33: Il terratreno
Terre di Alaron, contea di Nevis
IVY
-Vieni, andiamo a prendere il terratreno, forza! Non perdiamo la corsa delle 12! Tra l'altro, Artalis mi aspetta per pranzo. Non farmi tardare. -
Ivy cercò di nascondere l'espressione perplessa di fronte alla parola "terratreno", non avendo la minima idea di cosa fosse, e si limitò a seguire Akùr nella corsa.
-Oh, eccoci!- esclamò Akur, sorpassando una folla con una serie di spintoni. Afferrò Ivy per un braccio e corse ancora più forte, per poi arrestarsi di fronte a una profonda buca, scavata direttamente nella terra.
"Non bisognerà mica buttarsi dentro?!?" si chiese Ivy, allarmata.
Risposta affermativa, purtroppo.
Non fece in tempo a fare domande che Akur si era già lasciato cadere a peso morto nella buca, e poi l'oscurità l'aveva inghiottito come un vortice, lasciandolo scomparire dalla sua vista. Ivy esitò, prima di lanciarsi nel vuoto. Restò ad osservare la fila di persone dietro di lei oltrepassarla, giusto per vedere le loro espressioni prima della caduta. Sembravano rilassati, perfettamente a loro agio. A quanto pareva, sotto terra non c'era nessun mostro dalle fauci spalancate, né un rigido impatto con chissà quale roccia.
Se voleva trovare Iskender e Brian, doveva imparare a vivere in quel mondo nuovo, e provare a usare tutti quei nuovi dispositivi strani. Aveva paura, ma il pensiero di stare ferma e non fare niente la spaventava ancora di più: temeva di tornare a piangere da un momento all'altro, di perdere quel poco di energia che la stava spronando a cercare l'amico e di non riuscire a fare più niente.
Quando aveva combattutto contro ad Evan, erano stati i suoi riflessi pronti a impedirgli di morire e farsi catturare. Quando aveva visto chi fosse realmente sua madre, era stato il suo momentaneo autocontrollo a non farla restare ferma e indifesa. Ancora una volta, doveva sforzarsi di mantenere il sangue freddo: reagire era ancora incredibilmente difficile, ma doveva farlo per Brian.
Avanzò con passi lenti verso la buca, chiudendo gli occhi, ignorando l'istinto che ordinava ai suoi piedi di fermarsi.
Sentì la solidità mancarle sotto ai piedi e un grido terrorizzato le sfuggì dalle labbra. Sollevò le braccia e spalancò gli occhi sull'oscurità intorno a lei, mente un forte profumo di terra fresca le pungeva le narici. Le sembrò di avere il cuore in gola e lo stomaco ribaltato, tanto brusco fu il cambiamento dal suolo alla galleria sotterranea.
Ma presto lo spavento fu rimpiazzato da una piacevole sorpresa:
uno scivolo colorato guidò la sua discesa fino ad un'ampia sala poco distante, attutendo la caduta di Ivy . La ragazza rimise i piedi a terra e si lasciò lo scivolo alle spalle, guardandosi intorno.
A parecchi metri dalla superficie, collegata alla superficie da altri scivoli, liane e porte, una piazza dalle mura di terra e dal pavimento di roccia fungeva da ciò che sembrava una piattaforma d'attesa ferroviaria. L'area era illuminata da lampade colorate, che emanavano vividi e cangianti bagliori. Un binario di vetro trasparente tranciava di netto la piazza, e quando un forte boato esplose nell'aria, le persone esultarono in brusii concitati: -ARRIVA! ARRIVA IL TERRATRENO!
Ivy osservò la scena ad occhi sgranati.
Il treno che sfrecciò sui binari in quell'istante era composto da vagoni di ogni forma e dimensione: c'erano sedili muniti di ruote, foglie su cui erano seduti piccoli esseri volanti simili a Folletti, e poi cabine di legno decorate da incisioni. Ogni singola parte era collegata a quella dietro e davanti tramite spesse corde o travi di legno.
-Andiamo sui sedili, su!- la incitò Akùr, dandole un leggero colpetto sulla spalla. –Dio, quanto sei lenta. Ma ti vuoi dare una svegliata?-
Akùr prese posto su una delle sedie a due ruote poste al centro del treno. Non c'erano sportelli, chiusure a proteggere quel vagone: era un semplice gruppo di sedili di legno, con un guizzo di luce che le animava non appena qualcuno vi prendeva posto.
Ivy si sedette di fianco a lui, intrecciando le mani sulle ginocchia e attendendo, con un misto di curiosità, trepidazione e paura, la partenza del terratreno. Ogni elemento di quell'isola, almeno fino a quel momento, le era parso del tutto inusuale e perenne fonte di stupore. Se non avesse avuto la preoccupazione costante per Brian e gli zaffiri, avrebbe maggiormente apprezzato tutta quella novità; ma, nonostante ciò, non poteva fare a meno di provare un muto entusiasmo. Ripensò al ponte, al meraviglioso castello che aveva visto poco prima, alla varietà di gente che la circondava. Proprio come aveva sentito dire da Evan e Sayula, le terre di Alaron davano l'impressione di un posto pacifico, meravigliosamente sfruttato nei suoi spazi ed equilibrato.
Spostò lo sguardo sui passeggeri intorno a sé: piccole creature volanti chiacchieravano sedute sulle foglie appese al vagone di fronte, allungando di tanto in tanto piccole forchette, catturando sbuffi di fumo e mangiandoli. Ivy socchiuse gli occhi, osservando più attentamente. Cosa stavano assaggiando?
-Non ho mai capito come gli Ermidi riescano a campare nutrendosi con i suoni, ma..peggio per loro.-, osservò Akùr, quasi in risposta alla domanda di Ivy.
-Mangiano davvero i suoni? Che bello! Almeno non mancano da nessuna parte e non moriranno mai di fame.- replicò Ivy, divertita. Esistevano addirittura esseri in grado di nutrirsi di frequenze sonore? Quel posto la stupiva sempre di più.
-Nemmeno il cibo tradizionale manca mai!-, esclamò una donna seduta nel vagone di fianco a lei, costituito da un ammasso di foglie secche assemblate come uno sgangherato divano.
Si voltò: aveva spropositate orecchie a punta, i suoi occhi erano di un giallo fosforescente e la sua pelle incredibilmente diafana. Tra i suoi capelli viola era intrecciata una corona di fiori neri che Ivy riconobbe come glovie, pur non avendoli mai visti prima di allora. Forse era un riflesso del suo sangue da incantatrice.
-Non nelle Terre Libere di Alaron!-, esclamò un coro allegro, composto da almeno metà dei passeggeri del treno, Akùr compreso. Ivy quasi sobbalzò dal sedile per la sorpresa. L'ottimismo era davvero così collettivo in quell'isola? L'uomo seduto di fianco ad Akùr, con il volto semicoperto da un fungo rovesciato, rise forte, per poi rivolgere lo sguardo ad Ivy.
-Stai attenta! Non ti conviene agitarti mentre un terratreno sta per partir ... -
Ivy capì all'istante il motivo di quell'avvertimento. Il terratreno sfrecciò, rapido come una scheggia, sul binario di vetro, oltrepassò una galleria e si addentrò nel buio. Il sedile sobbalzava ad ogni curva, le ruote vibravano ad ogni scossone e l'impatto con l'aria era quasi doloroso.
In pochi istanti, il buio fu sostituito da meravigliosi disegni fosforescenti, che coprivano ogni parete della grotta. Ivy osservò le immagini passare davanti ai suoi occhi, mentre il terratreno rallentava la corsa e un brusio concitato riempì le sue orecchie.
-Hai visto quell'autore? Riesci a leggere il nome?-
-E' Shalenya di ... ah, peccato, mi è sfuggito il cognome! Chissà se ha fatto mostre?-
Akùr ridacchio, per poi sussurrare ad Ivy, indicandole un disegno.
-Quello l'ha fatto una mia amica, giù a Liksol. Bellissimo, no? A me disegnare non piace, però riconosco un talento.-
Ivy non fece in tempo a rispondere affermativamente che un annuncio risuonò da un enorme fiore posto sopra alla sua sedia. Strizzò gli occhi per il frastuono, tappandosi istintivamente le orecchie.
-PROSSIMA FERMATA: LIKSOL! IL TERRATRENO NUMERO 12 FERMA A LIKSOL, PIAZZA DELLE SPEZIE!-
-Ho colto il messaggio, grazie, amplificatore ... - mormorò Ivy, rintronata al quinto "Liksol! Prossima fermata: Piazza delle spezie!-
Akùr aveva l'aria divertita, vagamente perfida. –Oh, scusa, mi dispiace ... forse non avrei dovuto lasciarti quel posto!-
Ivy gli tirò una gomitata, facendolo quasi cadere addosso al passeggero seduto al suo fianco, per poi sorridere innocentemente. Aveva avuto pazienza fino a quel momento, ma sopportare Akùr l'aveva portata al limite.
-Oh, scusa, mi dispiace. Ma mi sento in dovere di dirti che l'ho fatto apposta!-
Il rumore cigolante del treno coprì le imprecazioni di Akùr, e la luce della nuova stazione invase l'atmosfera scura della galleria.
-LIKSOL! IL TERRATRENO E' FERMO A ... LIKSOL! PIAZZA DELLE SPEZIE! IL TERRATRENO E' A LIKSOL!- annunciò il fiore parlante.
-Ma davvero?-, replicò sarcastica la donna dalle orecchie a punta, e tutti risero.
Ivy si rialzò in piedi, seguita da Akùr, che subito si fece strada tra la folla. C'erano molte più persone che alla fermata precedente, e tutte si lanciarono sui vagoni.
Ivy si chiese, non senza una certa preoccupazione, come sarebbero tornati in superficie. La stazione di Liksol sembrava scavata in profondità nel terreno, aveva miriadi di scivoli ma nessuna scala.
Akùr allungò una mano su una corda verde che pendeva dal soffitto, vi avvolse il palmo e subito fu trascinato verso l'alto, scomparendo alla sua vista.
Ivy deglutì, ormai senza più esitare. Doveva abituarsi alle stranezze, se lo era imposto giusto poco prima. Strinse entrambe le mani sulla corda, che si compattò come una molla e salì rapidamente. Ad Ivy sembrò di compiere il più alto dei salti, si aggrappò tanto saldamente alla corda che le sue mani si ferirono, ma quando emerse sulla terraferma sul suo viso balenò un lieve sorriso, soddisfatto ed elettrizzato dall'esperienza. Fu piacevole, per qualche istante, non sentire più il dolore assordante che le stringeva il petto da quando era arrivata sull'isola. Quando subito dopo tornò a sopraffarla, però, Ivy si sentì ancora più stanca di prima. Avrebbe dato qualunque cosa perché anche Brian potesse divertirsi con lei sul terratreno, o esplorare quel mondo che sembrava uscito da uno dei suoi libri preferiti. Trattenne le lacrime a stento, mordendosi il labbro inferiore. Non aveva mai avuto così tanto bisogno di piangere come in quel giorno e un po' se ne vergognava, ma era difficile ignorare il pensiero dell'amico disperso, quando ogni minimo dettaglio glielo ricordava, quando ogni nuova visione la faceva sentire triste di non averlo al suo fianco.
Akùr la osservò con una certa perplessità, scuotendo il capo mentre i lineamenti armoniosi venivano imbruttiti da una smorfia corrucciata.
-Tu non sei di qui, decisamente, no.-, osservò lui, ed Ivy sentì il cuore riempirsi di panico. –Sarai anche una brava attrice, cara...come ti chiami, scusa?-
-Ivy.- mormorò lei a denti stretti, e si affrettò a seguirlo, mentre lui riprendeva la camminata.
-Ecco, Ivy. A me non imbrogli! Guardi tutto come se non lo avessi mai visto prima di adesso. Poi il castello, gli Ermidi, il terra treno...perché non vuoi dirmi la verità, eh?-
Lei scrollò le spalle, sperando di potersi concedere di ignorare quelle domande ancora per un po', mentre osservava curiosa l'assemblaggio urbano in cui erano capitati. Non biasimava Akùr per quei sospetti: dopotutto, anche lei non sarebbe riuscita a fidarsi di uno sconosciuto che mentiva. Tuttavia, non poteva rivelargli la verità così facilmente.
Non fece in tempo a vedere di sfuggita un breve scorcio di quella "Piazza delle Spezie, (un'area di case, ristoranti, mercati e statue,, che Akùr svoltò in una via secondaria.
Le case erano costituite da travi di legno, dipinte in miriadi di colori, decorate da disegni e pietre e tenute insieme da erba o paglia. Ognuna di essa aveva anche un giardino, tanto che il sentiero con cui erano collegate tra loro quasi scompariva, in mezzo a tutto quel verde.
Akùr si fermo di fronte a una delle prime abitazioni, aprendo con una chiave un cancelletto di legno e avventurandosi nel giardino con passi rapidi. Un paio di bambini , un maschio e una femmina, giocavano in mezzo all'erba, rotolandosi e rincorrendosi fino a che Akùr non li salutò.
-Artalis è in casa?-, chiese Akùr alla bambina, che si aggrappò alla sua gamba e sollevò il viso sporco di tempere..
-Sta facendo la pappaaaa!-, esclamò il bambino, comparendo alle sue spalle e lanciando una zolla di terra in faccia alla coetanea.
Akùr cercò di divincolarsi dalla presa della piccola, ormai avvinghiata a lui.
-Va bene, va bene! Grazie ... ma devo andare!-
La piccola si lasciò ricadere a terra, tornando a dare attenzioni al giardino, mentre Akùr procedeva verso l'abitazione.
Era costruita con mattoni azzurri, aveva ampie vetrate, e su ogni finestra si vedevano vasi di fiori. Ivy ormai pensava di aver visto cose abbastanza impressionanti, ma quando Akùr procedette dritto verso la parete della casa e la attraversò senza tanti complimenti, per poco non le venne un infarto.
Restò a fissare il muro per qualche istante, incapace di compiere qualunque altra azione, fino a che non sentì la risata di Akùr.
-Ah, brutto non essere un Rowen, vero?-
Il ragazzo aveva spalancato la porta ed era sbucato fuori, sollevando un sopracciglio ed un angolo della bocca in una smorfia beffarda. Aveva qualcosa di assolutamente diverso, Ivy finalmente lo notò: la sua pelle si era fatta più grigia, gli spigoli del suo corpo più definiti. Assomigliava davvero ad una statua.
-Sai, ho il corpo parzialmente fatto di roccia ... attraverso la roccia, plasmo la roccia, se voglio!-, spiegò Akùr ad Ivy con tono di superiorità, quasi si stesse rivolgendo ad una bambina di tre anni. –Un vero peccato, non avere queste capac ... -
-Akùr!-, lo interruppe una voce femminile, facendolo sussultare. -Che succede? Come mai sei già a casa?-
Una piccola figura avanzò nella stanza a piccoli passi, e Ivy dovette abbassare lo sguardo per osservarla con attenzione. Le arrivava, ad occhio e croce, alla spalla, il che era tutto dire, considerando la sua scarsa altezza. Indossava un grembiule da cucina sporco di marmellata, ed aveva un volto dolce, dai lineamenti delicati e gli occhi vispi. I capelli, rossi come una fiamma viva, erano acconciati in un elaborato chignon che troneggiava sopra il suo capo come una corona.
-Artalis, questa ragazza ha bisogno di aiuto per trovare una persona-, le disse Akùr, indicandole Ivy, che la salutò con un rapido cenno della mano. –Iskender, precisamente.-
Gli occhi di Artalis si alzarono sul viso di Ivy, e la sua espressione, da gentile e paziente che era, si fece leggermente allarmata.
-Iskender? Sarà più lungo del previsto, allora!-
-Mi spiace, non volevo disturb ...
-Ma figurati, nessun disturbo, siamo qui per aiutarti!-, sorrise Artalis. –Scusami, non volevo preoccuparti. Siediti, cara, possiamo discuterne davanti a un piatto di biscotti, che ne dici?-
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