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CAPITOLO DICOTTO

La mattina seguente mi svegliai con un'aria diversa dal solito, nell'istante in cui aprii gli occhi, mi sentii decisamente più rilassata.
Mi alzai recandomi in bagno e mi fermai davanti al lavandino, guardando il mio riflesso nello specchio.
Non mi ero mai fermata a guardarmi e solo ora potevo notare i vari lividi che il mio corpo riportava: uno zigomo violaceo per via del pugno di Maggie e il collo con una linea arrossata, grazie a Dayenne.
Sfortunatamente non riuscii a guardarmi dentro, la parte interna di me era distrutta ma conoscevo ancora bene come nascondere ciò che mi tormentava.

Quel giorno decisi di truccarmi, era da un po' che non usavo i miei cosmetici e rivedendomi completamente diversa allo specchio mi fece stare bene, dopo tanto tempo coprii il dolore con un po' di fondotinta, rimarcando gli occhi tristi con del mascara indossando poi un po' di rossetto rosso.
Poggiai le mani al lavabo sospirante, guardai a lungo il mio riflesso e man mano che passavano i minuti, i miei occhi si riempivano di lacrime, scacciandole subito non volendo rovinare il trucco.

«Chelsea...» una voce gracile mi fece voltare ed abbassare lo sguardo. Matt, con tutti i capelli arruffati ed il pigiama disordinato, mi chiedeva con le mani allungate verso di me di essere preso in braccio. E così feci sorridendo, stringendolo poi a me.
«Buongiorno marmocchio, hai dormito bene?» domandai guardandolo.
«Si...» mugolò stropicciandosi gli occhi. «Come sei bella!» esclamò di seguito poggiandomi una mano sulla guancia.
«Ti ringrazio...» dissi lasciandogli un dolce bacio sulla fronte per poi recarmi nuovamente in camera. «Ti va di scegliermi cosa indossare per oggi?» gli chiesi aprendo l'armadio.
Christopher stava ancora dormendo, così cercammo di fare il meno rumore possibile.

Matt iniziò a dare un'occhiata nel guardaroba, spostando i vari vestiti appesi e scegliendone poi uno che non avrei mai pensato di indossare a lavoro.
«Questo!» esclamò tirando fuori, impacciatamente, un tubino che arrivava fin sopra le ginocchia di colore nero e con la scollatura a v.
«Questo?» chiesi titubante mentre guardavo il vestito.
Di solito indossavo jeans e camicie, con delle scarpe comode così da non stressarmi durante la giornata.
Ma quel giorno scelse Matt ed io non potevo far altro che accontentarlo quando mi annuì mordendosi le dita.

«Sei tutto tuo padre...» sussurrai ridendo, mettendolo poi sul letto. «Stavo pensando... se ti portassi ad un parco giochi in questi giorni? Ne hanno aperto uno fuori città...»
Gli dissi iniziando a cambiarmi all'interno del bagno.
Lui, euforico, iniziò a dire sì più e più volte, cominciando a saltare sul letto ed infine svegliando il padre.
Chris, ancora con gli occhi chiusi, si stiracchiò  sbadigliando mentre si rigirava nel letto.
Matt si buttò fra le sue braccia abbracciandolo e l'uomo ricambiò, alzandosi poi con il busto.
Spalancò dopo un po' gli occhi, quasi sorpreso, una volta che si posarono su di me.
«E tu dove vai vestita così?» disse con voce roca, ancora impastata dal sonno.

Feci un giro su me stessa sorridendo, dicendogli poi che era stato Matt a scegliere l'outfit del giorno.
Chris si complimentò scherzosamente con il figlio mentre iniziò a solleticargli i fianchi.
«Mi vedo con Vicky, deve aiutarmi a fare un paio di servizi...» gli spiegai una volta vicino a lui, baciandolo poi dolcemente.
«Mh...» mugolò sulle mie labbra sorridendo. «Tu e Vicky insieme? Le cose continuano a farsi sempre più strane...»
«Meglio se ora vado, sono già in ritardo!» esclamai prendendo la mia borsa dalla sedia.

«Ieri non mi hai detto cos'hai trovato con Jay...» mi ricordò.
Lentamente, tornai al suo fianco salutando con un bacio Matt.
«Te ne parleremo dopo in ufficio, ora non è il momento adatto!»

***

Mi recai verso l'abitazione di Vicky a piedi, non distava molto da casa mia e non avendo più una macchina, lei si era offerta di guidare.
Ero abbastanza nervosa nell'incontrarla, dopo tutto ciò che era successo negli anni passati, l'astio che c'era tra di noi e ciò che le avevamo causato, rendeva difficile lo stare insieme, ma cercai di non pensarci più una volta salita nella sua macchina.
«Ciao Chels!» disse lei sorridendo. «Dove andiamo vestite cosi?» poi domando ridacchiando, squadrandomi da capo a piedi.

Le diedi un'occhiata veloce, poi risi anche io allacciandomi la cintura: «Volevo sembrare più femminile, ma a quanto pare sembra strano per tutti!»
«Allora, dov'è che andiamo?» domandò.
«Quì!» dissi, mostrandole il contratto della casa nel Kent di Harry, indicandole l'indirizzo.
Quasi sussultò nel vedere quanto lontano dovevamo andare poi annuì.
«Allora mettiti comoda, sarà un viaggio divertente!» esclamò accendendo la sua Ferrari color rosso fuoco, che tremò sotto ai nostri sederi e rimbombò nelle orecchie.
Premetti il mio corpo contro il sedile non appena accelerò, avviandosi verso l'autostrada.

Infatti, ci mettemmo meno del dovuto nell'arrivare a casa di Harry nel Kent.
Vicky rallentò in mezzo a quella piccola foresta, per stare attenta con la macchina tra le varie pietre ed alberi.
«Che bella casa!» esclamò la ragazza al mio fianco, mentre si sporgeva spegnendo la macchina.
«Lo pensai anche io la prima volta che la vidi, ora non ne sono tanto convinta...» dissi scendendo e prendendo un gran respiro. «Nessuno sa che sono qui, quindi per favore non farne parola con nessuno!» conclusi indossando dei guanti bianchi e avviandomi per entrare all'interno dell'abitazione.
Mi tolsi i tacchi, per restare più comoda, iniziai a pensare che forse sarebbe stato meglio porter con me in ricambio.

«Perché siamo qui?» chiese Vicky entrando dopo di me.
Le spiegai ciò che avevo trovato e ciò che non quadrava di quella casa.
«Effettivamente, l'ultima volta che ci sono stata, avevo già notato qualcosa di sospetto... non ci sono foto di famiglia...» dissi mentre ero alle prese nel controllare nei vari mobili con una torcia, speranzosa quasi nel trovare qualcosa.
Vicky si era fermata a fissare in direzione del lago, non sbatteva ciglio come se fosse ipnotizzata da qualcosa.
Mi avvicinai ad ella e quando le chiesi cosa stesse guardando, alzai lo sguardo in direzione di dove il suo dito stava indicando.

Un anziano, con della lunga barba bianca e con vestiti stropicciati, era immobile tra le piante ad osservarci dall'esterno.
Il suo sguardo mi mise i brividi, anche se l'uomo sembrava essere innocuo anzi, sembrava essere spaventato.
Così lo raggiunsi, presentandomi e mostrandogli il distintivo che portavo appeso al collo.
«Finalmente siete arrivati...» disse il signore con tono debole.
«Mi scusi?» chiesi senza capire.
«Cose terribili accadono in questa casa... tanta violenza inspiegabile e nessuno è venuto mai...» continuò lui nervoso.
Restai a guardarlo per un po' di tempo, le sue labbra erano schiuse e i suoi occhi spalancati, aveva visto sicuramente qualcosa così tirai fuori il mio cellulare, mostrandogli uno foto di Harry.
«Ha mai visto questo ragazzo nei dintorni?»

L'uomo si avvicinò di più al telefono poi scosse la testa: «Non l'ho mai visto!»
Mi sentii quasi sollevata da quella risposta, che posai l'oggetto ed iniziai a rassicurarlo.
«Adesso ce ne occuperemo noi, può starne certo...»
«State attente... lui vede tutto...» terminò così la conversazione l'uomo, prima di allontanarsi e lasciarmi senza parole.
Rientrai in casa deglutendo e mi guardai intorno, notai che, come all'esterno, l'interno era pieno di telecamere.
«Cazzo...» disse disgustata Vicky mentre indietreggiò nella cucina.
«Vicky, non toccare nulla...» le dissi vedendola con una pezza bagnata tra le mani, ma non appena la raggiunsi, un conato di vomito mi fece coprire immediatamente il naso, avvertendo un odore di marcio riempirsi nella stanza.

«Ho solo tolto questo da sotto la porta...» disse.
Mi voltai verso quella porta di legno, con espressione disgustata sul mio volto.
Era la stessa porta che provai ad aprire tempo fa ma che era chiusa, così riprovai senza pensarci ma ricevetti solo scarsi risultati.
Mi guardai intorno cercando qualcosa con cui aprirla, ma quella casa era talmente vuota che non vi trovai niente di utile.
«Sta lontana!» la avvertii decidendo così, di sparare un colpo di pistola contro la serratura.
La mirai contro di essa e dopo aver premuto il grilletto, riuscimmo ad entrare.
C'erano delle lunghe scale di legno che portavano nel sotterraneo, nel buio più totale mentre la puzza si faceva più intensa.

Prendendo un gran respiro, iniziai a scendere le scale lentamente mentre puntavo l'arma davanti a me. Ero quasi terrorizzata dall'idea di cosa ci potessi trovare lì sotto.
Ingoiai più volte dei conati di vomito, la puzza di marcio si era del tutto impossessata delle mie narici, sembrava quasi fosse carne andata a male e, in queste circostanze, non era un buon segno.
«Non si vede nulla...» dissi assottigliando gli occhi per guardarmi in giro, l'unica fonte di luce che c'era lì era quella che proveniva dal piano di sopra.
Cominciai a camminare a vuoto nella stanza, in cerca di un'interruttore e, quando finalmente lo trovai, tornai a guardarmi nuovamente intorno, restando a bocca aperta da ciò che i miei occhi ormai stavano guardando.

«Hai trovato qualcosa?» domandò Vicky che era rimasta in cucina.
Non le risposi, semplicemente, mi avvicinai ad una lavagna bianca, con foto delle vittime appiccicate su di essa.
«Non è possibile...» sussurrai ormai con le lacrime agli occhi incredula, mentre la mia mano sfiorava lentamente le varie foto dei miei vecchi compagni di scuola. Tra di loro, c'eravamo anche io e Vicky.
Quella stanza era completamente vuota, ma non appena indietreggiai, i miei piedi nudi toccarono qualcosa di appiccicoso, a volte viscido. Mi accorsi, infine, che la lavagna non era tutto ciò che vi era all'interno.

«Chelsea?» la voce di Vicky sembrò rimbombare nelle mie tempie, non appena il mio sguardo si posò su un corpo senza vita, che giaceva in un angolo della stanza, ricoperto di sangue e mosche.
I lunghi capelli biondi della vittima coprivano il viso tumefatto, ma capii all'istante di chi si trattasse non appena lanciai nuovamente un'occhiata alla lavagna. Roxy era lì, segnata in rosso da una x come le precedenti vittime ed ora il suo corpo giaceva lì, su un pavimento freddo e sporco, ormai senza vita.

Mi sentii confusa mentre mi avvicinavo alla ragazza, mi piegai di fronte ad essa mentre l'odore al suo fianco si faceva sempre più forte.
Le spostai i capelli dal viso, notando ormai la sua pelle in decomposizione con vari insetti che esploravano il suo corpo. Strinsi le labbra non appena notai il suo orecchio tagliato.
«Roxy!?» la voce spezzata di Vicky alle mie spalle mi fece sussultare, accorgendomi solo allora che era anche lei scesa al piano terra.
«Devo informare Jay...» dissi trattenendo delle lacrime.
Avevo bisogno di uscire da lì, respirare aria pulita così salii di corsa al primo piano, lasciando Vicky tra le lacrime e le sue mille domande, mentre guardava interdetta la lavagna delle vittime.

Appena misi piede fuori dalla residenza, tutto ciò che mi circondava iniziò a girarmi intorno, quasi barcollavo mentre scendevo dei gradini reggendomi dalla ringhiera.
Mi lasciai cadere a terra, sedendomi ed iniziando a fissare il vuoto, incapace di dare una spiegazione a ciò che avevo visto.
Harry era l'assassino?
Lo schifo di quel pensiero, iniziò a penetrarmi sin dentro le ossa mentre, senza rendermene conto, iniziai a piangere silenziosamente.

Era surreale come mi fossi fatta abbindolare da un ragazzo, proteggendolo da qualsiasi circostanza, da persone che conoscevo da una vita.
Ma qualcosa ancora non mi quadrava!
L'uomo di prima non aveva mai visto Harry in quel posto e mi aveva avvertita nello stare attenta a qualcuno che vedeva tutto... ma chi?
Quel poco di speranza che mi era rimasta, la puntai del tutto sull'innocenza di Harry, anche se i fatti erano ben chiari e quella casa, essendo intestata a lui, non lo scagionava dalle accuse.

Ebbi qualche minuto per prestare attenzione alle mie gambe e ai miei piedi, sporchi del sangue di Roxy.
In verità, la mia mente era bloccata, come se fosse stanca nel pensare alle conseguenze. Ero del tutto scollegata dalla realtà e l'unica cosa che riuscii a provare, in quel esatto momento, era la rassegnazione.
Capii che il mio destino era su quella lavagna, che i miei giorni erano contati e che presto sarebbe stato il mio turno.
Ero ormai consapevole che, purtroppo, se non avessimo trovato presto il colpevole, io sarei stata presto una delle vittime delle classi duemila.

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