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Sic volvere Parcas

Virgilio non si era mai accorto dello scorrere del tempo giù nel Limbo: ogni singolo istante era identico al precedente e al successivo, cristallizzato nel placido fiume dell'eternità come una goccia nell'oceano. Non si era mai fermato a pensare a quanto fosse passato da quando era morto, da quando aveva incontrato Mecenate e Orazio per la prima volta, da quando aveva lasciato la sua Andes per sempre.

Non se n'era mai curato, almeno non fino a quel momento, non fino a quando non aveva incontrato Dante.

Omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori  (1). Quanto era ancora ingenuo e innocente quando aveva scritto quel breve verso! Allora lui non ne sapeva ancora niente, dell'Amore, era ancora ignaro di che cosa significasse Amare davvero qualcuno.

Non sapeva dei baci che fremevano sulle labbra. Non sapeva del bisogno fisico di sfiorare, accarezzare, stringere qualcuno. Non sapeva delle notti insonni, delle ore trascorse a sognare ad occhi aperti, di come un'immagine potesse stamparsi così vividamente in una mente innamorata.

Così come non sapeva dell'angoscia. Così come non sapeva del tormento. Così come non sapeva della disperazione. Così come non sapeva che cosa si provasse ad avere il cuore a pezzi. A brandelli, l'anima, squarciata come un velo leggero, impossibile da ricucire.

Qui amant ipsi sibi somnia fingunt (2): l'aveva sempre saputo, eppure si era illuso ugualmente. Si era illuso che Dante amasse lui e solo lui, che quello che provava per Beatrice sarebbe scomparso via come per magia.

Aveva pregato affinché questo accadesse ogni singolo istante che aveva passato al suo fianco, giù nell'Inferno, su per il Purgatorio. Eppure sapeva anche quello: Desine fata deum flecti sperare precando (3), l'aveva scritto egli stesso.

Perché stavolta non si trattava di sapere o non sapere, non si trattava di aggrapparsi alla ragione o alla logica: si trattava di fronteggiare le proprie emozioni, si trattava di Amare. Si trattava di Amare qualcuno che non ricambiava il suo Amore. Si trattava di Amare qualcuno che non avrebbe visto mai più.

Virgilio avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rivederlo, pur di poter incontrare un'ultima volta Dante. Specchiarsi in quegli occhi meravigliosi, così brillanti che parevano rischiarare perfino le tenebre infernali. Scorgere in mezzo alla desolazione, al pianto, allo stridor di denti quella cuffietta rossa. Tenergli la mano quando aveva paura. Eliminare ogni traccia di preoccupazione dal suo volto con una parola. Ascoltare quel suo continuo cicaleccio. Percepire il calore che emanava il suo corpo ancora vivo. 

Virgilio avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rivivere quelle sensazioni al di fuori dei propri sogni.

"Esci dalla mia testa!", si ritrovava ad urlare di tanto in tanto, squarciando con le sue grida l'aere perso del Limbo, "Esci! Ti prego! Esci!".

Omnia fers aetas (4), ma il suo dolore non sembrava essere tra queste. Passavano le settimane, passavano gli anni, passavano i secoli, passavano piccoli pezzi d'eternità, ma la sua sofferenza rimaneva sempre lì a mordergli il cuore. 

"Esci!". Le sue suppliche erano vane, ascoltate solo dalle altre anime dannate come lui. "Esci!".

Se avesse potuto, se fosse stato ancora fatto di carne e sangue, si sarebbe ucciso, avrebbe imitato la sua folle Didone e avrebbe messo a tacere per sempre quel tormento che non sembrava voler accennare a smettere. 

"Esci! Dante, esci!". Solo il pronunciare ad alta voce il suo nome bastava ad ucciderlo di nuovo. "Smettila! Smettila di assillarmi nei miei pensieri! Smettila di infestare i miei sogni! Smettila di comparire all'improvviso nella mia mente! Smettila! Ti prego! Smettila!".

Ah, Corydon, Corydon, quae te dementia cepit! Invenies alium, si te hic fastidit, Alexim. (5)

Ma Dante non era Alessi e questo Virgilio lo sapeva. Se anche quella fiamma si fosse mai spenta, sarebbe stato per sempre: Coridone avrebbe forse trovato un altro Alessi, ma Virgilio non avrebbe mai trovato un nuovo Dante. Perché di Alessi era pieno il mondo, perfino il Limbo, ma di Dante ce n'era uno solo e il suo posto era in Paradiso, con Beatrice, con la donna che egli davvero amava.

Ma Amore non si cura di tali cose, Amore crudele non si sazia di lacrime (6) e Virgilio continuava a piangere e a urlare e a disperarsi nella sua agonia, settimana dopo settimana, anno dopo anno, secolo dopo secolo, eternità dopo eternità.

Fino alla fine dei tempi: sic volvere Parcas (7).



(1) L'Amore vince su tutto: e noi cediamo all'amore,  Ecloga X

(2) Gli innamorati stessi si creano i sogni da sé, Ecloga VIII

(3) Smetti di sperare di piegare pregando i fati degli dei, "Eneide", libro VI

(4) Il tempo porta via tutte le cose, Ecloga IX

(5) Ah, Coridone, Coridone, quale follia ti ha preso! Se questo ti rifiuta, troverai un altro Alessi, Ecloga II

(6) Ecloga X

(7) Così filarono le Parche, "Eneide", libro I

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