23: Due vecchi amici
Terre di Alaron
ALARON
Dall'alto dei monti di Nispen, Alaron Lebrow si godeva la vista dell'isola, le ali scarlatte richiuse sulla schiena e gli occhi colmi di nostalgia.
Il mare di Theralin, osservato da quell'angolazione, aveva la stessa sfumatura degli occhi della sirena di cui portava il nome. Alaron sospirò malinconicamente, lasciando scorrere lo sguardo sui petali dei fiori che lo circondavano, dispersi nel vento come coriandoli smarriti.
Anche la terra più bella del mondo, di tanto in tanto, gli appariva vuota senza la presenza dell'amata.
Con grande fatica, si sforzò di sorridere. Almeno l'isola era gioiosa e al sicuro, come sempre. Presto Iskender sarebbe tornato dalla Terra, distogliendolo da quei pensieri dolorosi e aggiornandolo sulla situazione di quel luogo lontano. Si sedette sul prato, le ginocchia strette al petto, lasciandosi accarezzare dalla brezza leggera. Si assopì per qualche minuto, perché dopo millenni e millenni di vita, il sonno di tanto in tanto era l'unica piacevole tregua.
C'era soltanto una figura a fargli da compagnia, in quel momento: la celebre statua di Felicity, un'incantatrice leggendaria il cui ricordo era stato cancellato da Evan dopo l'ultima guerra sull'isola. Le Terre di Alaron erano disseminate dalle sue statue, e numerose piazze portavano il suo nome: si diceva che aveva protetto il confine per un'ultima volta dagli attacchi dei nemici, sacrificando la sua stessa vita. Ma chi fosse realmente, come avessero fatto a conoscersi e quando avessero parlato, né Alaron né altri ormai lo ricordavano, purtroppo.
Aveva sorpreso molte volte Iskender piangere di fronte alle sue statue, ma neppure lui aveva saputo ricordare chi realmente fosse. Le lacrime gli rigavano le guance d'istinto, quando incontrava lo sguardo di pietra della statua, a suo dire.
"Probabilmente, eravamo buoni amici. Quando la guardo, mi sento così triste che potrei scoppiare. Eppure non riesco nemmeno a ricordare il suo volto", gli aveva confessato Iskender, una volta, rendendolo ancora più insofferente nei confronti di Evan. Non era stato già abbastanza uccidere quella ragazza, c'era davvero bisogno di cancellare la sua memoria? In segno di rispetto, Alaron aveva lasciato le sue statue e sparso la voce del suo sacrificio, ma soffriva spesso al pensiero che nessuno potesse raccontare altro su di lei.
-HOP HOP HOP! VOSSIGNORIA A RAPPORTO!-
Improvvisamente, Iskender si materializzò di fronte a lui, distraendolo da quei pensieri. Aveva le ali dischiuse, quella vera color ocra e quella artificiale grigio metallico. Schioccò le dita, poi arricciò le labbra nella sua consueta smorfietta. Alaron si alzò in piedi, colto di sorpresa, mentre Iskender si sollevava sulle punte dei piedi, tentando di raggiungere la sua altezza. Sforzo inutile: gli arrivava a malapena al petto.
-Diamine, diamine e diamine! Mi chiedo ancora perché non mi decida a costruirmi dei trampoli ... -, sbuffò Iskender, e si sistemò la giuntura di metallo del ginocchio con un rapido movimento della mano. Non si era mai lamentato di tutte le malformazioni che aveva alle gambe, alle ali e al corpo. Semplicemente, le aveva sistemate con un po' di meccanica, così come faceva con i macchinari per cui andava pazzo. –La tua altezza mi mette in soggezione, di tanto in tanto, Alaron.-
Alaron lo osservava con gli occhi enormi e pieni d'apprensione.
-Sì, sì, giusto ... Beh, Iskender! Ci sono novità? Sulla Terra, voglio dire..-
-Oh, andiamo! Lasciami il tempo di riprendere fiato ...- - Si aggiustò la bombetta sui capelli, poi prese a frugarsi nelle tasche dell'enorme giaccone. -Certo che ce ne sono. Per cominciare, ho trovato il libro con gli incantesimi di Jehan: lo aveva sua figlia!-
Gli porse il tomo scuro, e l'iscrizione sulla copertina, "Incantesimi, barriere e l'alba delle terre di Alaron", brillò come un lampo. Alaron lo prese con estrema cura, sfogliandone le pagine.
-Ti ringrazio molto. Ci sarà utile, in questi tempi duri. Ma dimmi ... Jehan ha una figlia?-, chiese curioso, dopo qualche istante di silenzio. –E com'è? Voglio dire, lui e Sayula sono sempre stati degli ottimi alleati, anche se purtroppo non possiamo incontrarli da tempo. Come sta Jehan?-
Iskender abbassò lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli scuri. Con quel volto infantile, i lineamenti regolari e il corpo in buona parte tenuto insieme da pezzi di ferro e legno, sembrava un angelo meccanico. La sua espressione si rabbuiò, mentre i suoi occhi neri si velarono di lacrime. Alaron sussultò, già allarmato dalla sua reazione.
-Jehan è... morto qualche mese fa. E' tutto ciò che ho compreso. Non so né come né perché. E Sayula è alleata di Evan. Per quanto riguarda la loro figlia, si chiama Ivy. E a proposito, anche su questa Ivy, ho molte cose da dirti. - Fece cenno ad Alaron di alzarsi in volo. –Vieni, che ti spiego. Parlo più volentieri quando mi muovo.-
Alaron fu parecchio turbato da quella rivelazione, ma seguì ugualmente l'amico. I due Incantatori si librarono in aria, poi scesero in picchiata giù dalla montagna, le ali dischiuse alla brezza. I boschi sotto di loro sembravano sempre più vicini, ma non li raggiunsero del tutto: si limitarono a tenersi poco distanti dalle chiome degli alberi.
-Quindi...Jehan non è più tra noi.-, commentò Alaron, sentendo una pesante sensazione di vuoto nel petto. Stesse attento a non perdere di vista l'amico, volando con un ritmo tranquillo, le braccia leggermente aperte. Avrebbe pianto quella perdita, forse non davanti a Iskender, forse non subito, quando l'avrebbe assimilata del tutto, qualche ora dopo.
Sapeva bene che chi moriva si spostava semplicemente in un altro mondo, ma non poté fare a meno di chiedersi se Jehan avesse sofferto o meno. Inoltre, sua figlia sembrava essere rimasta da sola, sulla Terra. Era un bel problema, constatò Alaron, dispiaciuto. Come poteva essere accaduto che la moglie di Jehan, Sayula, li avesse traditi?
Con i suoi poteri, avrebbe potuto continuare dei guai notevoli.
Guardò Iskender, che, nel frattempo, si cimentava in ogni tipo di acrobazia, faceva giravolte in aria e poi restava sospeso nel vuoto a testa in giù, nonostante l'ala meccanica cigolasse per lo sforzo, e l'agilità non fosse la principale caratteristica del suo corpo fragile.
Un paio di bulloni delle ali caddero a terra, ma non parve farci troppo caso. Alaron non fu infastidito da quel suo strano modo di reagire. Iskender era abituato a muoversi in qualsiasi modo potesse, pur di uccidere i pensieri troppo cupi. La visita sulla terra doveva aver turbato anche lui.
-Accidenti! Penso di aver perso qualche pezzetto ... Comunque! Ho trovato Evan Lebrow, tuo fratello. E come avevamo dedotto, è lui ad essere in possesso dei frammenti di zaffiro.-
Gli occhi di Alaron ebbero un guizzo di terrore. La paura stonò all'istante, sul suo volto ormai forzato a sorridere sempre, pacatamente.
-Lo hai visto? Evan? Hai scoperto che cosa vuole fare?-
-Sissignore.- Iskender spiegò ad Alaron ogni parte del piano di Evan: il suo desiderio di raggiungere l'isola per conquistarla, la resurrezione di decine di Incantatori suoi alleati, la loro postazione a nord della Terra. E infine gli parlò di Ivy e Brian, che avrebbero permesso il teletrasporto degli Incantatori sull'isola.
-Capisco.- Alaron si accomodò su un ramo, seguito dall'amico, e si prese la testa tra le mani.
Si sentiva stanco, terribilmente stanco. Aveva un volto da giovane adulto, ma aveva qualche miliardo di anni sulle spalle. Si era sognato un'eternità pacifica dedicata alla custodia dell'isola, con la moglie al proprio fianco, ed Evan l'aveva uccisa. Aveva ucciso la sua parte migliore. E non si era limitato a quello: stava uccidendo anche l'equilibrio del luogo, un equilibrio in cui aveva sempre creduto. Una pace per cui aveva lottato con tutti i suoi amici, che ormai da tempo vivevano nella terra oltre la vita.
Un'altra guerra non era stata certo il primo dei suoi sogni. Come avrebbe trovato la forza per affrontarla? Come poteva essere ancora abbastanza, per il suo amato regno, dopo che si sentiva sempre più perduto, giorno dopo giorno?
-Capisci? Capisci e basta?-, lo punzecchiò Iskender, irritato dalla sua apparente apatia. Non potendo leggergli il pensiero, doveva aver scambiato il suo silenzio per noncuranza. –Che ne pensi?-
-Forse, mio caro amico...ti prego, non ti offendere per le mie parole-, precisò, aspettandosi, purtroppo, che Iskender sarebbe rimasto ferito dall'appunto che stava per fargli, quasi crudele ma necessario: -Ecco, io credo che non avresti dovuto affidare una missione tanto importante a due ragazzi così giovani. Chiedere loro di recuperare i frammenti di zaffiro, di fronteggiare tutti quegli Incantatori, e addirittura portare gli zaffiri fino a qui, è stato un po' imprudente da parte tua.-, decretò Alaron, a malincuore.
Iskender sentì la rabbia divampare, e storse il naso in una smorfia. Come un eterno ragazzino, era particolarmente incline a vistosi sbalzi d'umore, e sbuffò in maniera piuttosto teatrale.
-Imprudente? Imprudente. Im-pru-den-te. Sai che ti dico, Alaron? Imprudente sarai tu!"-, sputò fuori Iskender, quasi stesse pronunciando uno spiacevole insulto; poi tornò a darsi un contegno, incrociando le braccia al petto. -Insomma! Ti pareva che io avessi motla scelta?"
-Iskender! Insomma! Ti pare il momento?-
-Oh, andiamo! Sembri una vecchia zia. Non ho bisogno di prediche, anche a me spiace aver messo una responsabilità così grande nelle mani di due ragazzini- , ribatté Iskender –E neppure sappiamo se riusciranno a raggiungerci ... Ma non avevo scelta! Non avevo tempo. E' già un miracolo che io sia riuscito a trovarli, ad avvertirli, prima che non provassero neppure ad opporsi al piano dei loro genitori. Ho avuto soltanto qualche minuto! Ma almeno, ora conoscono la verità: possono provare ad aiutarci.-
-Sembri fidarti di questi Ivy e Brian -, commentò Alaron. –Ma hanno soltanto diciotto anni ... e questa battaglia non è neppure la loro. E poi Brian, mio nipote...-, pronunciare quella parola gli fece stringere il cuore. Se fossero stati una famiglia normale, sarebbe stato felicissimo di conoscerlo. Invece, era diventato zio senza neppure saperlo, e tutto ciò che era forzato a pensare, era che suo nipote potesse odiarlo. -...Brian è il figlio di Evan! Credi che si schiererà facilmente contro suo padre?-
–Anche tu avevi diciotto anni quando ti sei scontrato con Evan, quando hai fondato l'isola...quando hai salvato tutti noi –, ribatté Iskender. –E nemmeno allora era la tua battaglia: tecnicamente, saresti dovuto stare dalla parte di tuo fratello. Proprio come tuo nipote Brian, secondo te, potrebbe essere dalla parte del padre. - Lo fissò intensamente negli occhi. –Io invece penso che il ragazzo sia in gamba, e che quando avrà sentito il piano di Evan capirà da solo che deve stare dalla nostra parte.-
-Ma come puoi saperlo? Lo hai visto dieci minuti!-
Iskender sbuffò sonoramente.
-Alaron Lebrow si è decisamente guadagnato il premio di Vecchia Zia Petulante dell'anno!- Si mise di fronte all'amico, stringendo le mani a pugno e fissandolo torvo. –Lo sai che percepisco le emozioni, che leggo sprazzi di pensieri. E' l'unica cosa che riesco a fare con decenza ... non sono un piromane come te! Ad ognuno la sua abilità, no? Beh, ti dico che il ragazzo aveva paura, ma che era anche deciso a scoprire la verità. Dobbiamo fidarci, avere speranza. Cosa che tu non stai minimamente facendo. Non sei più come un tempo!-
Alaron parve riscuotersi. Era decisamente punto sul vivo, per un semplice motivo: Iskender aveva detto la verità. Quella che non voleva sentirsi rinfacciare, quella che conosceva bene, ma che non accettava.
Distolse gli occhi dorati da Iskender, posandoli sul paesaggio e tormentandosi una ciocca di capelli. -Cosa...cosa intendi dire?-
-Theralin è venuta a mancare. Sì, lo so, è stato orribile: Evan risorto dal nulla, che arriva e uccide tua moglie. E poi torna qui e rompe il cuore di zaffiro, il manufatto che hai protetto per anni, e mette in pericolo l'isola. Non piacerebbe a nessuno ... beh, forse ad un masochista o ad un completo imbecille-, tagliò corto Iskender, scrollando le spalle. –Ma il tuo modo di reagire ti sta uccidendo, amico mio. Ti sei fossilizzato: ora guardi quest'isola come uno spettatore esterno. Se continuerai così, svanirai. Forse vivrai per altri anni e anni, ma esisterai davvero?- Guardò Alaron negli occhi e, nonostante il viso infantile, la determinazione gli ardeva nello sguardo. -Proverai ancora qualcosa? O ti farai distruggere dal passato?
-Io...
-Tu cosa? Evan sarà pure il Signore delle tempeste, ma tu lo sei del fuoco, Alaron. Ricordati ciò che ti ha fatto divampare anni fa.-
-Divampare, già. E se di me non fosse rimasto che un mucchio di cenere? Gli abitanti dell'isola non possono vedermi , ed io posso muovermi limitatamente, specialmente da quando Theralin non è più qui ad aiutarmi. E' stato questo l'unico modo per rimanere in vita e proteggere questo luogo, lo sai. Come pensi che io possa intervenire?-
Iskender sospirò. –Lo capisco. Non è semplice. Ma non puoi restare qui a guardare il disfacimento della tua stessa creazione. Tu hai me.-, lo rassicurò, addolcendo il tono di voce. -E hai te stesso, nonostante tutto.
Forse la gente non ti può vedere, ma ti può sentire, di tanto in tanto.- Sorrise, con quel sorriso furbo che lo caratterizzava. –Tramite i sogni, o i sussurri di sfuggita. Non è impossibile. Richiederà sforzo, lo so, ma puoi pur sempre chiedere aiuto a qualcuno dell'isola, qualcuno di affidabile. Raccontagli la verità di ciò che sta accadendo. Fanne un alleato che potrà aiutarci quando Ivy e Brian arriveranno.-
Alaron si guardò alla spalle. La barriera incandescente che proteggeva l'isola, un involucro di vento luminoso che solo lui poteva vedere e gestire, gli prosciugava la maggior parte delle forze.
Non sapeva se ne avrebbe avute a sufficienza per parlare a qualcuno, per scendere sul terreno, ma Iskender aveva ragione. Non poteva restarsene con le mani in mano. Non lo aveva mai fatto prima di allora.
-Quello che mi stai dicendo è giusto. Questa è la nostra terra-, convenne Alaron dopo qualche istante di riflessione. –E questa è la mia gente. Parlerò con qualcuno puro di cuore, e gli chiederò di guidare Brian ed Ivy, per aiutarli ad arrivare da te con gli zaffiri. E' tutto ciò che posso fare per ora ... -
-Questo è l'Alaron che mi piace!-, si emozionò Iskender, e batté le mani, concitato. -Per tutte le torte di girasole, ci voleva così tanto, ci voleva uno scemo come me per fartelo capire? Ti aiuterò nella scelta. E attenderò i due ragazzi con pazienza, perché non posso far altro.- Il suo viso si rabbuiò per un istante. -Che ingiustizia che io non possa raggiungere nessuno, che la gente debba venire a trovarmi per potermi vedere!
Come se ci venissero, poi! A meno che non abbiano un invito o un urgente motivo, nessuno si azzarda a scalare i monti dove dimoro ... -
-Per questo cercherò una guida per Brian e Ivy. Non riuscirebbero mai a raggiungerti senza aiuto. E di conseguenza, neppure a consegnarci le pietre ... -, concordò Alaron.
-Sì, sì, bene. Muoviti, pomodorino!-
Alaron non ebbe neppure il tempo di replicare all'amico per quel soprannome ridicolo, che quello si era già levato in volo, non senza aver rivolto un cenno di saluto alla statua di Fel, distogliendo rapidamente lo sguardo già malinconico.
Si mosse goffamente tra le correnti d'aria, ma con espressione carica di entusiasmo. Alaron ricordò l'Iskender di tanti anni prima, quello allontanato da tutti i suoi simili perché fisicamente mal messo, con un' ala sola e le gambe che non lo reggevano.
L'Iskender che parlando con la gente era infantile, che si rannicchiava negli angolini a creare nuovi oggetti o a fare esperimenti scientifici.
Ma non si pentì neppure un istante di averlo scelto come messaggero, come fidato consigliere, poiché era strano, intelligente e coraggioso come lo erano le creature speciali e rare, e aveva il cuore più grande che conoscesse.
-Dove andiamo?-
-A fare ispezione di cavie per il nostro piano-, ghignò Iskender con tono scherzoso. –Hai già qualche idea?-
-Pensavo ai Capi delle Contee.-
-Vuoi parlare con due persone? Uh, non male come idea. Però presta attenzione, i nobili sono spesso spocchiosi. AH! Che suono meraviglioso!- Iskender battè le mani. –"SPESSO SPOCCHIOSI"!-
Alaron roteò gli occhi, cercando di trattenere una risata.
-Sì, esatto. Se non mi fido dei Conti non so proprio di chi potrei fidarmi. Chi vince le elezioni per i troni delle Contee è leale, colto e coraggioso. Non si ottiene la carica solo perché si è nati in una famiglia fortunata, bisogna guadagnarsela. E' questo il vantaggio di lasciare che sia il popolo a decidere chi governa. Ora abbiamo Blez, contessa di Nevis, e Grevor, conte di Istmil.-
-Credevo che sarebbe stato il maggiore dei fratelli Grenwall a salire sul trono: Faolan, non Grevor.-
Alaron scosse il capo, e prese a volare più rapidamente, dirigendosi verso Cambria, capitale della contea di Istmil. Il profilo della rocca si stagliava nitido contro il cielo, e Alaron non poté evitare di ammirare quella vista: incastonata tra le montagne come un piccolo gioiello, essa univa perfettamente utilità e bellezza.
Miriadi di torri, di ogni forma, colore ed orientamento, si diramavano dalla struttura principale, simile al tronco di un forte albero.
Era un palazzo sicuro, e grazie alla sua complessa architettura, permetteva ai suoi abitanti di raggiungere diverse postazioni della città.
-No, Faolan Grenwall è il Capo dei Cavalieri; il suo Accampamento è poco distante da qui, nella Selva della Speranza-, spiegò pazientemente Alaron.
-Ma quante cose sai?!? Guarda un po' che impiccione!-
-Oh, smettila! Mi pare il minimo informarmi sull'organizzazione dell'isola.-
-Sì, sì, certo. Dove stiamo andando?-
-Vorrei parlare a Grevor Grenwall, il Conte.-
-Grandioso. Io posso tornare ai miei esperimenti, nevvero?-
Alaron gli lanciò un'occhiataccia, ma poi gli fece cenno di andarsene.
-E va bene. Ci vediamo dopo, piccola peste.-
Iskender sparì in pochi istanti, lasciando Alaron solo nella sua missione.
Alaron prese un ampio respiro e si diresse verso una delle torri più vicine. Gli bastò dischiudere una mano per liquefare la maniglia della finestra, e si chinò quel tanto che bastava per entrare nel palazzo.
Un brusio lontano gli punse le orecchie, non appena prese ad aggirarsi tra le stanze, con le ali dischiuse e i sensi all'erta.
-L'incoronazione definitiva è prevista tra una settimana-, disse una prima voce, e una seconda fece solo un mormorio di assenso. Alaron seguì quella pista sonora, e si sedette su una mensola del salone dove si trovavano i due interlocutori. Richiuse le ali e ascoltò in silenzio. Non ebbe neppure bisogno di nascondersi: da quando era morta Theralin la forza che utilizzava per tenere in vita l'isola lo aveva reso invisibile, come uno spirito passeggero.
-Tu e i Cavalieri parteciperete?-, chiese il ragazzo più giovane, che Alaron finalmente riconobbe: era Grevor, il Conte, i cui occhi di fuoco brillavano di entusiasmo.
Fissavano quelli del fratello Faolan senza la minima traccia dell'astio che Evan aveva avuto millenni prima quando guardava lui.
Faolan annuì. Era più alto di Grevor di quasi una spanna, e malgrado le spalle larghe e il fisico tipico di chi trascorreva anni sul campo di allenamento, aveva una certa finezza nel portamento e nei tratti del viso, tipici degli elfi. Sempre che non si prendessero in considerazione gli occhi: freddi e taglienti com'erano, sembravano forgiati con lo stesso acciaio dei coltelli legati alla sua cintura.
I due fratelli Grenwall erano leridi, come testimoniavano la pelle color ghiaccio e il colore delle iridi, cerchi dorati e magnetici, vividi e brucianti come quelli dei loro antenati draghi.
Faolan e Grevor avevano in comune soltanto il padre, e le orecchie grandi e appuntite di Faolan non facevano che confermare la sua ascendenza elfica.
-Ovviamente. Ci prepareremo a dovere per il corteo-, disse Faolan, e Grevor annuì.
-Ci vediamo settimana prossima, allora!-, esclamò Grevor radioso, mentre sul viso di Faolan non comparve neanche l'accenno di un sorriso. Ad Alaron sembrò il tipo di persona poco incline all'espansività, che trova l'ombra più discreta della luce. E difatti scomparve in pochi istanti con un breve saluto, aprendo una delle tante porte del castello e dirigendosi altrove. Alaron restò a guardarlo attraverso il vetro, lo vide raggiungere un ragazzo biondo che lo attendeva fuori, e poi andarsene via con lui.
Ricordò la descrizione di Faolan che aveva dato a Iskender pochi minuti prima: " Faolan Grenwall è il Capo dei Cavalieri, è accampato poco distante da qui, nella Selva della Speranza.". E si disse che se Faolan era un guerriero, non era tanto strano che fosse di poche parole, o tanto diverso dal fratello.
Eppure, vederlo di persona gli aveva mosso una certa inquietudine nell'animo, un'inquietudine simile a quella provata dinanzi ad un vulcano attivo, la cui esplosione non era mai pianificata e dalla quale non ci si poteva difendere. L'ombra che aveva scorto dentro gli occhi del giovane non sembrava promettere nulla di buono.
Alaron scosse il capo, sospirando tra sé e sé e abbandonando presto quei pensieri. Forse era stata solo un'impressione. In quel momento era troppo teso, si lasciava suggestionare con facilità.
Spostò lo sguardo su Grevor, che, nel frattempo, stava scrivendo appoggiato ad un grosso blocco di roccia calcarea, il suo scrittoio. Intingeva un rametto in una ciotola di inchiostro, tracciava dei segni su alcune foglie secche, poi ripeteva parti di un discorso a bassa voce. Era così giovane, al massimo ventunenne, che faceva un certo effetto vederlo tanto concentrato in compiti regali. Ma d'altro canto, sembrava del tutto a suo agio mentre sfogliava un libro di leggi della Contea e prendeva appunti, quasi divertito, con un'espressione sorridente.
Ad Alaron quasi dispiacque distoglierlo da quei compiti, ma non ebbe altra scelta: quello che doveva proporgli era decisamente più importante.
Volò nella sua direzione, e nonostante Grevor non potesse vederlo né sentirlo, il ragazzo percepì comunque un sottile soffio di vento, una scossa di adrenalina nell'aria.
-Grevor Grenwall, conte di Istmil!-, lo chiamò Alaron, più volte, finché Grevor riuscì a percepirlo . Alaron sentì le proprie energie prosciugarsi per quella comunicazione con un vivente, ma continuò. –Hai a cuore la tua terra?-
Grevor sussultò. –Io ... Chi mi parla?-
Alaron sorrise, e allungò una mano verso la sua fronte, emettendo una lieve scarica di luce dalle dita. Chiuse gli occhi, e cercò di infondergli in quei brevi istanti le parole e le immagini necessarie perché conoscesse la sua identità e comprendesse che l'isola era in pericolo, che Evan stava per arrivare e che proprio lui avrebbe dovuto condurre Ivy e Brian da Iskender.
Anche Grevor tenne gli occhi chiusi, e li riaprì solo quando Alaron ebbe finito.
-Farò quanto mi avete chiesto-, sussurrò Grevor con voce tremante. Alaron ebbe a malapena il tempo di sorridere, poi svenne per quello sforzo. Non era facile tenersi in piedi e comunicare, quando si avevano millenni di esistenza.
Grevor restò a fissare il vuoto per qualche istante, come aspettandosi di veder comparire la figura del celebre Incantatore, il protettore della sua terr,ma vide solo altro vuoto.Abbandonò la stanza con passo lento, con la mente piena di interrogativi e il suolo che sembrava meno solido sotto i suoi piedi, con le possibilità e le responsabilità che gli danzavano intorno come foglie secche d'autunno.
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