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30: L'arrivo


Terre di Alaron, Contea di Nevis

IVY

Il buio durò a lungo. Gli occhi di Ivy restarono chiusi per diversi minuti, secchi e stanchi. Il corpo le sembrava dieci volte più pesante del solito, e le gambe le dolevano così tanto da farle venire voglia di urlare.

Quando finalmente riuscì a riaprire le palpebre, non riconobbe il cielo sopra la sua testa. Era incredibilmente azzurro, con nuvole che si spostavano rapide come carrozze e trasportavano case. Non aveva mai visto nulla di simile. Così erano quelle, le Terre di Alaron? Era riuscita finalmente ad arrivare?

L'erba sotto alle sue mani le sembrò più alta e fresca di quella che conosceva in Irlanda. Quando finalmente si mise a sedere, vide che persino i fiori erano diversi: ogni bocciolo era grande quando il palmo di una mano, e brillavano sotto la luce del sole come cristalli.

Appena dopo lo stupore di quella vista, fu il dolore ad arrivare. Ivy si portò la mano davanti al viso, scrutandola con attenzione. Le dita erano ustionate, coperte di vesciche e bolle, annerite. La pelle era scorticata in alcuni punti, e Ivy si chiese se si sarebbe mai rimarginata. Il fuoco di Brian l'aveva ferita, ma se era servito a portarlo al sicuro, era valsa la pena di usarlo, senza dubbio. Non vedeva l'ora di riabbracciarlo, di sorridergli e di dirgli quanto fosse felice che fossero sopravvissuti,che ce l'avevano fatta.

Ma quando voltò il capo per cercarlo,non lo trovò. Dov'era finito?! Perché non riusciva a vederlo? Non poteva essersi allontanato più di tanto, non l'avrebbe mai lasciata da sola,non era da lui.

La sua assenza la fece spaventare di colpo, scavandole un vuoto nel petto. Era lì con lei, giusto? Ivy si tirò in piedi di scatto, ignorando i capogiri, impaziente più che mai di ritrovare l'amico, preoccupata di vedere come stesse. Aveva sentito la sua presa sicura avvolgerla fino a pochi secondi prima, le sue braccia gentili che la stringevano e la rassicuravano, quindi, come poteva non essere più accanto a lei? Si era fatto male? No, le sembrava difficile: Brian si era salvato con lei, ed era stata quella la certezza che l'aveva fatta resistere fino all'arrivo su quell'isola, nonostante la paura della vendetta di Evan, del vortice misterioso in cui li aveva gettati. Ma allora perché non riusciva più a vederlo? Perché, girando la testa, trovava di fronte a sé soltanto il verde dei prati, dei paesaggi poco distanti e nessuna figura che somigliasse a Brian? Era forse scomparso?Non era caduto di fianco a lei, probabilmente, ma non riusciva a capirne il motivo.

Ivy si sforzò di iniziare a correre giù dalla collina su cui era atterrata, sperando che l'incantesimo di Evan l'avesse sbalzato soltanto pochi metri distante da lei, ignorando il meraviglioso paesaggio intorno a sé, i prati che si mutavano in sentieri e gli alberi tanto alti da sfiorare il cielo, da tanto era forte la preoccupazione.

Prese a urlare il nome dell'amico fino a che non sentì bruciare i polmoni, e continuò ancora a lungo, con voce sempre più spezzata. I suoi piedi corsero più rapidi del vento, inciampando di tanto in tanto, cercando di non fermarsi.

Come aveva fatto a non accorgersi prima della sua assenza? Quando, esattamente, aveva sciolto il loro abbraccio? Ora che lui non era lì, si sentiva come se le avessero strappato via una parte di sé stessa: riusciva a malapena a reggersi in piedi, e la sua vista aveva preso a farsi annebbiata. Il panico iniziò a impadronirsi del suo respiro, man mano che correva. Lo sentì diffondersi tra le vene come un veleno: no, non poteva essere successo, pensò, mentre le prime lacrime iniziarono a inumidirle gli occhi, arrendendosi alla sua angoscia.

Iniziarono a comparire delle creature intorno ad Ivy. Volavano nell'aria, grandi quanto la testa di un adulto, con i capelli lunghi che le seguivano come uno strascico. C'erano anche delle figure umane, alcune più alte di altre, con singolari colori di pelle, occhi e chiome, mano a mano che si avvicinava alla città, ma lei non si soffermò a lungo su di loro: vedere che nessuna di loro era Brian era abbastanza per farla procedere imperterrita. Continuò a correre, evitando gli alberi, le persone, urlando il nome di Brian e sentendosi a pezzi ogni volta che non riceveva risposta. Le sembrava di urlare di fronte a un burrone e richiamare indietro una persona che si era già buttata: inutile, frustrante.

Dopo diversi minuti di corsa affannata, dovette fermarsi sul margine di un sentiero, riprendendo fiato.

Non voleva arrendersi, perché arrendersi avrebbe significato ammettere che Brian non era più lì.

Ma ad un certo punto, mentre la sua vista si appannava e il suo respiro iniziava a vacillare, Ivy si fermò, lasciandosi scivolare sul terreno, le ginocchia a terra e il corpo a un passo dal cedere.

Esplose esattamente pochi istanti dopo, sentendosi come se un fulmine l'avesse colpita di colpo.

Scoppiò in lacrime, non riuscendo a trattenersi, il petto scosso da singhiozzi che non riusciva a fermare. Avrebbe tanto voluto essere forte, in quel momento, abbastanza forte da continuare a cercare Brian, ma il peso di tutto ciò che era successo nelle ultime ore precipitò su di lei, riducendola a un ammasso di tremiti che non riusciva a fermare. L'aria sembrava entrare a fatica nei suoi polmoni, tanto che dovette recuperarla con ampie boccate. Cercò di tenersi insieme come poteva, portandosi le mani ad afferrare le braccia, ma tutto ciò che riuscì a fare fu affondare le unghie nella pelle e lasciarle scorrere frustrate per diversi istanti, come cercando di estirpare fuori tutta la tristezza che portava dentro.

Perché non era riuscita a fare abbastanza? Perché le scivolava sempre via tutto dalle dita, nonostante si impegnasse a fare sempre la cosa giusta? Se non altro, avrebbe voluto che quella sfortuna si abbattesse su di lei, e non facesse più male a nessun altro. Prima se n'era andato suo padre, e poi era sparito anche Brian.

Ivy sbattè un pugno a terra, ignorando il dolore che quel gesto le provocò. Avrebbe tanto voluto sapere come mai perdeva sempre le persone più importanti per lei, perché chi amava le veniva sempre strappato via, e soprattutto che cosa stesse succedendo a Brian in quel momento. Aveva così paura per lui che ogni battito del cuore le rimbalzava contro le orecchie, rapido e straziante. E il non saper rispondere a tutte quelle domande la angosciava ancora di più. Dopo qualche secondo, urlò come non faceva da anni, abbandonandosi a un unico grido, quasi sperando di esaurire le forze una volta per tutte e di essere lasciata in pace.
Era così stanca che ogni respiro le faceva male.

Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo il modo in cui aveva aiutato sua madre senza quasi più pensare a sé stessa, si era soltanto ritrovata pugnalata alle spalle e catapultata in quella situazione assurda. E, peggio ancora, dopo quella delusione immensa, Ivy era anche riuscita a perdere l'unica persona che le avrebbe dato la forza di continuare, la persona che più avrebbe voluto proteggere in assoluto.

-Brian..-, annaspò, con un filo di voce. –Brian, ti prego, dove sei?-

Si asciugò il volto con il braccio graffiato, nervosamente. La stanchezza ebbe la meglio persino sulla sua rabbia; pur continuando a piangere, Ivy dopo qualche istante smise di urlare, e lasciò che le lacrime le bagnassero silenziosamente le guance, sperando che la calmassero.
Si sforzò di guardarsi intorno. Di fronte a lei, c'era un paesaggio marino. La foresta che si era lasciata alle spalle era poco distante: c'erano ancora tracce d'erba e fiori sul terreno dove si era lasciata cadere, ma, di fronte a sé, scogliere maestose cadevano a picco su una distesa d'acqua inquieta, solcata da imbarcazioni di legno.

La linea di un ponte bianco solcava l'azzurro del mare con un netto contrasto. Ivy seguì il suo percorso con lo sguardo: figure antropomorfe lo attraversavano, piccole come bambole, viste da quella distanza, mentre altre figure, emergendo dal mare con le loro code di pesce, salutavano i passanti.

Ma il vero stupore fu vedere a quale luogo quel ponte conducesse: un palazzo con torri bianche, piattaforme di atterraggio per nuvole pilotate da individui con ampi cappelli e corpi di vapore, trampolini di lancio e balconcini rivolti al mare. Alcuni fili colorati avvolgevano le torri, e Ivy impiegò un paio di istanti a capire che si trattava di tubi che trasportavano l'acqua del mare alle stanze del castello.

Dal tetto sbucava un enorme telescopio, e una ragazza era seduta su un balcone poco distante, trafficando con una decina di telescopi più piccoli. L'intero palazzo sembrava sospeso sull'acqua, con onde che si avvolgevano ai suoi piedi, mentre decine di persone entravano e uscivano in un movimento perenne.

Ivy fu così impressionata da quella vista che per un istante dimenticò il dolore.

"Brian sarà così felice di vedere queste cose. Ha sempre amato l'oceano.."

O forse no. Strinse i pugni con rabbia e frustrazione, abbandonandosi a un singhiozzo frustrato. La sola idea che Brian potesse stare male, disperso da qualche parte da solo, o che avesse smesso di esistere, le era insopportabile. Brian, la sua gentilezza, il modo in sorrideva di fronte a un nuovo libro, le sue mani che scorrevano veloci sul pianoforte per suonare l'ultima canzone che avrebbero ascoltato in Irlanda. Brian, il modo in cui non aveva esitato a combattere contro a Evan e tutti gli altri incantatori per aiutarla, le sue mani che la stringevano quando stava per crollare di fronte alla vista di sua madre improvvisamente cattiva. Brian, la delicatezza con cui chiudeva gli occhi quando posava la testa in mezzo a un prato, come se avesse voluto ascoltare la natura che gli parlava, il suono del vento che gli soffiava nelle orecchie. Come poteva non essere più lì? E dire che era riuscita a trasportarlo con sé con tanta fatica, ne era sicura! Neanche con la migliore fantasia del mondo sarebbe riuscita a vedere così perfettamente i suoi occhi felici, colmi di rispetto e di gratitudine. Erano state forse le maledizioni di Evan a farli separare? Quando avevano toccato gli zaffiri, Ivy lo aveva sentito chiaramente, mentre gli lanciava contro degli incantesimi maligni.

Già, gli zaffiri. Come se non fosse già abbastanza avere perso Brian, Ivy realizzò solo in quel momento di non avere la minima idea di dove fossero finiti gli zaffiri. Ricordava solo di aver visto il loro scrigno esplodere, e poi più nulla.

Sbatté le palpebre, cercando di concentrarsi un attimo su quel dettaglio. Cosa avrebbe detto a Iskender, ora che li aveva persi? Poi, scattò su di colpo, e per un attimo le sembrò di tornare a respirare dopo una lunga apnea.

Già: Iskender! In fondo conosceva qualcuno in quel luogo sconosciuto, non era del tutto persa! Forse lui avrebbe saputo trovare Brian e gli zaffiri, se solo avesse potuto parlarci. Non era certo una soluzione perfetta, ma era meglio di niente. Ma dove poteva trovarlo? Non le restava che chiedere a qualche abitante dell'isola, in fondo era stato lui stesso a suggerirle di farlo. A quanto pareva, godeva di una certa fama.

Fece per girarsi, decisa a correre in città con le poche forze che le restavano, ma una mano si posò sulla sua spalla, bloccandola.

-Ehi!-

Ivy sussultò, ma la mano si scostò in fretta. Si voltò di scatto, con il cuore in gola. Forse...

Il ragazzo di fronte a lei aveva un aspetto decisamente diverso da quello di un terrestre. Aveva i capelli viola tagliati corti, la pelle di un singolare colore grigio chiaro; a giudicare dal volto, sembrava essere poco più grande di lei. Ivy provò inevitabilmente una grande delusione, quando non si ritrovò di fronte a Brian. Tuttavia, l'interlocutore non aveva nessuna colpa per non essere il suo amico, così si sforzò di sorridergli.

-Mi dica.-, gli rispose, la voce tremante, consapevole di avere ancora un aspetto sconvolto, e gli occhi ancora gonfi di lacrime. Non moriva dalla voglia di parlare con uno sconosciuto, non con quei pensieri brutti per la testa, ma forse quel ragazzo voleva soltanto aiutarla, e in fondo poteva sapere qualcosa su Iskender.

Il ragazzo, però, sollevò un sopracciglio con fare ammiccante non appena lei gli rivolse la parola.

-Uh, mi sa che ti sei persa, dolcezza! Ma per fortuna ci sono qua io a risolvere tutto, dato che probabilmente da sola non combineresti molto. Infatti mi sembri un po' disperata, lasciatelo dire. Che c'è? Hai litigato con la mamma e sei scappata di casa?-

Ivy lo guardò perplessa, e improvvisamente diffidente. Aveva avuto dei buoni propositi verso di lui, ma la sua risposta l'aveva lasciata un po' interdetta. Perché si prendeva tutta quella confidenza con lei?
-Cosa? No, non sono scappata di casa.-

La confusione e l'ammasso di sensazioni negative che ancora provava fecero suonare la sua voce un po' più secca del solito.

-Ah sì? Sicura? Ho visto il modo in cui fissavi il castello di Liksol, adesso: come una che non l'ha mai visto in vita sua. Tu non sei di qui, mi pare ovvio! – ridacchiò il ragazzo, scuotendo il capo. -Vuoi prendermi in giro, forse? Insomma, proprio a me, ma mi hai visto? Di solito, le altre ragazze, quando mi vedono, parlano chiaro e non dicono bugie. Sarà che ho un certo fascino e risulto convincente.-

"Ci mancava solo questo.", pensò Ivy, con un sospiro,persino troppo esausta per arrabbiarsi, ma poi rifletté che era meglio non destare troppi sospetti. Non sapeva nulla di quell'isola: chi le assicurava che Evan non avesse alleati anche da quelle parti?

Si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza.

-Questo non è vero: è solo che il castello è così bello che ogni volta che lo si guarda è come se fosse la prima. E poi, oggi non è stata una grande giornata: guardare un bel castello, se non altro, mi ha resa felice.-

Il ragazzo aggrottò la fronte, ma poi le rivolse un sorriso smagliante. Ivy intuì che quella era per lui un'espressione abituale. Era un bel ragazzo, ed evidentemente consapevole di esserlo. Probabilmente era abituato ad ottenere tutto ciò che voleva, o non sarebbe stato tanto sicuro di sé, tanto insistente.

-Certo, certo, vediaaamo. Quindi di dove sei? Della Contea di Istmil?-

Ivy annuì, facendo finta di niente, nonostante non avesse la minima idea di cosa intendesse: –Sì, esatto.-

-Di quale città?-

"Oh, cavolo ..."

–Ehm, la capitale!- azzardò, cercando di sembrare convinta.

-Ahà.- Asserì lui, accarezzandosi il mento. –E non ricordi il nome della tua città? Wow! Tesoro, hai problemi di memoria, per caso? Hai preso una botta in testa, o sei sempre così stupida? Beh, le ragazze di solito non sono esattamente dei geni, però insomma..per fortuna che almeno sei carina.-

Ivy sbuffò, iniziando seriamente a spazientirsi. Quel ragazzo le stava facendo solo perdere tempo, ed era fin troppo pedante per farla sentire a suo agio: forse, chiedere aiuto a lui non sarebbe stata una buona idea. Sembrava aver soltanto voglia di provocarla e tormentarla, senza rispondere a niente di concreto. Doveva chiedere aiuto a qualcun altro.–Scusa, ma adesso devo proprio andare. Buona giornata.-

-Ah, sì? E dove? E a fare cosa, per esempio? Qualcosa di meglio che parlare con un soggetto interessante come me?-, replicò facendole di nuovo l'occhiolino. Ad Ivy venne quasi il voltastomaco. Perché non si accorgeva che lo stava palesemente ignorando? Inoltre, in quel momento stava troppo male per scherzare.

-Devo andare a cercare una persona.- La ragazza fece per girare i tacchi ed andarsene, ma lui la rincorse.

-Dai, dimmi: cosa ti serve sapere? Chi è che stai cercando? Io in città conosco un po' tutti.-

Ivy si fermò di scatto, sospirando. Tanto valeva tentare. –Non so se vive da queste parti, comunque: ha l'aspetto di ragazzino sui dodici anni, i capelli neri, la pelle scura, si chiama Iskender e ha det ... -

Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata. Si premette una mano sulla pancia, del tuttoincurante di sembrare sgarbato o inopportuno. Ivy lo fissò, perpelssa.

-Cosa c'è di così divertente?-

-Ma SERIAMENTE? Pensi di riuscire a raggiungerlo da sola? Ma poi perché una ragazzina come te vuole vedere lo Stregoncino?-

-Devo parlargli assolutamente! E comunque, ho più di diciotto.-

-Davvero? Non si direbbe. Sei davvero bassa..- shignazzò Akùr. –Comunque...-, aggiunse, incrociando le braccia sul petto. La sua voce traboccava arroganza ad ogni nuova parola.

-Iskender vive alle pendici dei monti di Nispen: per raggiungerlo ci vuole un viaggio interminabile, e ora che i Mostri si sono insediati in quelle zone è un territorio pericoloso. Certo, i Cavalieri fanno quello che possono, ma non basta. E poi, nessuno va mai a trovarlo senza un suo invito, lui non apre facilmente le porte, ed è comprensibile! Quel piccoletto ha il suo bel da fare: manovra l'isola ogni giorno, la sposta nelle correnti ignote, inventa nuovi oggetti e tecnologie che spedisce giù da noi. Devo proprio spiegarti tutto?-

"E ti pareva, non poteva avere una casupola sul mare? No, meglio andare in una nicchia sperduta a migliaia di metri dal suolo, praticamente irraggiungibile. Grazie, Iskender!", pensò Ivy, sconsolata.

Se non altro, aveva saputo che Iskender era importante e sapiente. Forse avrebbe potuto aiutarla a ritrovare Brian e gli zaffiri, a chiarire quella situazione. Quell'idea le innestò una scintilla di speranza. Aveva assolutamente bisogno di altre informazioni, anche se aveva soltanto voglia di ributtarsi sull'erba e rimettersi a urlare per la frustrazione e il nervosismo. Brian non si meritava certo che lei si arrendesse, dopotutto: cercò di aggrapparsi a quell'idea, reggendosi in piedi a fatica. Forse anche lui la stava cercando, non doveva lasciarlo solo.

Quel ragazzo sembrava più vanitoso di un pavone con dieci ruote, ma forse bastava ignorare le sue provocazioni per ricavare dalle sue parole qualcosa di utile.

-Iskender mi ha detto esplicitamente di raggiungerlo. Quindi, è come se avessi un invito.-

Il ragazzo la guardò con aria di sufficienza. –Bah. Non ci credo neanche per sbaglio. Penso che abbia di meglio da fare. Ma dato che mi sembri tanto desiderosa di buttare il tuo tempo, posso portarti da Artalis. Potrebbe darti più indicazioni di me sul come raggiungere il laboratorio di Iskender. Potresti unirti ai viaggiatori che ha invitato, oppure trovare qualche altro pazzo disposto ad accompagnarti. Sa Alaron per chissà quale strano motivo. -

-Grazie.-, replicò Ivy, dopo qualche istante, sorpresa: in fondo, nonostante tutte le parole fastidiose del suo discorso, quel tipo le stava dando una mano.

-Non montarti la testa, adesso. Continuo a pensare che tu stia facendo una stupidaggine, ma si sa come sono le ragazze, d'altronde Ho sempre pensato che siano tutte sceme, si salvano giusto per l'aspetto.-

Ivy avrebbe voluto mollargli un pugno per quelle ultime parole, ma il ragazzo era già corso avanti, e lei non era certo dell'umore di perdere altro tempo. –Chi è Artalis?-

-Mia madre adottiva. Io, invece, mi chiamo Akùr.-

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