CAPITOLO CINQUE
Aprii gli occhi di scatto nuovamente, perseguitata per tutta la notte da un incubo che continuava a ripetersi interdetto nel mio sonno profondo. Ero riuscita a dormire per sole due ore.
Immagini sfocate di un ragazzo in smoking, pelle chiara e capelli folti era impressa nella mia mente. Intorno a lui una marea di gente vestita per bene, musica, divertimento e poi c'ero io, spaventata da uno scarabeo volante che veniva ucciso dal ragazzo in smoking. Cosa poteva significare?
Mi alzai dal letto sbadigliando notando che l'orologio sul muro segnava le nove e trenta del mattino, ma l'atmosfera era decisamente molto buia. Scostai le tende notando che il cielo di Londra era di un grigio intenso e pioveva a dirotto. Sbuffai e raggiunsi poi la cucina dove iniziai a prepararmi un caffè.
Era sabato e avevo la giornata libera ma l'appuntamento con la direttrice della mia scuola mi aspettava intorno le due del pomeriggio dopodiché, avrei passato il resto del weekend nella casa in campagna di Harry, che si trovava a sud-est di Londra, nel Kent.
Erano due giorni che non sentivo Chris, due giorni che non passavo in ufficio ma lavoravo da casa, due giorni che le accuse su di me erano finalmente cadute e Peg non era più tra i piedi, anche se mi mancava.
Avevo scoperto che la mail che avevo ricevuto un paio di giorni fa non era stata mandata da Chris ma da una seconda persona che al momento, non si conosceva l'identità.
Mi accomodai sul divano stringendo tra le mani la mia tazza di caffè, posai lo sguardo sul finestrone, le gocce di pioggia scivolavano lente sul vetro ormai bagnato ed altre ci sbattevano contro da quanto forte aveva iniziato a piovere.
Passai la mattinata in cerca dello scatolone del college e una volta trovato, mi fiondai al suo interno portando a galla vecchi ricordi.
Varie foto dell'ultimo anno erano sparse nel mio vecchio diario, due di loro mi colpirono lasciando la nostalgia mangiarmi dentro.
Una foto rappresentava me e Steph al diploma, indossavo un vestito bianco che arrivava poco sopra il ginocchio, delle classiche scarpe col tacco e capelli mossi raccolti in una coda alta, mentre Steph indossava i suoi adorati jeans, la felpa con il logo della scuola e delle scarpe da ginnastica.
Sorrisi.
Volevo un mondo di bene a Steph, era adorabile e genuina, a volte potevano infastidire i suoi atteggiamenti quasi rozzi ma dava tutta se stessa quando si affezionava alle persone.
Ancora non potevo credere che la mia migliore amica se ne fosse andata così, strappata dal mondo in chissà quale modo atroce da un maledetto Serial Killer. Asciugai una lacrima che rigò dritta sulla mia guancia, mi trattenni ancora una volta nel crollare e passai a guardare l'altra foto. Era al ballo di fine anno.
Io e Chris insieme a Steph e Miles, sorrisi nuovamente. Anche se Chris aveva finito il college prima di me, si propose di accompagnarmi al ballo facendo invidia a quasi tutte le ragazze.
A scuola ero sempre stata la migliore della classe, mai preso un brutto voto, vinto tutte le gare di spelling o dibattiti portando sempre al primo posto la mia scuola.
Nella mia vita mi sono sempre concentrata sullo studio, ho faticato e sudato per arrivare dove sono adesso e ne sono felice, fiera di me. Anche Steph lo era.
Posate le foto, presi tra le mani l'annuario e iniziai a sfogliarlo, con un pennarello rosso segnai con una x le foto delle vittime.
Eravamo tutti nella classe 2018 e alcuni di loro li conoscevo, frequentavamo gli stessi corsi ma gli altri avevano visi poco ben chiari. Sarà perchè non ho mai avuto a che fare con altre persone al di fuori della mia cerchia di amicizie liceali.
Bloccai il mio sguardo sulle dieci vittime, anche se della stessa scuola, metà di loro erano in classi diverse.
Faticavo ancora nel trovare un collegamento tra di loro, come faticavo nel capire il perché di questi omicidi.
Mi massaggiai lentamente la fronte spostando lo sguardo sul cellulare che aveva preso a squillare. Era Harry. Staccai la chiamata ma subito dopo mi arrivò un suo messaggio dove mi avvertiva che era giù e che dovevo scendere.
Cosa ci faceva già qui a quest'ora?
Diedi un'occhiata veloce all'ora non accorgendomi che il tempo era passato velocemente mentre ero assorta nei miei pensieri.
Era mezzogiorno e mi alzai dal divano dirigendomi nella camera da letto. La borsa per il weekend, fortunatamente, era già pronta quindi dovevo solo vestirmi.
Optai nell'indossare qualcosa di comodo, niente di formale anche se avrei avuto un meeting con la direttrice, ma era pur sempre il mio giorno libero.
Lasciai l'appartamento com'era, in disordine e con le varie cose del college in soggiorno per raggiungere Harry al piano terra.
Sorrisi non appena lo vidi e mi avvicinai a lui che era poggiato alla sua auto.
Non avevo notato che aveva cessato di piovere ed un sole a cielo aperto splendeva sulla città.
«Non dovevi venire a prendermi direttamente dopo l'appuntamento con la direttrice?» domandai salutandolo con un bacio sulla guancia.
«Non volevo prendessi la metro!» esclamò lui aprendomi la portiera.
Lo ringraziai entrando in macchina e sistemai il borsone nei sedili posteriori.
Lui fece il giro entrando poi anche lui nell'autovettura per poi partire. Misi l'indirizzo sul suo navigatore e poi mi rilassai sul sediolino.
«Come ti senti?» chiese Harry con sguardo fisso sulla strada.
«Adesso che c'è il sole decisamente meglio, amo Londra con la pioggia però, non so... ho voglia di un po' di luce!» esclamai tenendo lo sguardo fuori al finestrino.
Sentii Harry ridacchiare e subito dopo la sua mano si posò sulla mia coscia tenendola ferma ma muovendo lentamente solo il pollice.
Non ci mettemmo molto ad arrivare, per metà tragitto Harry mi aveva parlato della sua casa in campagna, di quando ci andava con i genitori da piccolo in estate, diceva che era un posto stupendo e rilassante, proprio quello che mi ci voleva. Ma dalla morte del padre, aveva smesso di andarci perché diceva che quella casa gli portava ricordi che preferiva tenere sepolti.
«Perché allora mi porti lì?» gli domandai.
«Perché penso che con te al mio fianco riuscirò a stare calmo e a ritrovare la serenità che c'era una volta in quella casa!» rispose tranquillamente.
Per un attimo sorrisi poi gli chiesi di rimanere in macchina fino alla fine del mio colloquio, lui annuì e prima ancora che potessi lasciare il veicolo mi tirò a se, lasciandomi un veloce bacio a stampo.
Entrai nella scuola che, a distanza di anni, era cambiata moltissimo. Quando la frequentavo, le mura erano di colore giallo chiaro, ora invece, erano di un bianco latte. Il silenzio padroneggiava quel giorno lì, di un sabato pomeriggio dove tutti gli studenti erano liberi di divertirsi e non pensare allo studio, ma quel silenzio venne interrotto da due voci, una femminile e una maschile. Mi voltai corrugando la fronte alla vista di Chris affiancato da una donna.
«Ecco qui la mia collega, Chelsea ecco a te la Signora Kate Thompson!» esclamò Chris sorridendo.
«È finalmente un piacere rivederla Signorina Pearson, per anni ed anni in questa scuola non hanno fatto nient'altro che tenere alto il suo nome, è stato un esempio per tutti gli studenti!» con una voce gracile, si complimentò la direttrice.
Quasi imbarazzata da tutto quell'elogiare che mi limitai a ringraziare gentilmente e sorridere.
Non vedevo la direttrice da ormai anni, da quando avevo finito il college e mi sorprese vederla ancora lì a dirigere un istituto ben noto al centro città.
Lanciai una veloce occhiata a Chris il quale avrei pensato a lui dopo e ritornai sulla Signora Thompson.
«Allora, vogliamo iniziare?»
«Certamente!» affermò Kate dirigendosi nel suo ufficio.
Chris ed io ci accomodammo di fronte la direttrice, lei indossò i suoi occhiali da vista e spostando una ciocca di capelli grigia dal suo viso si sistemò sulla sedia.
«Allora Chelsea, come posso esserti d'aiuto?» domandò.
«Signora Direttrice, so che sono passati anni ma mi serve sapere tutti i dati degli studenti e dei familiari della classe 2018, non abbiamo ancora una pista su questo omicida ma io credo che c'entri uno dei miei vecchi compagni di scuola!» spiegai con tono calmo.
Kate alternò lo sguardo tra me e Chris poi annuì: «Ci vorrà tempo ma vedrò cosa posso fare, vi serve altro?»
«Credo che... per ora sia tutto, avrei piacere di fare un giro nell'istituto, se non le dispiace...» dissi alzandomi.
«In realtà c'è qualcos'altro!» esclamò Chris restando seduto. Kate posò, con sguardo interrogativo, gli occhi su di lui.
Lui si girò verso di me: «Se non ti dispiace...» disse, invitandomi ad uscire.
Salutai cordialmente Kate e con labbra serrate, uscii dall'ufficio dirigendomi verso l'enorme teca degli studenti.
La curiosità di sapere cos'altro voleva Chris dalla donna mi stava divorando, perché mi ha fatta uscire?
Presi un gran respiro cercando di mantenere la calma e mi concentrai sulla teca che, col passare degli anni, si era riempita ancora di più.
Il mio nome era quasi ovunque, insieme a delle mie foto dei momenti migliori passati in questa scuola. Ce ne era anche una con Chris, i due migliori studenti di quella scuola anche se di anni diversi.
Il mio sguardo poi si spostò su una foto angosciante, quasi mi mise i brividi.
La cornice conteneva una foto di un ragazzo giovane e sorridente, con una targa con su scritto "in memoria di Noah Robinson."
Noah era nel mio stesso anno di scuola, era un ragazzo molto chiuso e strano all'epoca, sempre solo e il più delle volte veniva bullizzato per il suo aspetto.
Fortunatamente, quel ricordo straziante venne interrotto dalla profonda voce di Chris.
«Chelsea...»
Mi voltai e ancora una volta mi sentii impotente sotto il suo sguardo.
«La prossima volta, per favore, voglio essere al corrente di certi colloqui!» esclamò a tono.
«Va bene...» mi limitai a dire con voce fievole.
Mi sentivo scombussolata, la mia mente era tornata agli anni più bui della mia adolescenza, avvertii un dolore allo stomaco, un vuoto che si era colmato tanto da farmi scappare via da quel posto.
Sentii il fiato bloccarsi in gola, la pelle che scottava dalle vampate di calore che inondarono il mio corpo e a passo svelto mi ritrovai al di fuori della scuola, solo allora fui capace di riprendere fiato.
La freschezza pomeridiana di quella giornata mi aiutò a calmare l'attacco di panico che era in corso.
Mi piegai con il busto poggiando le mani sulle ginocchia, abbassai il capo e a labbra schiuse cercai di inalare più aria possibile.
Sussultai non appena sentii una mano poggiarsi sulla mia schiena, mi ricomposi girandomi di scatto e feci un passo indietro.
«Ti senti bene?» chiese Chris preoccupato.
«S-Si... scusa, devo andare...» e senza lasciargli dire un'altra parola, corsi verso la macchina di Harry.
Il quel momento, era meglio se Chris mi fosse stato lontano.
***
Dopo un silenzioso viaggio in macchina di un'ora, finalmente io ed Harry arrivammo nella sua casa in campagna nel Kent.
Essa era costruita intorno al verde, il silenzio circondava quel posto.
«Entriamo?» domandò Harry sul portico della casa che era fatta interamente di legno.
Annuii dando un ultimo sguardo nei dintorni e lo seguii all'interno della casa.
Mi chiusi la porta alle spalle e con un nodo alla gola chiesi dove fosse il bagno.
Mi recai dove indicato da Harry: piano di sopra, seconda porta a destra.
Non mi resi neanche conto della grandezza di quel bagno che poggiai subito le mani sul lavandino, scoppiando in un pianto disperato.
Ciò che era ormai un brutto ricordo, si era ripresentato nella mia vita iniziando a tormentarmi. Era bastata solo una foto di un ragazzo scomparso ad abbattermi di nuovo, riportandomi a tempi che avrei voluto cancellare del tutto dalla mia scombussolata vita.
Ed ora ero lì, chiusa in un bagno a versare lacrime, le stesse che non ero più riuscita a mostrare a nessuno, a trattenerle con forza perché sempre forte all'apparenza ma debole all'interno.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro