Capitolo 4
Before You Go
-Lewis Capaldi
Dopo ben due settimane, Emiliano ha abbandato del tutto la mia testa.
O quasi.
Ogni tanto mi ricordo di lui.
Ogni tanto tipo tutti i giorni, ogni volta che fumo una sigaretta. Infatti, sto decisamente fumando di più.
E questa cosa non va bene ma, in mia discolpa, posso dire che mia sorella potrebbe partorire da un giorno all'altro e tutta la famiglia è in trepidazione.
Non vediamo l'ora di avere una piccola Gaia in giro per casa.
Ho chiesto il permesso alla mia tutor di avere una settimana, al costo di lavorare il giorno di ferragosto, e lei ha ben accettato poiché la clinica chiude due settimane per il risanamento di alcuni problemi strutturali e noi seguiremo i pazienti da casa.
Ancora devo capire bene la modalità in cui lavoreremo ma sono contenta di stare insieme alla mia famiglia, soprattutto in un momento così delicato.
E in teoria ho gli ultimi due esami da dare a gennaio e potrei portarmi avanti con lo studio.
Ma è una cosa che non farò mai.
Figuriamoci, chi ha voglia di studiare ad agosto?
Nessuno, ecco chi.
Visto che sono a casa ho deciso di tinteggiare le pareti della stanzetta che accoglierà la mia piccola nipotina.
Sono così elettrizzata all'idea di avere una piccoletta a cui poter acconciare i capelli, comprare vestitini e scarpette.
Quindi, altrettanto elettrizzata, sto andando a comprare l'ultimo vasetto di vernice che mi manca a casa.
Maledetto traffico!
Ho lasciato mia sorella sola, pensando che sarei ritornata subito e invece sono imbottigliata in questa trappola infernale chiamata strada.
Ma non dovrebbero essere tutti al mare a quest'ora?
Osservo l'orologio al polso e noto che sono passati già venti minuti da quando sono uscita di casa e uno strano senso di panico mi assale.
E se le stesse succedendo qualcosa?
Okay, Lara tranquilla.
A quest'ora avrebbe già chiamato.
Spero.
Dopo essermi liberata del traffico e aver comprato ciò che mi serviva, torno subito a casa.
Il mio sesto senso mi suggerisce che sta succedendo qualcosa e lui non sbaglia mai.
Lascio la macchina davanti al cancello, fortunatamente nessuno ha avuto l'idea indecente di fottermi il posto, ed entro in casa correndo.
<<GAIA!>>
Il silenzio rimbomba nella casa apparentemente vuota.
Stringo a me il barattolo in preda all'ansia, facendolo aprire e sporcandomi la salopette di jeans che indosso.
Pazienza, questa salopette è sporca di pittura dai tempi delle superiori. La uso per le mie opere d'arte incomprese.
<<GAIA! Dove diavolo sei?>>
Cucina e salotto sono vuoti, sopra non ci può salire da sola con quella pancia-mongolfiera che ha.
Resta solo il bagno di sotto e il panico mi assale.
Ti prego fai che non sia successo niente.
Apro la porta del bagno come se dietro potessi trovarci un serial killer armato fino ai denti.
Ma quello che vedo è anche peggio.
Mia sorella è sdraiata per terra, priva di sensi, in un lago di acqua.
Oh Gesù.
Mi siedo per terra accanto a lei e le poggio la testa sulle mie gambe.
Afferro un'asciugamano e la bagno sotto il getto della vasca da bagno. Le rinfresco il volto ed il collo, la sua espressione è dolorante e penso che stia per partorire.
<<Non ti permettere a partorire in casa!>>
Afferro il telefono dalla tasca della salopette e chiamo l'ambulanza.
Suona e nessuno mi risponde.
Ma perché tutte a me.
Appena sto per chiudere, innervosita e in preda al panico, sento una voce che conosco ma non riesco a capire di chi è.
Poco importa.
<<Grazie al cielo. Senta salve, mia sorella sta per partorire ma non è molto cosciente. Non so cosa fare, la prego.>>
Dopo minuti passati al telefono in cui l'infermiere mi tranquillizzava e mi chiedeva di aggiornare lo stato della paziente, sento le sirene dell'ambulanza.
Appoggio delicatamente la testa di mia sorella sull'asciugamano bagnato e corro ad aprire il portone.
Due uomini più alti della torre di Pisa entrano in casa mia e corrono verso il bagno.
Decido di lasciarli lavorare mentre corro al piano superiore a prendere il borsone pronto da giorni.
O mio Dio, non ci sto capendo niente.
Devo chiamare i miei genitori, mio fratello e mantenere la calma.
Andrà tutto bene.
Scendo gli scalini a due a due, rischiando di rompermi l'osso del collo più volte.
Va bhe, tanto i paramedici sono già qui.
<<Viene in ambulanza con noi? Dobbiamo fare velocemente, è già in travaglio.>>
Sgrano gli occhi e annuisco soltanto.
Mi ritrovo seduta accanto al paramedico più basso mentre tengo la mano di mia sorella.
Adesso è cosciente ma in preda ad un dolore atroce.
Sentirla gridare così mi fa venire da piangere.
I movimenti dell'ambulanza la fanno soffrire ancora di più e spero che tutto questo finisca presto, sia per lei che per la mia povera mano.
Dovranno amputarla.
L'ambulanza si ferma e lo sportello si apre immediatamente.
Le due torri di Pisa, così ho soprannominato i due paramedici, scendono la barella e la spingono dentro il pronto soccorso senza considerarmi minimamente.
Li seguo correndo ma appena arrivo dentro la piccola sala d'aspetto, la porta che da sulle stanze del pronto soccorso si chiude.
Maledizione.
Afferro il cellulare con mani tremanti e compongo il numero di mio padre.
Ci penserà lui ad avvisare il resto della famiglia.
Neanche il tempo di aspettare il terzo squillo, che risponde.
Che velocità.
<<Amore, fai veloce sono a lavoro.>>
Tiro su con il naso, l'ansia mi fa piangere sempre.
Che palle.
<<Papà.>>
Sento un fruscio e poi una porta sbattere.
<<Gaia sta bene?>>
<<Sì, siamo al pronto soccorso dell'ospedale vicino casa. Penso che stia partorendo e...>>
<<Arrivo. Chiamo io gli altri, tu stai tranquilla.>>
Annuisco e chiudo la chiamata.
Dalla porta principale vedo entrare la ginecologa di mia sorella e altre due donne.
Oggi vanno tutti di fretta.
Oddio che ansia.
Mi siedo in sala d'aspetto e mi guardo intorno. È tutto così asettico e pulito.
<<Tu sei Lara?>>
Alzo lo sguardo su un'infermiera di mezza età e annuisco, alzandomi subito.
Lei mi sorride amorevolmente e mi fa cenno di seguirla.
Quando entro nel corridoio che porta alle stanze, il panico aumenta a dismisura.
Soprattutto quando lo vedo appoggiato al muro dopo settimane di ricerche da stalker sui social e tra la gente che scontravo per sbaglio.
Quello è Emiliano.
Il suo sguardo si posa su di me e gli occhi gli si sgranano quando gli passo accanto.
Ha gli occhi blu.
Ho visto i suoi occhi!
Troppe emozioni oggi. Troppe.
<<Se non c'è mia sorella non partorisco proprio un bel niente, capito brutta stronza?!>>
Ridacchio entrando nella stanza.
Prendo la mano di Gaia e le sussurro che sono con lei, come sempre.
<<Deve partorire qui. Vedo già la testa, non c'è tempo di trasportarla al reparto di ostetricia.>>
Il caposala, penso, annuisce ed esce dalla stanza, scoccando un'occhiata a noi due e sorridendomi.
<<Okay Gaia. Ricordi? Inspira e spingi. Il più forte che puoi.>>
La vedo male per la mia mano. Malissimo.
Io ispiro insieme a lei, soffro insieme a lei e sarà così per tutta la vita.
A distanza di minuti interminabili, la ginecologa decide di fare qualcosa di utile.
<<Sei bravissima, un altro sforzo...>>
<<CRISTO SANTO.>>
Ahia. La mia povera mano.
Le accarezzo i capelli e la incoraggio con lo sguardo.
Non so neanche cosa fare, cosa si fa?
Un grido mi intorpidisce l'orecchio sinistro, mentre le sue unghie si infilzano nella mia carne.
Subito dopo, la stanza viene invasa dal pianto di un bambino.
Gaia scoppia a piangere e io l'abbraccio.
Concedendomi solo due lacrime.
Ma chi ci crede, sto piangendo più di lei.
<<Vuoi tagliare tu il cordone?>>
Mi guardo intorno cercando di capire con chi sta parlando e noto che alla porta della stanza ci sono il caposala e altri quattro infermieri, tra cui Emiliano che mi sta palesemente squadrando da testa a piedi.
Ha gli occhi blu.
<<Lara?>>
La ginecologa richiama la mia attenzione, sventolando la sua mano paffuta davanti la mia faccia.
Un attimo, stavo controllando se il mio sogno fosse realmente reale.
<<Eh?>>
Sbatto le palpebre un paio di volte, scossa da tutta questa situazione.
<<Ti ho chiesto se vuoi tagliare il cordone.>>
Sangue. Oddio.
<<No, no grazie. Eviterei di svenire in questo momento.>>
Lei mi sorride comprensiva e fa quello che è giusto fare.
Io non guardo perché c'è troppo sangue.
<<Lara.>>
Riprendo la mano di Gaia e la bacio.
<<Ce l'ho fatta.>>
Sorrido e mi asciugo una lacrima.
<<Avevi dubbi?>>
Annuisce e mi sorride.
<<Ho avuto paura. Ma poi sei arrivata tu.>>
Inizio a piangere di nuovo e la stringo forte.
Non mi interessa che è sudata, che puzza o che le faccio male.
È mia sorella, è metà della mia anima e per sempre sarà così.
Dopo qualche minuto le danno la bambina e tutti abbiamo occhi solo per lei.
È così bella, con questi occhioni spalancati e verdi, come quelli di sua madre.
<<Ciao piccolina.>>
La sua mano stringe il mio mignolo e il mio cuore scoppia di gioia.
L'infermiera interrompe questo momento d'amore con una delicatezza inesistente.
<<Gaia, come la chiami? Ci sono un po' di scartoffie da scrivere.>>
Lei mi osserva e faccio cenno di parlare.
<<Aurora, Aurora Bianchi.>>
L'infermiera scrive queste informazioni e aggrotta le sopracciglia.
<<Bianchi non è il tuo cognome?>>
Lei annuisce un po' a disagio ma, fortunatamente, l'infermiera non pone altre domande.
Meglio per lei.
<<Signorina, può uscire? Così sistemiamo sia la bambina che la madre e poi può rientrare per la visita.>>
Annuisco, iniziando a levare il camice che mi hanno messo, neanche me ne sono accorta.
Lo butto nel cestino accanto alla porta, lancio un'occhiata a Gaia e alla bambina e, sorridendo, esco fuori.
Mi siedo sui gradini all'ombra e prendo il pacchetto delle sigarette di Emiliano. Lo rigiro tra le mani e sorrido come una demente. L'ho trovato, forse la mia testa si metterà in pace ora.
<<Alla fine non le hai fumate?>>
La sua voce mi prende alla sprovvista e il cuore mi sale in gola.
<<Le conservavo per un'occasione speciale.>>
Si siede accanto a me ed esce il pacchetto delle sigarette, offrendomene una.
La accetto e gli porgo il suo accendino, quello nero.
Ridacchio quando noto la sua espressione stupita e inizio a godermi questa sigaretta un po' più speciale delle altre.
<<Stai bene con le trecce.>>
<<Grazie.>>
<<Figurati.>>
Gli sorrido e sposto lo sguardo su un bambino poco lontano da lì che scappa dalle grinfie del padre pur di non farsi legare al seggiolino.
Mi sento osservata. Mi sa che la situazione si è capovolta.
<<Tutto okay?>>
Lui ride sonoramente e scuote la testa.
<<Pensi di usare le mie frasi contro di me?!>>
Annuisco con fare presuntuoso e rido poco dopo.
Sulle guance gli spuntano due fossette e io penso che dopo questo non riuscirò a non pensarlo per altre due settimane.
Altro che il mettersi il cervello in pace.
<<Non mi aspettavo di rivederti proprio al pronto soccorso.>>
Alzo le spalle e lo osservo, spegnendo la sigaretta sotto le mie converse.
<<Non sporca di pittura rosa e in preda al panico, almeno.>>
Rido e noto che il suo sguardo non mi lascia per un attimo.
È proprio bello.
Simpatico, volevo dire simpatico.
Si porta il pollice alle labbra e, poco dopo, lo avvicina alla mia guancia.
La tensione si potrebbe tagliare con un coltello, ma che dico. Con una motosega.
<<Avevi un po' di pittura.>>
Arrossisco e scosto lo sguardo.
La mia pelle sta andando a fuoco esattamente nel punto dove ha appoggiato quel suo dannato dito.
Fortunatamente mio fratello mi salva dall'imbarazzo, arrivando proprio in quel momento con mia madre.
Mi alzo di corsa e corro verso di loro.
Getto le braccia al collo di Diego e lo stringo forte, scoppiando a piangere.
<<Sono qui. Non piangere, è andato tutto bene.>>
Mia madre mi accarezza i capelli e mi bacia sulla guancia, per poi avviarsi all'interno del pronto soccorso.
<<Non puoi capire, l'ho trovata in una pozza di acqua e priva di sensi. Ero andata a comprare la pittura che avevo finito e dovevo tornare subito ma c'era traffico e io...>>
Mi zittisce con la mano e mi abbraccia di nuovo.
E anche se fa caldo, i suoi abbracci sono sempre una sicurezza nella vita.
Lo sportello di una macchina sbatte con violenza e dei passi veloci si avvicinano a noi.
Ed è così che passo ben dieci minuti tra le braccia rassicuranti di mio padre.
Tra i suoi "calmati, smettila di piangere." e "fumiamoci una sigaretta" io riesco a calmarmi del tutto e voglio solo vedere mia sorella.
Dopo che sono entrati mamma e Diego, ora tocca a me e papà.
Ma decido di lasciare un po' di tempo a quei due e cerco Emiliano con lo sguardo.
Lo trovo appoggiato alla ringhiera con una sigaretta tra le mani, vestito normalmente.
Ma quanto diavolo fuma?
Mi avvicino a lui con le mani nelle tasche e mi appoggio alla ringhiera, imitandolo.
Speriamo che non ceda.
<<Eri tu?>>
Aggrotta le sopracciglia e butta via la sigaretta, ancora a metà.
<<Al telefono, quando mi tranquillizzavi mentre aspettavo l'arrivo dell'ambulanza. Eri tu?>>
Lui mi guarda fisso negli occhi e un brivido scorre lungo la mia spina dorsale.
<<Sì.>>
Annuisco e guardo mio fratello, che probabilmente mi stava cercando.
Alza le mani in aria e, con un sorriso da un orecchio all'altro si leva dalla mia vista, chiedendomi scusa con il labiale.
Idiota.
<<Grazie.>>
<<Ti avevo riconosciuta. Cioè, il mio subincoscio sapeva di conoscere quella voce ma non collegava il volto.>>
La sua voce è imbarazzata ma anche confusa.
Lo capisco, è successo anche a me, solo ora mi sono resa conto che fosse lui.
Chi altro potrebbe avere una voce bella come la sua?
Okay, la smetto.
<<Grazie ancora.>>
Si passa una mano tra i capelli e abbassa gli occhiali da sole.
<<Non c'è bisogno che tu mi dica grazie.>>
Lo osservo ancora e spero di rincontrarlo.
Visto che la situazione è tornata imbarazzante, decido di andare da mia sorella per squagliarmela in qualche modo.
<<Vado da mia sorella. Ci si vede in giro allora...>>
Annuisce e mi fa un cenno con il capo.
Mi giro verso la porta, sorridendo come una bambina appena scesa dalla giostra, ma una mano afferra il mio polso facendomi fermare.
Mi giro ed Emiliano mi sta fissando, senza occhiali da sole.
La sua mano è calda sul mio polso e penso che non mi laverò mai più quella parte del corpo.
<<Prima che tu vada...>>
Alzo un sopracciglio per esortarlo a continuare.
Per favore, prima che mi venga un infarto.
Tra il suo sguardo, la sua mano, il suo profumo e la sua voce non mi resta molto tempo.
<<Ti va se... Se ci scambiamo i numeri di telefono?>>
Per tutte le marmotte. Sta succedendo davvero?
Annuisco con tutta velocità ma in questo momento sto letteralmente volando tre metri sopra il cielo.
Dopo esserci scambiati i numeri accompagnati da tanto imbarazzo, lui è finalmente andato via e io posso tornare a respirare normalmente.
Non ci credo.
<<Ma come è possibile che fai breccia nel cuore di tutti. Devo iniziare a parlare con qualcuno?>>
Alzo gli occhi al cielo quando Diego inzia la solita storia, ogni volta che un ragazzo osa rivolgere la parola alla "sua piccola sorellina" lui inizia a rompere.
Se sono single è colpa sua.
Di Diego e di quello stronzo di Damiano.
<<Lasciala stare Dié. È grande abbastanza.>>
Mamma mi fa l'occhiolino e io la ringrazio con un bacio volante.
Diego sbuffa e sussurra una frase che non capisco, ma non mi interessa.
Ho il numero di Emiliano.
Altro che statua d'oro...
Quando papà ci raggiunge, con gli occhi tutti rossi, posso finalmente andare da mia sorella.
Devo raccontarle questa cosa prima che mi metta a saltare per tutto il corridoio.
Busso piano alla porta della stanza ed entro senza aspettare un "avanti".
<<Come stai?>>
Gaia ha un sorriso meraviglioso e mi sembra più bella di prima mentre tiene al seno la sua piccola.
<<Bene. Sono contentissima Lara. Sto volando.>>
Sapessi io, sorella.
Rido delle sue frasi senza senso e mi siedo accanto a lei, osservando quella bellissima bambina.
Caspita se è bella.
<<Ti ho fatto male alla mano?>>
Osservo la mano leggermente gonfia e alzo le spalle.
<<Non è niente.>>
Gaia mi osserva per qualche minuto in silenzio, con quello sguardo che conosco bene.
Mi sta leggendo dentro e sta cercando di capire cosa è successo.
<<Ti ricordi quando ti ho raccontato di quel ragazzo sulla spiaggia, delle sigarette?>>
Lei annuisce incuriosita.
<<Bhe, dopo settimane estenuanti spese in ricerca da vera stalker, l'ho trovato.>>
Sgrana gli occhi e inizia a dimenarsi sul letto, infastidendo la bambina.
<<No vabbhe. Dove, quando?>>
Rido della sua voglia di sapere e decido di raccontarle tutto, senza prolungare l'attesa.
<<È un infermiere di questo pronto soccorso. Quello bello, alto, occhi blu...>>
Distolgo lo sguardo da lei perché mi imbarazza troppo la sua espressione malandrina.
<<Quello che avevo puntato.>>
Alzo gli occhi al cielo e mi metto a ridere. Lei punta tutti e alla fine non parla mai con nessuno.
<<Ci siamo scambiati i numeri di telefono.>>
<<COSA?!>>
Alzo le spalle e sorrido innocente.
<<Vi siete scambiati anche l'herpes?>>
<<Ma la smetti?!>>
Lei mi spintona un po' e mi guarda sempre con quella espressione, come se sapesse già tutto.
<<Te l'ha chiesto lui?>>
Annuisco.
Io che non ho il coraggio di tagliare un cordone ombelicale, secondo lei potrei chiedere a un mezzo sconosciuto il numero di telefono?
Bha. Illusa.
Posa Aurora nella sua cullettta con pacatezza e rivolge tutta l'attenzione a me.
<<Puoi smettere di guardarmi così?>>
<<Così come?>>
<<Come se avessi capito tutto.>>
Ridacchia e si sdraia sul letto.
Solo che dopo un po' il suo sorriso si spegne.
C'è qualcosa che non va.
<<Ho scritto un messaggio a Fabio.>>
<<Perché hai scritto a Fabio lo stronzo?>>
Lei mi osserva e alza un sopracciglio, facendomi intuire un "secondo te, brutta idiota?!".
Giusto, lo ha informato della nascita di sua figlia.
<<Sai cosa mi ha risposto?>>
Nego con la testa e le asciugo una lacrima.
<<Auguri.>>
Che stronzo.
Non solo l'ha lasciata quando lei gli ha detto di aspettare un bambino, palesemente suo, accusandola di averlo tradito quando era lui che metteva le corna a mia sorella. Ora si permette anche di fare lo spiritoso.
<<Se vuoi possiamo andare a picchiarlo insieme.>>
Lei ridacchia e nega.
<<Voglio stare un po' sola. Ti dispiace?>>
Mi alzo, le sorrido e le do un bacio sulla fronte.
<<Ti voglio bene.>>
<< Anche io.>>
Quando raggiungo i miei, decido di farmi accompagnare a casa da mio fratello.
Gaia verrà dimessa tra pochissimo e sta sera mio fratello e la sua famiglia ceneranno da noi.
Vorrei almeno lavarmi, non chiedo tanto.
Il tragitto è più breve del previsto e appena raggiungo la mia stanza mi butto sul letto.
Sono così felice.
Il telefono vibra nella mia tasca e lo prendo all'istante mentre il mio primo pensiero va a Gaia.
Ma non è lei, sullo schermo appare il nome di Emiliano.
Ed ecco un mini infarto pronto a colpire il mio debole cuoricino.
Decido di rispondere dopo la doccia, se no sembra che lo stavo aspettando e così non è.
Vero?
Mi sciacquo velocemente e con l'acqua fredda.
Quando torno in stanza, ancora avvolta nell'accappatoio, decido di rispondere.
Ho già perso troppo tempo.
Emiliano: Mi sono dimenticato di farti gli auguri per tua nipote! Perdonami..
Lara: Grazie mille! Io mi sono dimenticata di ristituirti l'accendino
Blocco le schermo e cerco qualcosa da mettere.
Tiro fuori una tutina di cotone e penso che vada più che bene.
La indosso velocemente e mi getto sul letto pronta a parlare con Emiliano.
Potrei anche farlo per tutta la vita.
Emiliano: È tuo. Prendilo come un regalo da parte mia.
Lara: Ma gli accendini sono fondamentali, io li perdo sempre ahah
Emiliano: Questo cerca di non perderlo. Ci tengo ;)
Lara: D'accordo, starò attenta.
Emiliano: Brava. Hai visto che il destino ci ha fatto rincontrare?
Il mio cuore perde un battito e non riesco a stare tranquilla e sdraiata contemporaneamente.
Lara: non credo molto nel destino.
Emiliano: Dovresti, a quest'ora non saremmo qui a chattare ;)
Lara: Hai ragione... Assurdo.
Emiliano: Non poi così tanto.
Mando solo un emoji che sorride e spengo lo schermo.
Forse ha ragione lui. Forse dovrei iniziare a credere un po' di più nel destino.
Magari è la strada giusta, magari mi porterà a qualcosa che neanche immagino.
E, ora come ora, ho un bisogno viscerale di andare avanti.
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