CAPITOLO DICIANNOVE
Delle sirene mi fecero fischiare le orecchi e rialzai lo sguardo lentamente, notando le macchine della polizia e dell'FBI fermarsi bruscamente davanti la casa.
Con il viso umido e gli occhi gonfi dal pianto, mi alzai sistemandomi il vestito andando verso Jay che, con panico, lasciò la sua auto venendomi incontro.
Non osammo dirci niente, l'uomo capì tutto con uno solo sguardo prima che mi buttassi tra le sue braccia.
«Andate!» ordinò lui urlando, mentre mi stringeva al suo petto, coprendomi il viso con le mani.
Una dozzina di agenti entrarono in casa, altri iniziarono a perlustrare la zona ed altri ancora, cominciarono a prepararsi per lavorare su quella scena del crimine.
Un lungo nastro giallo venne steso tutto intorno l'abitazione, mentre dei vicini incuriositi, si affacciavano per guardare cosa stesse succedendo.
Dopo un po', arrivarono anche delle ambulanze e dei medici iniziarono a prendersi cura di Vicky che era in uno stato di shock, aveva gli occhi sbarrati e non rispondeva a nessuna domanda, tremante in una coperta, mentre veniva condotta in una dei veicoli per essere riguardata.
«Fate passare!» la voce acuta di un signore, che spingeva una barella con su il corpo di Roxy, mi fece voltare per prestare attenzione a quella scena.
Strinsi le labbra seguendo con lo sguardo mentre la portavano via, chiusa in un sacco bianco pieno di innocenza e paura.
Mi congelò la mente ormai, avere la conferma di essere una delle pedine, una delle prossime vittime.
Quella mattina mi ero svegliata con un'intenzione diversa, di ridare di nuovo tutta me stessa per il lavoro, non deludere più nessuno e sopratutto me stessa, ma questo Killer era riuscito di nuovo ad abbattermi indirettamente, senza sfiorarmi.
«Mi spieghi perché sei venuta qui senza dirmi niente?» chiese Jay ritirandomi contro il suo petto.
Non riuscii a spiegare la sensazione di sicurezza che stavo provando in quel momento, il pensiero che qualcuno avesse per me non appena Jay sfiorò con le sue dita le mie guance, asciugandomi le ultime lacrime rimaste.
«Io... ieri trovai qualcosa in quella casa, ma non volevo dirti nulla...» dissi guardandolo negli occhi.
Lui ricambiò lo sguardo ma restando in silenzio, strinse solamente le labbra mentre avvertivo la rabbia crescere in lui.
Fortunatamente, dopo un po' si avvicinò un agente dell'FBI che catturò la sua attenzione, interrompendo il nostro contatto visivo.
«Jay, dovresti venire a vedere!»
Jay mi lasciò andare e io tirai un sospiro di sollievo, con lo stomaco che si stava restringendo, una sensazione che quasi non sapevo spiegare.
Lo guardai allontanarsi, per poi spostare lo sguardo sugli agenti che stavano caricando un furgone con le prove.
«Chelsea... Vicky vuole parlarti...» mi informò una mia collega così la seguii, fino a raggiungere la ragazza.
«Il passato si sta ritorcendo contro di noi Chels... Non è morto!» sussurrò lei a testa bassa.
«Sta zitta!» esclamai furtivamente, mentre le coprivo la bocca guardandomi intorno.
Vicky era invulnerabile in quel momento, qualsiasi parola la sua bocca avrebbe lasciato, si sarebbe contorta contro di noi in men che non si dica.
«Vicky...» dissi prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi. «Andrà tutto bene, mi dispiace averti tirato in questo casino ma devi andare via di qua!»
«Che abbiamo combinato Chelsea... cosa abbiamo fatto!?» la ragazza crollò in un pianto disperato, poggiandosi del tutto contro di me.
Cercai di tenerla dritta, ma fu tutto inutile che svenne tra le mie braccia.
Con l'aiuto di qualche medico, la stendemmo su una barella.
Ero amareggiata per ciò, scoprire che qualcuno ci voleva morte non era una cosa da tutti i giorni.
Portarono immediatamente Vicky in ospedale per sottoporla a dei controlli, aveva perso il senno in un giro di poche ore e mi chiedevo come io fossi ancora stabile.
«C'è un cambio nella mia auto se vuoi stare più comoda!» esclamò Jay alle mie spalle, facendomi voltare verso di lui una volta visto l'ambulanza allontanarsi da lì.
Io annuii seguendolo ed entrando nella sua macchina, prima di cambiarmi, restai a guardare la casa da lontano mentre la gente ci lavorava intorno.
«Mi devi un sacco di spiegazioni Chelsea...» disse lui, in piedi fuori dal veicolo e notai un tono acido nella sua voce.
«Continuo a credere che Harry non c'entra nulla con tutto questo e che qualcuno voglia incastrarlo»> spiegai uscendo dal veicolo con un leggins e una maglia bianca, piantandomi davanti al ragazzo.
«Cazzo...» quasi urlò Jay in preda alla rabbia, dando un leggero pugno nello sportello della sua macchina. «Come fai ad essere così stupida?»
«Abbassa i toni!» lo avvertii rimarcando la mia voce. «Harry ha affittato quesa casa, è vero... non è di sua proprietà ma ho incontrato un uomo questa mattina, ha detto di non averlo mai visto nei paraggi!»
Jay rise scuotendo la testa, portandosi una mano sul fianco ed una sul viso, strofinandoselo nervosamente.
«Perché ci tieni così tanto a lui?» domandò storcendo le labbra.
Non risposi a quella domanda, abbassai solo lo sguardo vogliosa nell'andare via da lì, ma non appena feci un passo, Jay mi bloccò contro la macchina facendomi sussultare e coprire il viso con le mani.
Non so perché di quel gesto istantaneo, non mi andava di guardarlo nuovamente negli occhi.
«Mi stai nascondendo qualcosa Chelsea!»
«Jay, per favore...» spostai il viso di lato, incrociando ora le braccia al petto, ma mi obbligò a guardarlo prendendomi il viso in una sua mano.
«I tuoi occhi sono una parola costante anche quando non parli...» affermò spintonandomi appena mentre si spostava. «Sali in macchina, non puoi restare più da sola!»
Feci come richiesto ed in silenzio, mi allacciai la cintura facendomi il più piccola possibile nel sedile.
Guardai per l'ultima volta la casa di Harry mentre ci allontanavano da lì, con le parole di Vicky che si facevano spazio nella mia testa, come un uragano.
Come io non potevo rimanere più da sola, la stessa cosa valeva per lei e non solo perché sarebbe stata la prossima vittima del Killer.
«Sarebbe meglio se io ti rievocassi dal caso...» disse Jay nel silenzio più totale quando i miei occhi erano fissi sulla strada e la mia mente persa fra le nuvole.
«Non ti permettere!» dissi alzandomi di colpo con il busto.
«Darò la stessa motivazione che ho dato per Chris, emotivamente coinvolta... nessuno verrà a sapere che uscivi con l'assassino!»
«Harry non è l'assassino!» alzai il tono della mia voce ormai in preda all'ira. Odiavo quando Jay faceva lo stronzo e quando lo faceva, gli riusciva alla perfezione.
«No? Torna a ridirmelo quando ti avrà fatta ingoiare un lettore musicale, tagliato un orecchio e uccisa nelle peggio delle manieri!» strillò lasciando che il suo piede premesse a fondo sull'acceleratore.
«C'entra qualcun altro in questa storia e non è Harry!»
«Perfetto, facciamo così: ti do tempo due settimane per mostrarmi che mi sbaglio, se alla fine fallisci te ne torni dritta in Scozia con un calcio in culo, fine della storia!»
***
«Cos'hai sentito quando hai scoperto della morte di Stephanie?» domandò una donna di pelle scura chiara, con le gambe accavallate e un quaderno sulle ginocchia, mentre sedeva comoda sulla sua poltrona di pelle nera.
«Mi è caduto il mondo addosso!» esclamai stesa su un lettino, con lo sguardo fisso sul soffitto. Non osai battere ciglio neanche per un secondo, con le mani intrecciate tra di loro e poggiate sul mio addome.
«Hai mai parlato di lei con qualcuno? Ti sei mai sfogata a riguardo?» domandò mentre annotava qualcosa.
Ci pensai su prima di darle una risposta, in effetti, non avevo mai parlato con nessuno riguardo la sua morte, probabilmente, non avevo ancora realizzato che lei non ci fosse più.
«Non che io ricorda!» tagliai secca alla domanda.
«Sei mai andata a trovarla da quando è scomparsa?»
«Due volte!» esclamai.
«E non senti il bisogno di sentirla di nuovo accanto, anche se diverso dalle volte precedenti?»
Sentii gli occhi pizzicare a quella domanda, si riempirono di lacrime che stavo però trattenendo, mentre le mie labbra venivano torturate dai miei denti in preda al panico.
«Lei è sempre al mio fianco, non mi lascia neanche per un secondo!» spiegai con voce strozzata.
La psicologa, vedendomi in preda al panico, cercò di tranquillizzarmi cambiando discorso.
«Raccontami di Jay, l'altro giorno hai detto che c'era stato un trascorso tra di voi, che cosa intendevi?»
Passò dal male, in peggio.
«Questo non funziona, sono tutte stronzate...» dissi alzandomi di scatto, ma venni rimproverata da Kenna che mi fece risedere e stavolta di fronte a lei, così che potesse guardarmi dritta negli occhi.
«Rispondi alla domanda!»
Sospirai un secondo, per poi risponderle: «Siamo andati a letto un paio di volte!»
«E Christopher lo sapeva?»
«No, troppo impegnato ad accontentare la madre!» risposi con tono fermo, lanciandole una velenosa occhiata.
«E come pensi reagirebbe se glielo dicessi ora?» chiese lei, piegandosi in avanti senza distogliere neanche per un momento lo sguardo dal mio.
Mi intimidì, ad essere sincera, abbassai gli occhi sulle mie mani, non riuscendo più a starle dietro. Mandai giù un magone e, prima di risponderle, presi un gran respiro cercando di mantenere la calma: «Non la prenderebbe bene... possiamo cambiare discorso?»
«No Chelsea, non cambieremo di nuovo discorso, devo riuscire a capire la tua mente e cambiare sempre argomento non mi aiuta...» si fermò per stringere le labbra, poi continuò. «Ti accontento per l'ultima volta ma adesso sarai solo tu a parlare... com'era la tua vita ai tempi del liceo?»
Iniziai a preferire le domande precedenti così alzai gli occhi in aria, contrariata da quella frase.
«Ho sempre avuto alti e bassi, a scuola ero la migliore ma ho sempre sofferto per questa cosa... dovevo essere sempre al primo posto, ero competitiva... cosa sta scrivendo?» domandai interrompendo il discorso, non appena notai Kenna con gli occhi bassi sul suo quaderno.
«Continua Chelsea!» esclamò lei senza guardarmi.
«Va bene umh...» mi schiarii la voce. «Una parte di me era sempre china sui libri, non mi stancavo mai di imparare, ogni giorno era una scoperta per me... ma l'altra parte...» un brivido corse lungo la mia schiena, abbassai lo sguardo ricordando la Chelsea del passato, quella che non esisteva più.
«L'altra parte?»
«L'altra parte si faceva condizionare, quasi come se volessi essere accettata... Amavo alla follia Stephanie, ma le cose che facevamo insieme... mio padre mi ucciderebbe!»
«Ti va di spiegare cosa intendi per le cose che facevamo insieme?»
Guardai Kenna per qualche secondo, rimanendo in silenzio ma quando mi assicurò che, le cose dette in quell'appartamento, sarebbero rimaste lì, respirai profondamente prendendo coraggio.
«Ero sempre contraria alle cose che Steph faceva, ma ero sempre la prima ad incoraggiarla... ho sempre creduto che qualcosa in me non andasse, ho sempre pensato che se non fosse stato per mio padre, ad oggi sarei una squilibrata...»
«Spiegati meglio!» esclamò lei, con un torno ormai diverso da quello precedente, quasi freddo.
«Ricordo che da piccola mia madre mi comprava delle bambole... ma puntualmente me le faceva sparire, una volta che le trovava rasate a zero e senza testa, mi piaceva dissezionarle, impiccarle... mi rilassava!»
«Queste tue azioni passate sono più che capibili, si compiono quando si è costretti a giocare con qualcosa che non ti piace!»
«Il problema è che a me piacevano le bambole, ma mi eccitava l'idea di vederle in un altro stato!»
«Chelsea, devo chiedertelo... cos'hai provato quando hai assistito alla morte di Dayenne?»
Picchiettai nervosamente le dita sulla mia gamba, forse mi stavo aprendo un po' troppo con la dottoressa e avrei preferito dirle una stupida bugia, che una triste verità a quella domanda.
«Dopo tanti anni a vedere cadaveri, la sensazione di quel giorno fu pari a zero... rimasi sconvolta, certo, ma quando ero in macchina con Jay, non riuscivo a smettere di pensare all'adrenalina che si era creata in me...» spiegai, senza distogliere lo sguardo dagli occhi della donna, quale si intimidii abbassando più volte gli occhi. «Ho ucciso Dayenne per legittima difesa, ma non ti nascondo che provai soddisfazione nel vederla in quello stato!»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro