»
Lo guardai negli occhi senza rispondere, ammiccò un sorriso capendo a volo ciò che non avrei ammesso.

***

Finii di sistemarmi per affrontare un lungo Lunedi, iniziai a prepararmi mentalmente per la giornata che iniziava con colazione in compagnia di Sarah.
Verso le undici mi sarei recata in centrale con mio padre, aveva passato la notte da me per non tornare a casa da mamma, sarebbe stata l'ultima persona che avrebbe voluto vedere nel suo breve soggiorno a Londra.
Mi recai nel centro di Canary Wharf dove avrei dovuto incontrare Sarah in una caffetteria francese così la raggiunsi, notando che ella era già lì a sorseggiare un caffè.
«Sarah!» esclamai avvicinandomi a lei.
«Chels, mi spiace non averti aspettato per il caffè ma ne avevo un gran bisogno!» disse lei dandomi un abbraccio veloce. «Il piccolo non mi ha fatto dormire per niente stanotte...» concluse risedendosi.

«Tranquilla» dissi accomodandomi di fronte a le e ordinando subito dopo un cappuccino.
«Allora, che effetto ti fa essere di nuovo a Londra?» domandò Sarah sorridendomi.
«Ancora rumorosa e caotica, i palazzi sono aumentati così come le persone... Ad Edimburgo, anche se più fredda, mi sento davvero a casa...» dissi sorseggiando il caffè ormai arrivato. «Ma tu dimmi... Con Chris... Non sapevo aveste un figlio...» continuai cercando di rimanere neutrale.

«Sì, ho scoperto di essere incinta di Matt poco dopo che tu sei partita, ero al settimo cielo!» raccontò lei con entusiasmo, felicissima di come la sua vita stesse andando. «A proposito, mi dispiace non averti invitata al battesimo e di non aver detto nulla, ma abbiamo fatto qualcosa di piccolo!»
«Tranquilla...» dissi subito dopo di lei con voce strozzata, poi me la schiarii sistemandomi nervosamente sulla sedia. «Non sarei riuscita comunque a venire... Sai, il troppo lavoro...» risi impaziente.

Mi sudavano le mani, mi sentivo accaldata e la pelle iniziò a prudere tanto da non trovare pace sulla sedia e muovermi in continuazione.

«Ti senti bene?» domandò Sarah preoccupata.

«Si, oggi fa abbastanza caldo, forse il caffè a stomaco vuoto non mi fa bene, scusami un secondo...» mi alzai di fretta e mi recai all'interno della caffetteria, visto che eravamo sedute all'esterno.
Raggiunsi i bagni e per fortuna non c'era nessuno. Aprii il rubinetto sciacquandomi di conseguenza il viso con acqua gelida, iniziai a respirare profondamente chiudendo gli occhi per un secondo ma sobbalzai non appena sentii un botto seguito da urla provenire dall'interno del locale.
Mi sbottonai la giacca precipitandomi immediatamente fuori, le persona correvano all'esterno urlando e non capii cosa stesse succedendo.

«CHIAMATE UN'AMBULANZA!» sentì dire da qualcuno.
Raggiunsi la strada e schiusi le labbra alla vista di Sarah distesa in terra ricoperta di sangue.
Veloce mi inginocchiai al suo fianco prendendole la testa tra le mani.
«Chelsea...» con fiato corto disse lei con gli occhi pieni di lacrime. Provò a muoversi ma la fermai.
«No, Sarah, non devi muoverti... L'ambulanza sta per arrivare, tu resta con me, va bene? Resta con me...» le accarezzai i capelli cercando di tranquillizzarla. I miei occhi percorsero il suo corpo arrivando a capire cosa fosse successo. Il sangue continuava a uscirle dal torace mentre qualcun'altro cercava di premerle sulla ferita.

Per un attimo rimasi disconnessa dal mondo nel guardare quella scena, il mio battito continuava ad accelerare e il mio sguardo era perso nel vuoto: «Resta con me... Resta con me...» sussurrai balbettando.

***

«La conferenza stampa inizia tra mezz'ora, Chelsea devi cambiarti!» esclamò Nicholas, mio padre, a braccia incrociate.
Ero poggiata ad un mobile dell'ufficio di Chris, i miei vestiti erano sporchi di sangue e la mia mente era ancora altrove.
«Non me la sento...» sussurrai con lo sguardo perso nel nulla.
Calò il silenzio nella stanza. Chris era seduto alla scrivania con le mani sul viso mentre James, il padre di Sarah, guardava fisso fuori la finestra con le mani in tasca.
Bussarono la porta e tutti alzammo lo sguardo verso di essa.
Entrò Michael, un giovane agente di polizia, tra le mani reggeva il mio cambio abito: «Chels, ti ho portato i vestiti!»

Lo guardai e gli feci segno di posare la roba sui divanetti, così fece lasciando subito dopo la stanza.
«Vatti a cambiare, Chels!» disse James con tono duro.
L'aria che si respirava all'interno di quella stanza era pesante, nessuno sapeva a cosa pensare o a cosa dire, io volevo solo tornare a casa, i sensi di colpa mi stavano assalendo.

«James...» volevo obbiettare ma James mi interruppe voltandosi verso di me.
I suoi occhi erano pieni di lacrime, lacrime che tratteneva da ore e che non mostrava.
«Mia figlia è in ospedale tra la vita e la morte perchè qualcuno le ha sparato!» accennò alzando la voce. «Non vi ho insegnato ad essere deboli, vi ho insegnato ad affrontare queste cose a testa alta, ora non è il momento di piangersi addosso... Dovete uscire da qui e dire al nostro paese che farete il possibile per portare al termine questa missione, Sarah è un'altra di queste vittime...»

«Non ne siamo certi!» accennò Chris con sguardo basso.
«Ah no? Questo Killer ha ucciso metà dei compagni di classe di Chels, Sarah ne faceva parte.» iniziò a spiegare James avvicinandosi a lui. «Adesso spiegami il perchè una persona che passa davanti ad una caffetteria, con tanta altra gente debba sparare proprio a mia figlia e scappare, io non la trovo una casualità Christopher!» concluse a denti stretti.
Chris alzò lo sguardo su suo suocero sospirando voltandosi poi verso di me: «Va a cambiarti Chels!»

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