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2. Moms' boy-friend

Lessi per l'ennesima volta la lunga espressione aritmetica, incomprensibile, fissando i numeri come se fossero stati dei geroglifici (che forse sarebbero stati più semplici da capire).

«Basta. Mi arrendo!» sbottai, in preda alla disperazione, lanciando la biro sul libro aperto di matematica e facendo sussultare il ragazzo che avevo di fronte.

Luke mi aveva invitato a casa sua per studiare insieme nel dopo scuola, in vista del test che Mrs. Jackson aveva assegnato alla mia classe per la settimana successiva (lui l'aveva invece già fatto qualche giorno prima), e mi ero vista costretta ad accettare sapendo che il biondino mi avrebbe potuto sicuramente aiutare a colmare le enormi lacune che avevo in quella materia: Luke Hemmings infatti era un incredibile e nel contempo improbabile genio della matematica, era come se per lui i numeri non avessero segreti.

«Non ci capisco nulla!» mi lamentai ancora, «Luke, sto impazzendo!»

«Oh, non esagerare, Sam.»  commentò con saccenza, «Forza, da qua: vediamo quanto è “impossibile” quell'esercizio.» Afferrò il tomo, leggendo attentamente la famigerata espressione, «Non è così difficile.» concluse e, vedendo che non ne ero tanto convinta, aggiunse: «Dai, ora te la spiego.»

Si alzò, facendo il giro del tavolo, per sedersi al mio fianco. Il mio sguardo vagò sulla finestra: avrei preferito passare il venerdì pomeriggio in modo differente; poi tornai a prestare attenzione al ragazzo, che con pazienza stava iniziando a mostrarmi la soluzione dell'esercizio.

*  *  *

Spalancai le braccia lasciandomi cadere sul letto dalla trapunta verde  facendo sobbalzare leggermente il materasso.  Ero sfinita: sentivo i neuroni fumare. Avevo passato l'intero pomeriggio a studiare con Luke, e grazie alla sua pazienza ero riuscita anche a capire qualcosa di quella maledetta matematica.

Il mio sguardo vagò per la stanza illuminata dalla luce arancione del sole in procinto di tramontare: la scrivania sotto alla finestra, le pareti chiare con qualche poster delle band che ascolto qua e la (dove i Green Day la facevano da padroni insieme ai One Direction, ho gusti musicali discordanti), la bassa libreria colma di libri e di svariati DVD, il televisore sopra e il joystick di lato. Sorrisi alzandomi per afferrarlo, accendendo la console, decidendo che avevo bisogno di rilassarmi un po' e che un bel video-game fosse la migliore soluzione.

Avevo appena iniziato la partita salvata quando sentii mia madre chiamarmi a gran voce, io mugugnai qualcosa in risposta senza distogliere lo sguardo dal gioco.  Poco dopo la porta della mia stanza venne spalancata dalla donna in accappatoio che si parò davanti allo schermo con i pugni sui fianchi.

«Ciao mamma.» salutai, sporgendomi per continuare a giocare.

«Samantha! Sono le sette meno venti. Non ti sei ancora preparata?» chiese retoricamente con un accenno di ansia nella voce, «Non te lo ricordi, vero?»

La guardai sorpresa senza capire di cosa stesse parlando. Perché? Cosa dovevo ricordare?

«Stasera siamo a cena da Daryl.» spiegò pazientemente, come se avesse letto i miei pensieri, «Tra mezz'ora vorrei partire.»

Marvin entrò nella stanza tirando la mamma per la cintura dell’accappatoio attirando la sua attenzione. «Mamma, mi allacci le scarpe?» chiese con quella vocina supplichevole e mostrandole i lacci a terra.

«Certamente.» rispose lei accarezzandogli la guancia, poi si rivolse di nuovo a me con voce autoritaria: «Per favore, va a prepararti e aiuta tuo fratello. Grazie.» mi diede un bacio sulla fronte e corse a finire di agghindarsi.

Spensi la console un po' seccata: non si poteva stare tranquilli un secondo in quella casa. Però la curiosità non ci mise molto a prendere il sopravvento dei miei pensieri: la settimana prima quando l'uomo era venuto a cena da noi non avevo avuto l'occasione d'incontrarlo, chissà che impressione avrei fatto quella sera e cosa avrebbe pensato di me. Sperai di non fare brutte figure.

«Semmy,  mi leghi le scarpe?» la voce di Marvin mi distolse da quelle riflessioni.

«Sì, scusa.» mi chinai per fare un fiocchetto al primo paio di lacci.

«Mike è molto simpatico, lo sai?»

«Chi è Mike?» chiesi mentre mi occupavo anche della seconda scarpa.

«Il figlio di Daryl, l'altra volta ha giocato con me. È divertente.»

«Oh. Ma è fantastico, Tesoro.» dissi, sinceramente contenta che avesse trovato un nuovo amichetto. «Ecco fatto, ora puoi andare: sei bellissimo!» aggiunsi scompigliandogli i capelli biondicci e ricevendo come risposta una morfia, prima che corresse via.

Decisi di seguire il consiglio di mia madre, così mi recai nella stanza che preferivo di tutta la casa: la cabina armadio, che più che una cabina era una vera e propria stanza essendo grande quasi quanto la mia camera da letto.

Scelsi d'indossare un paio si jeggins scuri ed una maglietta verde acqua con del pizzo sul retro che lasciava intravedere la schiena, per le scarpe optai invece per il solito paio di Vans basse che lanciai direttamente nella mia stanza approfittando che le due porte si trovassero una di fronte all'altra.

Raggiunsi il bagno per truccarmi con una linea di eyeliner e sistemarmi i capelli biondi, che al momento erano legati in un shignon scomposto, in una treccia che ricadeva leggera sulla spalla sinistra. Feci scoccare le labbra scurite dal rossetto tinta malva e sentii mia madre avvisare che era ora di andare, infilai le scarpe e la raggiunsi insieme a Marvin.

*  *  *

Il “famoso” Daryl ci accolse con un largo sorriso e ci fece accomodare in casa. Marvin (che sembrava avesse già preso confidenza) non esitò a corrergli incontro per saltargli addosso, mentre io rimasi ferma vicino alla porta d'entrata, aspettando che anche mia madre lo salutasse con un leggero bacio sulle labbra.

Quel gesto non mi infastidii (cosa che invece avevo immaginato) lo trovai anzi estremamente dolce, dopotutto mamma meritava di essere felice e quell'uomo sembrava esserne capace. Li vidi arrossire subito dopo essersi accorti che li stavo osservando, lei si aggiustò una ciocca di capelli che era sfuggita dall'acconciatura e il suo volto venne illuminato da uno di quei sorrisi che sembrava non si potessero spegnere mai più.

Mentre sorridevo anche io a quei pensieri, Daryl mi venne incontro stringendomi in un caloroso abbraccio.

«Samantha, finalmente ci incontriamo! Sei ancora più bella di come ti ha descritta tua mamma.» disse, mentre le mie guance si coloravano per via di quella affermazione. «Tu non conosci ancora mio figlio, vero?»  Negai con un cenno del capo. «Marvin, perché non presenti Mike a tua sorella?» chiese al bambino, che rispose con un movimento energico della testa. «È in salotto, di là.»

Marvin mi prese la mano e iniziò a trascinarmi nella direzione indicatogli da Daryl. Notai subito l'individuo con un cappellino da baseball sulla testa che guardava la tv seduto sul divano, constatando delusa e incuriosita allo stesso tempo che non si trattava di un bambino, come invece avevo supposto.

«Ciao Mikey!» salutò mio fratello avvicinandosi, mentre anche mia mamma e Daryl ci raggiungevano. «Vuoi conoscere mia sorella?» chiese poi indicandomi.

Il ragazzo si alzò voltandosi verso di me. Quando riconobbi il viso che si nascondeva sotto alla visiera mi sentii crollare il mondo addosso: non poteva essere vero!

«TU?» esclamammo all’unisono io e il ragazzo, con gli occhi spalancati.

«Vi conoscete?» chiese Daryl un po’ stupito.

«Sì, andiamo in classe insieme.» risposi, fissando lo sguardo torvo e sconvolto del mio compagno di scuola.

«Oh che bello!» intervenne mia mamma con un largo sorriso, poi spostò lo sguardo dal mio a quello di Michael notando forse la leggera tensione che si era creata tra noi. «Samantha, c’è forse qualche problema?»

«Ecco, io…» valutai se dirgli che quello era il ragazzo che mi prendeva di mira a scuola, ma poi ricordai che per lei quella relazione era molto importante e non volevo rischiare di rovinare tutto per una sciocchezza simile, «…io non mi aspettavo di incontrarlo, tutto qui.» accompagnai la frase con un leggero sorriso che la rassicurò.

La serata stava scorrendo discretamente. Daryl aveva preparato un' ottima cena, e dovevo ammettere che i suoi modi con mia madre erano sempre adorabili. Marvin si stava comportando bene. Mentre con Michael ero anche riuscita ad avere una specie di conversazione, sebbene ebbi l'impressione che fosse una montatura per far felice il padre.

Finito di cenare ci fermammo a chiacchierare un po', poi il ragazzo si alzò dal tavolo e fece per andarsene, ma Daryl lo richiamò: «Perché non porti Samantha e Marv…?» Mia madre gli diede un colpetto sulla spalla, l’uomo si voltò a guardare mio fratello che si era addormentato con la testa sul tavolo. «Puoi mettere il piccolo in un posto più comodo, per piacere?»

Michael rispose un po’ scocciato con un cenno del capo. Poi prese delicatamente Marvin in braccio per adagiarlo sul divano del soggiorno stendendogli addosso una coperta (gesto che trovai molto insolito rispetto a come ero abituata a vederlo comportarsi in classe) e lo seguii in camera.

«Fa come se fossi a casa tua, ma non toccare le mie cose!» disse mentre accendeva la sua console.

Io mi misi a spulciare tra i videogame, ignorando le sue ultime parole. Mi lasciai sfuggire un'esclamazione di sorpresa quando trovai tra le varie custodie in plastica verde quella di un gioco di mia conoscenza: “Halo 5”.

Fissai per qualche secondo il video-game, spostai l'attenzione sul ragazzo che teneva gli occhi incollati allo schermo, e poi tornai a fissare la copertina mentre iniziava a frullarmi un'idea in testa.

Dato che dovevo stare lì e che mi stavo annoiando a morte a vederlo fare l’associale e ignorarmi, perché non trovare un modo per passare il tempo insieme?

«Michael, per caso hai un secondo joystick? Ti va di fare una partita?» gli chiesi, mostrandogli il gioco.

Il ragazzo mi guardò spalancando gli occhi incredulo. «Ti piace giocare a questo genere di cose?»

«Mi sembra ovvio: non è unicamente per soli maschi, sai?!» risposi porgendogli la famigerata custodia, «Allora vuoi giocare o hai paura di perdere?»

«Sciocchezze, da qua!» disse con una strana luce negli occhi e uno sguardo di sfida, «Ma non piangere se ti faccio fuori subito.»  aggiunse sicuro di sé.

«Non ci contare troppo.» risposi a tono.

Iniziammo così la partita: l’uno contro l’altra, con insulti gratuiti che volavano ogni volta che uno dei due riusciva ad avere la meglio: che per la “gioia” del ragazzo (o meglio, la mia, visto che mi divertivo un sacco a farlo arrabbiare) ero quasi sempre io.

«Chi è quello che doveva morire subito, eh?» commentai dopo l’ennesima vittoria, punzecchiandolo. «Non ti sei ancora stancato di farti uccidere

«Mi sto solo scaldando.» disse lui visibilmente irritato.

«Non dire cazzate!» continuai ridendo, «Farsi battere da una ragazza ben 9 volte su 12, se i tuoi amici lo venissero a sapere.»

«Ma loro non lo sapranno mai!» disse stringendomi il polso sinistro, per ottenere la mia completa attenzione, e avvicinandosi a me puntando gli occhi grigio-verdi nei miei, sussurrando a denti stretti: «Vero, Harris?»

Inghiottii la saliva che mi si era fermata in gola e fissai quegli occhi colmi di astio, mentre il disagio che mi provocava quella situazione si impossessava di me, ricordandomi le angherie (e i successivi pianti)  che dovevo sopportare quasi ogni giorno in classe.

Si sentì bussare e mia madre si affacciò alla porta tenendo in braccio Marvin ancora addormentato. «Samantha? Si è fatto tardi: dobbiamo andare.»

«Ok, arrivo!» posai il joystik, felice di allontanarmi da Clifford; prima di andarmene mi voltai verso di lui salutandolo con un gesto della mano, «Grazie per la partita. Ci vediamo a scuola.»

Raggiunsi mia madre e tornai a casa sorridendo ancora per la grande batosta che gli avevo dato: non se la sarebbe dimenticata tanto facilmente.

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ANGOLO AUTRICE

Visto che sono felice ho pensato di deliziare voi lettrici/lettori con questa gif che mi mette allegria, per ringraziarvi anche per esservi fermati su questa mia storia... spero vi stia piacendo.

Perché sono felice? Perché oggi (19 settembre) è il mio compleanno, yeah!
*balla per la stanza presa dalle convulsioni ed esultando *

So che non vi interessava ahahah
Scusate e comprendete la mia esuberanza, please, almeno per oggi.

E con questo, al prossimo aggiornamento che sarà il prossimo lunedì (il 26).
Un bacio

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