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CAPITOLO OTTO - SECONDA PARTE

Se qualcuno fosse stato all'interno, era impossibile uscire se non dal piano inferiore ed era ancora più impossibile senza essere visti.
Quindi pensai: si deve essere abbastanza stupidi da sporgersi e poi nascondersi dopo un omicidio.
Camminai a passo lento tra le macerie dell'edificio, cercai di fare il meno rumore possibile mentre avevo le braccia tese di fronte al mio viso mantenendo salda la pistola tra le mani.
«Chris, mi ricevi?» domandai sussurrando contro la radiolina. «Tenete d'occhio le uscite e le finestre!» continuai non appena lui rispose.

Cercai di rimanere il più concentrata possibile evitando il sottofondo di sirene e il vociferare di persone provenienti dall'esterno, fortunatamente il palazzo aveva le vetrate quindi tutto quel rumore veniva fermato dal materiale.
Sentii il sangue gelare ogni volta che avanzavo ad un piano superiore, i miei occhi roteavano velocemente perlustrando i piani, era tutto aperto quindi non mi era difficile esaminare.
Il cuore andava a mille, udivo il battito farsi sempre più veloce fin quando mi girai di scatto avvertendo il rumore di una lattina cadere.
Entrai nella stanza da dove provenne quel suono, ma non appena ci misi piede, qualcuno mi colpì sulle braccia con un bastone di legno facendo così cadere la pistola sul pavimento.
Persi la sensibilità sentendo le mani formicolare, mi voltai e una persona incappucciata e con il volto coperto mi spintonò correndo fuori da lì.

Ripresi in fretta l'oggetto in terra seguendolo, ma la vista continuava ad essere coperta da queste grandi buste di plastica appese al soffitto.
Continuai a stargli dietro, il più veloce possibile e scendendo al piano di sotto.
Il fiato si faceva sempre più corto, affannoso mentre le braccia continuavano a formicolare fin sopra le spalle, il colpo era stata molto forte.
Pigiai il grilletto facendo partire un colpo, sfiorai il braccio della persona dinanzi a me che mugolò dal dolore coprendo la ferita con una mano.
Rallentò cosi aumentai la corsa lanciandomi successivamente su di lui. Rotolammo giù dalle scale essendo in cima ad esse, colpii appena la testa sul pavimento ma riuscii a tenere salda la presa sulla persona il quale si lamentò per il colpo, un lamento femminile.

Ricevetti un calcio dritto allo stomaco, dopo averle dato una gomitata dietro la nuca e mi spostò da sopra di lei, piegai il mio corpo portando le braccia sulla pancia e tossii stringendo gli occhi.
«Merda...» sussurrai a denti stretti vedendo la ragazza alzarsi e cominciare a correre, decisi di riprendere la pistola che era poco distante da me e sparai nuovamente, ora, il proiettile finì dritto nella sua gamba permettendole di zoppicare.
Mi alzai dolorante dal pavimento ma urlai avvertendo una fitta alla gamba destra così diedi un'occhiata veloce, un pezzo di vetro abbastanza grande ed affilato, aveva perforato la mia pelle facendo così uscire del sangue rosso intenso.

Riportai gli occhi sulla ragazza notando che non aveva più il cappuccio, ora mostrava i suoi lunghi capelli biondi, lisci e disordinati, feci un passo verso di lei vedendola sul ciglio di una finestra aperta ma mi lamentai dal dolore, la ferita bruciava così come gli altri tagli che mi ero procurata cadendo.
Il viso della ragazza era coperto da una maschera bianca semplice, non ero riuscita a toglierla quando eravamo a terra avvinghiate l'una all'altra.
«FERMATI!» urlai vedendola sporgersi.
Lei si bloccò un'istante, voltando con la testa alla sua sinistra, sembrava mi stesse guardando da sotto quella maschera, voleva vedere qualche mia mossa ma non mi permise neanche di farla che si lanciò giù.

Sgranai gli occhi andando verso la finestra, trovai difficoltà nel camminare quindi dovetti strisciare la gamba.
Stavo perdendo ancora molto sangue ma per ora era l'ultimo dei miei pensieri. Avevo il potenziale assassino davanti ai miei occhi notando che, una volta affacciata, era riuscita a scappare... di lei giù non vi erano tracce.
Mi appoggiai con la spalla al muro e guardai la città dal terzo piano, ambulanze e pompieri erano fuori dall'edificio, la strada era chiusa ma nessuno vi era al di sotto di quel lato, nessuno aveva visto nulla.
Iniziai a sentirmi amareggiata, l'avevo in pugno ma allo stesso tempo ero scioccata: l'assassino era una donna.

Mi strofinai una mano sul viso osservando successivamente il palmo che era di un rosso chiaro, feci un passo indietro voltandomi poi nell'udire dei passi alle mie spalle.
Jay, seguito da Chris, si bloccò schiudendo le labbra alla vista di me ricoperta di sangue e ferite.
Feci un passo zoppicante verso di loro e loro ne fecero uno lento verso di me.
Cercai di inalare dell'aria ma mi veniva difficile respirare, la testa iniziò a farmi male, come se un martello la stesse colpendo insistentemente senza pietà, il formicolio nelle braccia non era svanito anzi, era aumentato.
«Sto bene!» esclamai facendo un mezzo sorriso, «È una donna!» ci tenni a precisare prima di perdere stabilità nella gamba e lasciarmi cadere a terra.

Entrambi si avvicinarono di corsa mettendo le mie braccia sulle loro spalle, così da tenermi di peso ed infine uscire da lì.
Mi misero a sedere su un'ambulanza mentre il mio sguardo cadde fisso sul corpo del ragazzo che non era coperto ma era accerchiato da medici... che fosse ancora vivo?
Sentii qualcosa stringermi la mano, per un secondo non avvertii il tocco.
Notai Chris che me la teneva stretta mentre le lacrime formatesi nei suoi occhi risaltavano il suo azzurro chiaro. Prima che potessi dire qualcosa, una dottoressa frettolosa lo spintonò con gentilezza.
«Chris, dobbiamo portarla in ospedale, togliti!» disse la donna con la divisa verde e gialla mentre lo allontanava.

Lui non fu in grado di dire altro, rimase a guardarmi fisso negli occhi mentre mi caricavano sull'ambulanza.
Prima che chiudessero le porte del retro, gli feci un mezzo sorriso, come per rassicurarlo, dopodiché, appoggiai la testa sul cuscino essendo ormai stesa su una barella.
I miei occhi si persero nel blu chiaro del tetto del veicolo mentre delle lacrime scesero lentamente ai lati.
Dentro di me stavo soffrendo, il braccio sinistro, dove avevo sentito di più la mazza di legno, non riuscivo a muoverlo mentre quello destro stava pian piano migliorando.
La gamba, invece, era addormentata, il pezzo di vetro aveva lacerato ancora di più la pelle dopo essermi mossa più e più volte.
Ma da una parte ero felice... quasi sicuramente, l'assassino era una donna!

***

Picchiettavo le dita sul lenzuolo del letto a ritmo di musica, erano passate due settimane da ciò che era accaduto a Liverpool street ed erano due settimane che non uscivo di casa perché la mia gamba era fuori uso.
Avevo avuto un'emorragia arteriosa, in più, la ferita si era rapidamente infettata per via del vetro sporco e la polvere che vi era nel palazzo.
Il vetro, poi, aveva lacerato cinque degli strati di pelle facendomi perdere molto sangue e fu per questo che persi i sensi poco dopo essere arrivata in ospedale.

«Chelsea, posso entrare?» domandò Peg bussando alla porta.
Peg era tornato a stare con me, stavolta però, come guardia del corpo.
Eravamo ormai tutti molto spaventati, sopratutto dopo aver scoperto che l'uomo del palazzo era Tony Lauren, mio caro compagno del college.
Non era morto ma era in coma, si era rotto tre costole bucando successivamente un polmone, si poteva dire che era tra la vita e la morte.
Per quanto riguarda la ragazza, Chris e Jay avevano controllato tutti gli ospedali della città per sapere se una ragazza bionda, con ferite da colpo di pistola, aveva chiesto aiuto per curarsi... ma a quanto pare, aveva dei metodi personali perché nessuno era stato ricoverato con quelle lesioni!

«Harry!» esclamai felice vedendo il ragazzo avanzare in camera.
Egli si avvicinò lasciandomi un bacio sulla fronte.
«Come stai?» chiese sedendosi al mio fianco.
Harry era venuto quasi tutti i giorni a tenermi compagnia, a volte era restato a dormire prima di partire.
Era stato invitato alla conferenza stampa del New York times quindi è dovuto volare in America per un paio di giorni.
Era ritornato da poche ore e sapere che ero la sua prima priorità all'atterraggio... mi faceva stare bene!
«Mi sento stonata, il medico mi ha dato dei sonniferi l'altro giorno, non riuscivo a chiudere occhio...» dissi abbassando lo sguardo.
«Ho parlato con Chris!» rivelò.

A quella frase rimasi per un attimo imperterrita, alzai un sopracciglio e risi appena: «Ma Chris... Chris?»
«Chris Chris!»
«E di cosa avete parlato?»
«Mi ha detto di riferirti che... la canzone dell'Mp3 di Sarah è diversa dalle prime due...» lo fermai prima ancora che potesse proseguire.
«Chris ha parlato con te di fatti di lavoro... invece che venire qui e riferirmelo?» chiesi alzando il tono di voce.
«Dice che è impegnato!»
«Oh, adesso siete diventati amici?» domandai irritata.
Harry mi guardò senza proferire più parola, ricambiai il suo sguardo socchiudendo gli occhi.
Chris non si faceva più sentire, non rispondeva alle mie chiamate, ne ai miei messaggi, Peg mi disse che Jay l'aveva messo sotto con il lavoro,  ma un secondo per avvertirmi del caso che stava continuando senza di me non era riuscito a trovarlo.
Cambiai discorso, non volendo parlare del lavoro con Harry visto che erano ormai diventati fatti severamente privati.

«Com'è andata a New York?» chiesi sistemandomi sul letto.
Harry iniziò a raccontarmi, in tutta la sua felicità, il suo viaggio.
Mi raccontò del meeting con un'azienda di giornalismo americana, il quale, gli avevano offerto un posto di lavoro fisso e un master in giornalismo avanzato pagato da loro.
Rimasi spiazzata dalla notizia.
«Quindi... vuol dire che dovrai lasciare Londra?» chiesi con tono fievole.
«Solo per qualche mese...» rispose il ragazzo prendendomi la mano. «Poi potresti raggiungermi una volta terminato il caso...»
Sorrisi a quella proposta, Harry voleva che stessi con lui in America, per quanto potesse essere una mossa azzardata, iniziai a pensare ad una nuova vita nella grande mela.
Chissà, potevo diventare un pezzo grosso nel mio campo.

«Oppure... ritirarmi dal caso e partire insieme a te!» esclamai sorridendo.
Harry non seppe più cosa dire, rimase in silenzio mentre le sue labbra si allargarono in un grande sorriso.
Mi tirò a se abbracciandomi ma quasi urlai dal dolore sentendo delle fitte in varie parti del corpo.
«Oh mio Dio scusami, perdonami Chelsea...» si affrettò a dire Harry spostandosi di poco e prendendomi il viso tra le mani.
I nostri occhi si scontrarono nuovamente, stavolta per non staccarsi un secondo, i pollici del ragazzo accarezzavano lentamente le ferite che riportavo sul viso, quasi mi vergognavo nel farmi vedere in quello stato, specialmente per l'occhio sinistro contornato da un livido nero e dei capillari all'interno che erano scoppiati facendo cosi diventare la sclera da bianco latte a rosso chiaro.

Cercai di spostarmi ma lui mi tenne ferma.
«Sei bellissima anche così Chels!» esclamò Harry avvicinando le sue labbra alle mie.
Mi feci abbindolare da quelle carezze e dai complimenti che tanto ne sentivo la mancanza.
Stavo bene da sola, ma di tanto in tanto avevo bisogno di qualche attenzione che non fosse solo da parte dei miei colleghi per il lavoro.
Avevamo la sana intenzione di baciarci ma i miei genitori decisero di irrompere nella stanza proprio in quel momento.

«Figlia mia, come ti senti oggi?» domandò mia madre ondeggiando i fianchi e camminando tranquillamente sui suoi tacchi a spillo.
Alzai gli occhi al cielo mentre Harry si metteva in piedi.
«Sto bene mamma...» risposi secca.
«E lui chi è?» domandò curiosa la donna con tono squillante mentre si avvicinava al ragazzo.
«Sono Harry signora, piacere di conoscerla!»
«Mhh, piacere mio Harry!» esclamò lei poggiando una mano sulla sua spalla mentre mostrava i suoi denti bianchi in un sorriso ammiccante.
Sbuffai guardandola, perché doveva sempre fare così?
«Mamma!» alzai la voce richiamandola e, non appena si risvegliò dal suo mondo dei sogni, Harry fu in grado di sgattagliolare al fianco di mio padre.

«Vuoi alzarti dal letto? Almeno cammina, andiamo!» disse mia madre scoprendo il mio corpo dalle coperte ma ciò che ne rivelò mi mise a disagio.
La gamba era gonfia e viola, l'infezione c'era ancora anche se stava svanendo pian piano.
«Mi lasci stare?» dissi ricoprendomi.
Mia madre arricciò il naso, infastidita dal mio tono di voce.
«Chelsea, alzati, andiamo a fare shopping dai, magari così non ci pensi!» esclamò porgendomi la stampella che era al fianco del letto.
Alternai lo sguardo tra l'oggetto e mia madre, non riuscivo a decidere quale dei due mi facesse più ribrezzo.
Però, pensandoci, la stampella era più utile, mi aiutava a camminare, a sostenermi mentre mia madre... mia madre non era in grado neanche di capirmi!

«Ma cosa vuoi che me ne importi a me dello shopping? Ripeto... Mi lasci stare?» domandai a pieni polmoni.
Ancora una volta era riuscita a farmi perdere la pazienza con poco.
«Tesoro, lasciala stare!» esclamò mio padre notando che stava per perdere la pazienza anche lui.
Lei si voltò scostandosi i capelli dal viso: «Se tua figlia avesse imparato a stare sui tacchi, invece che saper tenere in mano una pistola, a quest'ora non sarebbe una mummia! La colpa è solo tua Nico!» concluse uscendo dalla stanza.
Rimasi in silenzio a quelle parole guardando mio padre che se la rideva mentre si avvicinava a me.
«Non la ascoltare, è arrabbiata perché non sei la sua fotocopia...» disse l'uomo baciandomi sulla testa. «Ma per fortuna non sei come lei!» esclamò infine mio padre con tono fiero.

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