PROLOGO + CAPITOLO 1: Faolan
NOTA INIZIALE DELL'AUTORE (skippate pure, se volete)
Buongiorno a tutti <3
Per la prima volta su questo profilo, pubblicherò di nuovo (l'avevo già fatto in precedenza altrove, per poi fermarmi), il mio libro, con i miei OC e la mia storia originale. E' una storia fantasy, chiamata originariamente "Silver Soul", traducibile, appunto, come "Anima d'argento"
Comprenderà due libri: il primo (già concluso), che pubblicherò qui con cadenza regolare, e il secondo, che devo finire di revisionare. Ci saranno quattro protagonisti principali, e due coppie principali: Faolan, il capo dei cavalieri, Darfel, il suo apprendista (che formeranno la prima coppia), Ivy, la giardiniera, e il figlio del lord suo padrone, Brian (la seconda coppia.)
La storia sarà ambientata in Irlanda e nell'immaginaria isola chiamata Alaron.
Molti di voi mi seguono qui per le fanfiction di Genshin Impact, quindi non so chi sarà interessato a una storia completamente diversa. Però, se vorrete dare una chance a questo libro che ho scritto qualche anno fa, ve ne sarò per sempre grato <3
Il motivo per cui ho deciso di ripubblicarlo è molto semplice: con il vostro supporto nelle fanfiction, sono sempre riuscito a trovare la forza di finire di scriverle, cosa che invece, con questo libro, non è più accaduto (sono rimasto totalmente bloccato col secondo).
Il mio sogno più grande è trasmettere qualcosa con la scrittura. Spero, quindi, che anche Silver Soul vi trasmetterà qualcosa e vi renderà felici. <3
Ovviamente, non smetterò di scrivere anche le fanfiction, tanto più perché Silver Soul l'ho già finito di scrivere!
Con questa storia, però, vi affido un pezzo del mio passato e del mio cuore. Trattatela bene ehehe.
Un grande ringraziamento in anticipo,
Kieran
***
ANIMA D'ARGENTO
VOLUME I: L'ALBA DI ALARON
Prologo
-Ma cosa stai dicendo? Non possiamo fare pace con i terrestri! Io non li perdonerò mai, mai.-
Il vento gelido della notte tentò di coprire le parole di Evan, che ormai gli aveva voltato le spalle. Era finita: Alaron non poteva più convincerlo a tornare indietro. Quel bosco, il cielo ormai scuro dove stava per volare via lo avrebbero inghiottito per sempre.
-Non sono un codardo come te. Andrò a combattere, che ti piaccia o no.– disse Evan, prima di aprire le ali, avanzando sul terreno sassoso. Si gettò dal baratro come se non temesse il vuoto, lasciandosi la montagna e il gemello alle spalle.
Scomparve nel nulla, lontano dai suoi occhi, prima ancora che potesse rincorrerlo e fermarlo. Somigliava tanto ai fiocchi di neve che gli cadevano sul volto: era freddo e inafferrabile. E anche se per anni Alaron si era convinto di somigliargli, in quel momento realizzò che neanche due fiocchi gemelli potevano essere identici. Forse lo erano stati per tanto tempo, ma ora uno dei due si era sciolto, incapace di sopportare il fuoco della guerra.
***
Capitolo primo
E Ora so che il mio cuore
è una città fantasma"
(Adam Lambert - Ghost Town)
Terre di Alaron
FAOLAN
L'ultimo dei pensieri di Faolan dopo una lunga giornata trascorsa a combattere, era senza dubbio l'idea di dover prendere parte ad una festa.
Sebbene fosse decisamente più propenso a tirare dritto verso casa ed avere un meritato riposo, sapeva che il suo ruolo di capo dei cavalieri gli avrebbe precluso la possibilità di scampare alla cerimonia di fondazione dell'isola. Non sarebbe potuto mancare, per nessun motivo al mondo.
Aveva ricevuto almeno dieci inviti, primo tra tutti quello del suo fratellastro Grevor, futuro conte della regione. Ed era proprio da lui che Faolan si stava recando a passo svelto, più in fretta che poteva, con ancora i graffi inflitti dai mostri che bruciavano sulla pelle azzurra e che spiccavano nitidi come tracce d'inchiostro su carta. Era in ritardo e a nulla era servito correre per un'ora intera; il sole stava ormai finendo di tramontare, e a tratteggiare i contorni delle case era rimasto soltanto il bagliore dei falò e dei fuochi poco distanti.
Era solo di recente che Grevor si era trasferito nella capitale Cambria, ospitato in una stanza del palazzo reale. Per raggiungerlo Faolan stava attraversando la città baciata dagli ultimi deboli raggi del sole, attraversando i suoi ponti sottili e oltrepassando le abitazioni in legno e pietra. Nonostante il poco tempo a sua disposizione – trovandosi raramente a passare per le strade di Cambria – non poté fare a meno di guardarsi attorno con ammirazione; ogni volta si stupiva di come gli abitanti illuminassero al calar del sole quei vicoli spogli e di come nascondessero quello scarno ambiente dipingendo le strade di fiori variopinti ogni giorno dell'anno, addolcendo così le asperità tipiche delle zone di montagna.
Non vi era alcun dubbio che fosse il luogo perfetto per un regnante come suo fratello, colui che era destinato a salire al trono entro i successivi tre anni. Sotto ai suoi modi falsamente garbati, Grevor nascondeva infatti una natura dura e fredda come la roccia, allo stesso modo in cui sotto alle decorazioni calde e colorate dei cittadini si nascondeva il cupo grigio dell'arida pietra.
Faolan strinse i pugni in una morsa nervosa al solo pensiero di doverlo rivedere quella sera. Avrebbe dato qualunque cosa pur di evitare quel momento e il solo immaginarlo gli toglieva il respiro più di quanto non facesse già il ritmo veloce dei suoi passi. Nella sua mente erano infatti già apparsi quei suoi occhi scarlatti, nei quali ogni volta gli sembrava di rivedere specchiato il sé stesso del passato che ancora correva a rifugiarsi lontano dalla sua spietata crudeltà. Non era cambiato nulla: neanche ora che ormai aveva ventidue anni riusciva a non avere paura di lui.
Cosa sarebbe successo, quella sera? Come avrebbe fatto a sopportarlo per più di cinque ore al suo fianco? Mentre rallentava il passo con la sagoma della rocca che si stagliava all'orizzonte, si arrese al fatto che non aveva altra scelta che scoprirlo.
Il castello di Cambria, quel palazzo di pietra dipinta che sembrava incastonato tra le montagne, gli aveva sempre dato un'aria maestosa e incredibilmente rassicurante. Le sue alte mura e torri colorate erano come un arcobaleno nel cielo, un piacevole stacco contro l'uniformità di tutto quell'azzurro. Ora che però si preparava a dover restare solo insieme a Grevor al suo interno, l'imponenza della rocca lo faceva sentire soltanto come un animale pronto a gettarsi di propria volontà in una gabbia; ancora peggio fu quando raggiunse l'entrata del castello, davanti alla quale non potè più nascondere il proprio nervosismo.
– Comandante Grenwall, siete voi? –
Neanche si era reso conto di aver abbassato lo sguardo, finché quella voce non gli giunse alle orecchie. Nel voltarsi vide una guardia venirgli incontro, che lo squadrò con vago sospetto. Lo vide rilassarsi soltanto dopo aver distinto meglio la sua figura parzialmente nascosta dalla mancanza di luce: in fondo l'aspetto di Faolan era abbastanza inconfondibile, ben noto agli abitanti dell'isola. Chi era nato da due razze diverse aveva spesso tratti contrastanti tra di loro: la sua pelle color ghiaccio e il colore dei suoi occhi, cerchi dorati e vividi come lamine di fuoco tipici dei cavalieri di drago, non sembravano avere nulla a che vedere con il viso affilato da elfo, né con le orecchie a punta che tentava sempre di nascondere sotto ai capelli blu notte per scampare alle critiche. La razza di sua madre non aveva mai avuto una gran simpatia per gli elfi, e nemmeno il fratellastro Grevor, purtroppo, aveva mai fatto un'eccezione per lui.
– Già, sono proprio io – si limitò a rispondere Faolan, con un tono più seccato di quanto volesse. Forse proprio per questo la guardia esitò un attimo prima di rispondere.
– Vostro fratello vi attende da quasi un'ora, vado a chiamarlo. –
– Lo so. Grazie. –
Realizzò con una certa delusione che dovevano essere almeno le dieci passate. Era ben conscio che lo sterminio di quei mostri gli avesse rubato molto più tempo del previsto, ma non poteva certo permettere loro di vagare a piede libero. Quel giorno ci era mancato poco che scendessero ad infestare la città, e quella prospettiva gli era sembrata più insopportabile di qualunque brutta figura potesse fare. I civili in fondo erano innocenti, e non meritavano di provare terrore e paura durante la giornata in cui avrebbero dovuto celebrare l'essere vivi e felici nella loro terra fondata millenni prima. Era con questa convinzione che Faolan era riuscito a proteggerli dal possibile pericolo, seppur con la certezza angosciante che sarebbe andato incontro ai rimproveri di Grevor.
La guardia gli fece un cenno di saluto prima di lasciarlo passare, gesto che riportò il giovane con i piedi per terra.
– Ci vorrà soltanto un attimo.– si affrettò a dire, accennando un sorriso. – Entri pure, la faccio attendere in salotto. E ne approfitto per ringraziarla per il suo coraggioso servizio, come sempre. –
– Si figuri. Nessun problema –borbottò invece Faolan. La sua voce era solo stanca, ma la guardia sussultò comunque per quel tono. Una scena vista e rivista; a causa del timore che incuteva, ormai era divenuta un'abitudine. Senza nemmeno che se ne rendesse conto, era come se si fosse costruito attorno un muro impenetrabile per tenersi a debita distanza dal resto del mondo.
"Faolan Grenwall sembra una statua", aveva sentito dire molte volte dagli altri, ed era vero. Se ne avesse avuto l'occasione, probabilmente anche lui si sarebbe definito in quel modo. Infatti era ormai da quasi un anno che non c'era più un tocco di calore nella sua voce, così come sul viso apatico. Soltanto dalle iridi dorate, di tanto in tanto, traspariva un guizzo di vivacità, un bagliore che gli illuminava gli occhi severi come una fiamma incontrollata. Ma quella luce sembrava vivere in lui soltanto sul campo di battaglia; quando si toglieva l'armatura inevitabilmente finiva per rinchiudersi nel guscio ben più stretto della sua riservatezza.
Entrò con passo cauto, chinandosi appena per passare dal portone, poco adatto alla sua notevole altezza. La stanza che gli si parò di fronte aveva un aspetto gradevole e ospitale, complice anche la dimensione delle vetrate e l'utilizzo di numerose decorazioni vegetali. Sembrava che qualcuno avesse costruito un salotto all'interno di una foresta: alle spalle dei divani si intravedeva la sagoma del bosco, e il mobilio in legno si intonava bene all'ambiente dove centinaia di anni prima era stato costruito il palazzo.
Seguendo la luce delle candele, Faolan prese posto su una poltrona, attento a non macchiarla con la corazza scheggiata e sporca; solo quel familiare suono di passi lo fece sobbalzare poco dopo, non appena alzò lo sguardo per incrociare l'espressione falsamente cortese di Grevor. Ormai Faolan temeva più il suono della sua voce del ringhio di qualunque mostro, e persino del colpo di uno sparo, per questo si raggelò all'istante non appena lo sentì aprir bocca.
– Faolan. Sei in ritardo, come sempre. Che delusione – gli fece notare Grevor, prendendo posto sul divano di fronte al suo. Già vestito di tutto punto per la festa, con i capelli color smeraldo appena domati dalla spazzola e la giacca elegante di seta indosso, Grevor dimostrava almeno cinque anni in più di lui, sebbene fosse suo fratello minore. Sorrideva proprio come una giovane promessa avrebbe saputo fare, con un misto di orgoglio, gratitudine ed un pizzico di avidità che soltanto un familiare stretto sarebbe stato in grado di scorgere.
Avendo in comune con lui soltanto la madre, Grevor non gli somigliava poi tanto neppure fisicamente: il fratellastro rifletteva in ogni modo l'orgoglio di appartenere a una sola razza, mettendo ben in risalto la pelle azzurro vivo con abiti chiari, e vantandosi spesso degli gli occhi color fuoco che aveva ereditato dagli antenati leridi, antichi cavalieri di draghi.
– Mi dispiace. I mostri dei vulcani oggi non mi hanno dato tregua – rispose Faolan, cercando di nascondere il proprio nervosismo mentre iniziava a togliersi di dosso la corazza, le ginocchiere e la cotta di maglia.
– Mi fa piacere vederti tanto dedito al tuo mestiere. Ma mi sembri di cattivo umore, o sbaglio? Non capisco proprio perché, fratello caro – osservò invece Grevor, studiando attentamente l'espressione dell'altro e rivolgendogli un sorriso velato di scherno. – Hai tutto quello che vorrebbe chiunque, Faolan. Gestire un esercito a vent'anni non è una cosa da tutti. Proteggi tutta l'isola dalle creature più pericolose che esistano e consenti a tutti di dormire sonni sereni. Sei sempre stato un guerriero fenomenale, e hai ottenuto degli ottimi risultati. Quindi vedi di mostrare un po' di fierezza, specialmente se per completare le tue missioni fai aspettare il futuro conte di Istmil. –
Faolan affondò le unghie nei palmi delle mani, trattenendo la tensione e guardandosi bene dal dirgli che ormai era triste da anni, principalmente per colpa sua. Non serviva ripeterglielo, Grevor in fondo sapeva benissimo che cosa gli aveva fatto; anche se non ne avevano più parlato ad alta voce, Faolan sentiva ancora la pressione di vecchie minacce e la paura di essere messo con le spalle al muro ad ogni nuova conversazione.
– Già, hai ragione – tagliò corto Faolan, con tono piatto, sperando di ridurre al minimo quella conversazione inutile. – Beh, vado a cambiarmi e sono pronto. Tra quanto ti aspettano? –
– Devo essere sul palco verso le undici – rispose Grevor, indicandogli poi una pila di vestiti piegati su una sedia. – La contessa Konyl deve presentarmi in veste ufficiale ai cittadini. Non che non sappiano già chi sono: quando ho vinto il posto l'anno scorso mi ha celebrato mezza isola. –
Grevor sembrava già trovarsi perfettamente a suo agio in quel palazzo, elegante e ben curato come la sua orgogliosa immagine. Prendendo un bicchiere di succo variopinto lasciato poco prima sul tavolo, si aggiustò la corona sul capo, e poco dopo indossò i guanti argentati, sorridendo soddisfatto.
Se già questo era il suo modo di fare, come sarebbe diventato dopo i tre anni di apprendistato a palazzo, prima di succedere alla contessa Konyl? Sarebbe rimasto uguale o peggiorato?
Faolan aveva quasi paura a chiederselo, infatti scacciò questo pensiero mentre si alzava a prendere gli abiti eleganti destinati a lui, cercando allo stesso modo di ignorare il ricordo del giorno della vittoria di Grevor per il suo ruolo attuale e di come si era sentito impotente a dover tacere sui metodi illeciti con cui l'aveva conquistata.
Di norma si otteneva quella posizione con concorsi e esami di ammissione, ma Grevor aveva fatto ben altro per raggiungere il suo obiettivo, scavalcando noncurante ogni ostacolo a danno degli altri. Nemmeno i loro genitori sapevano la verità fino in fondo, e quel peso lo stava ormai facendo sprofondare come un masso in un abisso.
Strinse nervosamente un lembo di quegli abiti, dandogli le spalle per dirigersi verso il bagno, senza dire una parola.
– Sei pronto per l'anniversario di fondazione? È una delle mie feste preferite, da sempre. A te piace?– lo inseguì la voce di Grevor, facendo fermare Faolan per un istante in mezzo al corridoio, insospettito. Da quando chiedeva il suo parere? Di norma si limitava a trovare un modo per contraddirlo.
– Sì, mi piace – ammise Faolan, voltando appena il capo. – È bello pensare che i nostri antenati siano riusciti a scappare da un luogo pericoloso come la Terra, creando quest'isola sicura dove possiamo vivere. Forse a volte ce lo dimentichiamo, ma dobbiamo ringraziare di essere vivi e di esistere ancora. –
Faolan cercò di scacciare via il timore cupo che Grevor, forse, sarebbe stato il primo della storia dell'isola di Alaron a interrompere quella pace durata millenni grazie al leggendario Alaron Lebrow, un alieno ribelle e fondatore dell'isola a cui aveva donato il nome, si era battuto con forza e lealtà per sconfiggere i nemici extraterrestri che avevano invaso la Terra, luogo di provenienza dei loro antenati. Con la sua forza magica aveva creato un rifugio nascosto in mezzo all'oceano che ora consideravano casa, e per cui celebravano ogni anno con gioia e gratitudine.
A Faolan era capitato spesso di sentire una leggera angoscia, quando realizzava di vivere su un lembo di terra circondato dalle onde e dalla barriera protettiva creata da Alaron, completamente isolato dal resto del mondo. Eppure, quello era stato il prezzo da pagare per la loro sicurezza, e per la pace eterna che sopravviveva tra una generazione e l'altra.
Si diceva che un tempo bastasse poco più di un mese di viaggio per raggiungere la Terra dalla loro isola. Che fosse vero o meno, Faolan non lo sapeva; nessuno degli abitanti delle terre di Alaron aveva più contatti con i vecchi continenti da svariati millenni, e forse era meglio così. In fondo, le terre di Alaron erano sufficientemente vaste da ospitare milioni di abitanti, e almeno mille volte più sicure.
– Già, chissà com'è messa adesso la Terra, però, mi chiedo – rispose Grevor, con tono divertito. – Ci sarà tornato ad abitare qualcuno? Sarà meglio di qui? Chissà... Beh, forse non dovrei nemmeno pensarci, in fondo ho già metà di questa terra, non posso certo preoccuparmi di tutto. –
***
Quella conversazione ormai non era diventata altro che un pretesto per Grevor di vantarsi; seccato, Faolan scrollò le spalle e andò finalmente ad aprire la porta del bagno. Fu in quel momento preciso che il cigolio della maniglia venne sovrastato da un grido improvviso che gli lacerò la mente, propagandosi nei suoi pensieri come una sorta di interruzione fastidiosa.
"Faolan, cosa stai facendo?"
Faolan si voltò di scatto, guardandosi intorno, alle spalle e di fianco. Nessuno gli aveva parlato, il corridoio era completamente vuoto e Grevor era ancora seduto sul divano a sorseggiare il suo succo. Probabilmente era stata soltanto la stanchezza a fargli sentire quella voce, pensò. Eppure, tempo un paio di secondi, e di nuovo la sentì risuonare nella testa, tanto da provocargli una fitta di dolore.
"Solo perché voi due non sapete più niente sulla Terra, non significa che sia disabitata. È piena di gente che sa della vostra esistenza. Presto torneremo da voi, ma non temere... sarò un tuo alleato, anzi, avrò bisogno del tuo aiuto" gli sussurrò la voce, con tono rassicurante.
Faolan, per un istante, si sentì come se qualcuno gli avesse tolto l'aria dai polmoni. Gli mancava il respiro; non riusciva in nessun modo a cancellare quelle parole che gli si stavano imprimendo nel cranio come un marchio a fuoco rovente e anche soltanto muoversi gli stava risultando difficile. Non c'era nessuno che si stesse rivolgendo a lui, nessuno che almeno potesse vedere. Eppure sentire chiaramente che quei pensieri non erano i suoi gli fece correre un brivido lungo la schiena. Ogni suono intorno a lui si fece ovattato, lasciandolo solo in quella conversazione spaventosa.
"Vuoi forse continuare a fare una vita del genere? Combattere come un eroe e poi tornare ogni sera in una stanza vuota? Farti trattare così dal fratello che ti ha rovinato la vita? Certo che no. Non è giusto, tu meriti di meglio" gli disse di nuovo la voce, gentilmente, con un tono che nessuno usava con lui da tempo. "Ti piace essere completamente da solo, col terrore di ferire tutti gli altri? Non preferiresti che tutto tornasse come a un tempo, quando eri felice?"
Faolan spalancò la porta del bagno per chiudersi nella stanza da solo, cautamente, cercando di non dare troppo nell'occhio davanti a Grevor. Non riusciva a restare fermo lì, non mentre nella sua testa sembrava essersi scatenata una tempesta. Forse nascondersi non sarebbe servito a nulla, non quando la confusione era dentro di lui, ma doveva capire cosa stesse succedendo. Doveva almeno provare a rispondere alla voce, anche se non poteva certo farlo in mezzo al corridoio.
"Quando arriverò sulla tua isola voglio te come alleato, hai capito? In cambio, ti farò tornare potente e importante e manderò via Grevor. Ci sarà anche un ragazzo terrestre con me, saremo tutti alleati, insieme."
A quel punto Faolan non poté fare a meno di chiudersi bruscamente la porta alle spalle. Si sarebbe strappato le orecchie se solo fosse servito a far tacere quella voce che continuava a insinuarsi subdolamente nei suoi pensieri impedendogli di ragionare e di provare qualcosa di diverso dalla paura. Come faceva a farsi sentire? Come faceva a conoscere i suoi timori, gli elementi che lo avevano ferito in passato?
"Vendicati di tuo fratello, non lasciare che sia sempre lui ad avere ogni fortuna. Ti aiuterò, se sarai dalla mia parte. Riprendi in mano la tua vita, con me. Seguimi, e potrai vendicarti di Grevor" tornò a sussurrargli la voce, facendolo rabbrividire. Come faceva un suono così debole a risuonare così forte?
Ebbe giusto il tempo di rispondere un flebile "chi sei". La sua visione venisse offuscata da immagini che mai aveva visto in vita sua: una tenuta di campagna,un giardino immenso, un'antica biblioteca e infine il volto allegro di un ragazzo dai capelli arruffati, che era piuttosto sicuro di non conoscere.
Non vide molto altro, prima di crollare rovinosamente a terra come se fosse scivolato su un pavimento bagnato, sbattendo la testa contro alle piastrelle fredde e perdendo i sensi. Di una cosa però era certo... quella voce e quelle immagini non appartenevano di certo all'isola di Alaron.
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