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Capitolo 22

Wait
-M83



<<Ti amo anche io, Emiliano.>>
Chiude gli occhi, con un sorriso ancora stampato sul viso ed io appoggio l'orecchio sul suo cuore.
Batterà ancora, lo farà per me.
<<Resta con me.>>
Le lacrime non smettono di scendere e sento un dolore atroce allo stomaco.
Come se mi stessero strappando le interiora.
Non ci posso credere che stia morendo tra le mie braccia, non ci voglio credere.
Eppure sta succedendo.
Il suo respiro diventa sempre più affannoso e pesante, gli tengo la mano e gli accarezzo il volto pallido.
Ti ricorderò per sempre amore mio.
Il mio cuore sembra scoppiare nel petto quando la consapevolezza che il suo cuore si è fermato mi travolge.
<<No...>>
Gli do un paio di schiaffetti sul viso e mi aspetto che apra i suoi bellissimi occhi blu, che tanto ho cercato, e che mi dica una battutina stupida delle sue.
Ma non succede.
No.
<<NO.>>
Il mio urlo squarcia il silenzio che mi circonda.
Brividi di freddo percorrono il mio corpo.
Se ne è andato.
Scoppio a piangere e vengo scossa da potenti singhiozzi che non mi permettono neanche di respirare.
Il cuore si stringe in una morsa e i miei polmoni bruciano mentre ricercano ossigeno.
No, no, no.
Non è vero.
<<Emiliano svegliati.>>
Lo scuoto dalle spalle ma non reagisce.
Affondo il volto nel suo collo e ne respiro per l'ultima volta il suo profumo, mi godo il suo calore che pian piano sta scomparendo.
Tutto per l'ultima volta.
Non riesco a fare altro se non a piangere sul suo corpo.
L'hanno ucciso.
Loro hanno ucciso l'unica persona che mi abbia amato veramente, avevamo tanto ancora da vivere insieme invece questa opportunità mi è stata strappata via per una stupida vendetta.
Perché?
Perché proprio lui, perché proprio noi?
Per caso, amare o vivere non sono più diritti?
Perché me l'hanno strappato dalle mani così?
Perché questo mondo deve fare schifo?
Voglio Emiliano qui con me, voglio che si svegli e che mi dica che stava scherzando che non è vero che è morto tra le mie braccia.
Voglio rivedere il suo sorriso, voglio rivederlo fumare, voglio ridere e scherzare con lui.
Voglio avere la possibilità di crearmi una famiglia con lui.
Voglio invecchiare con lui.
Perché non posso?

Resto così per non so quanto tempo, seduta con la testa appoggiata alla sua spalla come se stesse dormendo.
Non ho smesso di piangere neanche per un minuto e non so se mai smetterò, non credo sia possibile smettere di soffrire per qualcuno che si ama.
Perché lui non meritava una fine del genere, noi non lo meritavamo.
Doveva ancora realizzare il suo sogno di pubblicare un libro, voleva viaggiare e scoprire il mondo, voleva vivere la sua vita ma una stupida vendetta me l'ha portato via.
Natasha si accovaccia davanti a me, ha gli occhi lucidi.
Lei ha gli occhi lucidi.
Ma come si permette?
Giuro che se versa una lacrima le spacco la testa allo spigolo di questa fottuta vasca.
<<Alzati.>>
<<Fottiti.>>
<<Basta! Sei qua da ore ormai, è morto Lara!>>
La uccido con lo sguardo, vorrei che morisse all'istante lei.
Lei e tutti quegli stronzi che stanno guardando dalla porta.
Non possiamo fare uno scambio? Questi quattro per avere indietro il mio Emiliano.
<<Non è morto. L'avete ucciso, il che è diverso.>>
Natasha rabbrividisce alle mie parole.
Evito di prestarle altra attenzione e rivolgo il mio sguardo ad Emiliano.
Un conato di vomito sale improvvisamente quando vedo le sue labbra ormai blu.
Non ce la faccio, devo uscire da qui dentro.
Devo uscire da questa topaia, svegliarmi da questo incubo e tornare a vivere la mia vita con lui.
È solo un brutto sogno.
Non voglio ricordarlo così.
Voglio ricordarlo pieno di vita, sorridente, innamorato di me e di nostro figlio.
Chiudo gli occhi e gli lascio un bacio sulla fronte fredda mentre una mia lacrima cade sulla sua guancia.
Buon viaggio, amore mio.

Non so dove trovo le forze per alzarmi da terra.
Non lo guardo un'ultima volta.
Non ci riesco.
Invece guardo negli occhi, uno ad uno, coloro che l'hanno ucciso.
Giulio guarda un punto fisso nel vuoto ed evita il mio sguardo.
Peccato, magari moriva sul colpo.
Michele e Ciro hanno gli occhi rossi.
Spero sia dovuto all'erba e non ad un pianto perché potrei non rispondere delle mie azioni.
Odio tutti qui dentro.
Odio Giulio perché la sua cattiveria è spropositata.
Non gli bastava aver fatto del male ad un intera famiglia, e chissà a quante altre, adesso ne può aggiungere un'altra alla sua lunga lista.
Odio Ciro perché era amico di Emiliano e l'ha tradito alle spalle, l'ha ingannato e ha sputato sul senso vero e proprio dell'amicizia.
Lui non sa neanche che significa la parola amicizia.
Ma più di tutti, odio Michele.
Lui per Emiliano era un fratello ed invece è stato il più subdolo.
Dormivano sotto lo stesso tetto, lavoravano insieme e condividevano gioie, paure, emozioni.
Lui invece di sputarci, ci ha proprio vomitato sul senso dell'amicizia.
Non auguro la morte a nessuno dei tre, anzi spero che nessuno di loro vivrà mai un dolore tale perché non è sopportabile umanamente.
Infatti, non solo mi sento mancare la terra da sotto i piedi, sembra che qualcuno abbia strappato tutta la parte sinistra del mio torace, compreso il cuore.
Lo hanno preso, calpestato e buttato tra le fiamme.
Non lo sento più.
Non sento più niente.

Mi faccio spazio tra questi tre dando spallate.
Voglio sdraiarmi su quello schifo di letto e dormire.
Riposare la mente e il cuore.
Mentre cammino mi sento un'automa, la mia testa sta esplodendo e il resto non lo sento più.
Sento che mi stanno seguendo e non ho voglia di stare sotto controllo ancora.
<<Non scapperò, tranquilli. Non ne ho la forza.>>
Il silenzio mi accoglie mentre mi sdraio sul letto, rivolta con il viso verso il muro.
Chiudo gli occhi e rivedo nella mia testa gli occhi di Emiliano, il suo sorriso e le sue labbra.
Urlo, squarciata dal dolore.
Urlo per liberarmi della sua mancanza.
Urlo e piango finché ne ho le forze.
Lo voglio qui con me a ridere, a litigare, a piangere.
Urlo e piango finché non sono stremata e mi addormento sfinita.

Mi sveglio di colpo con l'immagine del corpo di Emiliano che mi invade la mente.
No, no vai via da qui.
Mi guardo attorno cercandolo con lo sguardo ma lui non è qui.
Sono sola adesso.
Natasha è seduta su una sedia e mi osserva, purtroppo c'è ancora lei.
<<Ti ho portato qualcosa da mangiare.>>
<<No grazie, non ho fame.>>
Torno a darle le spalle e mi metto a fissare le crepe nell'intonaco del muro.
Non mangerò niente cucinato da questi soggetti.
Come minimo c'è qualche cosa per uccidermi all'interno di quella minestra.
Oltre al pessimo odore.
<<Sei incinta, devi mangiare.>>
La ignoro completamente.
Mangiare è l'ultimo pensiero che ho in questo momento.
Voglio solo essere salvata e tornare a piangere nel letto che non ha fatto in tempo a essere mio e di Emiliano.
Abbiamo passato solo due ore in quella casa ma voglio tornarci.
Ci sono tutte le sue cose e non voglio che le gettino via per disperazione.
Voglio conservare tutto dentro uno scatolo, ci metterò anche il mio cuore in modo che non possa più innamorarsi o soffrire per qualcuno.
Anche se gli ho promesso di vivere ancora, non so quanto tempo ci vorrà prima che io riesca a mantenere questa promessa.
E se mai lo farò.
<<Natasha mi ha detto che non mangi.>>
Mi giro verso Michele, alzo gli occhi al cielo e torno a seguire le crepe dell'intonaco con le dita.
Mi rilassa incredibilmente.
<<Devi mangiare.>>
Ridacchio innervosita dal controsenso dei loro ragionamenti.
Ma serio?
<<Prima mi inganni, poi mi rapisci, poi mi uccidi il fidanzato e ora vuoi anche sfamarmi?>>
Michele rimane in silenzio a fissarmi negli occhi.
<<Sì certo...>>
Esce sbattendo la porta e torno nel mio assoluto silenzio e senso d'angoscia.

Mentre mi sto crogiolando nel mio dolore, sento un rumore che mi fa accaponare la pelle.
Era uno sparo quello?
Mi metto seduta sul letto e porto le gambe al petto.
Tutto adesso è in silenzio e mi cresce un'ansia assurda.
La porta viene spalancata e Ciro entra con una pistola in mano.
Mi afferra e mi tira davanti a lui.
<<Tu mi farai da scudo.>>
Aggrotto le sopracciglia senza capire a cosa si riferisce.
Almeno finché non entrano sei poliziotti armati e con il giubbotto anti proiettile.
Ma sono finita in un poliziesco per caso?
Ciro mi punta la pistola alla testa e mi sento morire.
Ma che cazzo sta succedendo nella mia vita?
<<Abbassate le armi, è Lara.>>
Tutti abbassano le armi mentre io prendo a tremare tra le braccia di Ciro.
<<Lasciala. Avete già fatto troppi danni.>>
Mi viene da piangere ma non ho più le lacrime e la forza per farlo.
Guardo il poliziotto con uno sguardo implorante.
<<No. Non l'avrete. Almeno, non viva.>>
Mette il proiettile in canna e preme di più sulla mia tempia.
Ma che ho fatto di male?
<<Ciro, non peggiorare la situazione. Vi cerchiamo da due anni, sappiamo tutti i vostri spostamenti e vi siete incastrati da soli con questo rapimento.>>
<<Dici solo cazzate.>>
Uno sparo mi fa accaponare la pelle e penso di essere morta.
Solo quando Ciro si fa più indietro capisco di essere ancora viva e che quello sparo veniva da fuori.
La stanza si svuota e restiamo solo io, Ciro e il poliziotto.
L'hanno lasciato solo?
<<Sei solo ormai.>>
<<Lasciala.>>
Basta, mi sono rotta le palle di questi due che battibeccano.
Gli schiaccio il piede con il tallone e lui sembra essere preso alla sprovvista da questo mio gesto.
Senza pensarci due volte mi accovaccio su me stessa mentre il poliziotto spara a Ciro ad una gamba.
Resto con la testa tra le braccia finché il poliziotto non si avvicina e mi fa alzare da terra.
<<Come stai?>>
Annuisco e guardo Ciro steso a terra.
<<È ancora vivo.>>
<<Non mi interessa.>>
Sembra stupito dalla mia risposta così fredda.
Io invece sono contenta che si sia beccato almeno un proiettile.
<<Aspettiamo il segnale per uscire dalla stanza.>>
Annuisco e mi siedo sul letto con le gambe al petto.
Appoggio il mento sulle ginocchia e tremo per il freddo che sento.
Il poliziotto si leva il giubbotto e me lo porge, senza pensarci due volte lo indosso.
Un profumo pungente mi arriva dritto alle narici e non posso fare a meno di paragonarlo al profumo più dolce di Emiliano.
Un lamento proviene dal pavimento e mi sporgo a guardare.
Ciro si sta svegliando, evidentemente la botta che ha preso alla testa nella caduta ha fatto poco effetto.
Il poliziotto mi lancia un'occhiata e mi dice di farmi indietro.
Poi gli punta la pistola dritta sulla faccia.
<<Amico, sono innocuo.>>
<<Raccontala a qualcun'altro questa immensa cazzata.>>
Uno sparo.
Due spari.
Non è stato il poliziotto che è qui con me a sparare ma qualcun'altro fuori da qui.
<<Dobbiamo uscire, sono vicini.>>
Scorro verso il bordo del materasso e appoggio i piedi a terra.
Mi sento congelare, non penso di riuscire a stare in piedi da sola.
Non ne ho le forze.
Mi sto quasi per schiantare al suolo quando il poliziotto mi stringe a sé e mi sorregge.
<<Ti porterò fuori da qui prima che te ne renda conto.>>
Apre la porta con la stessa mano con cui tiene la pistola.
Dopo aver guardato a destra e a sinistra, esce nel corridoio e va verso la parte opposta rispetto a dove si trova Emiliano.
Se avessi le forze gli urlerei di recuperare il suo corpo.
Ma non ce la faccio.
Sento urla, spari e passi che corrono ma sono troppo confusa per capire di chi si tratti o di dove si trovino.
Dopo qualche attimo la luce mi acceca, è quasi l'alba e il sole non è ancora totalemente sorto.
Sento il profumo del mare, dell'aria pulita e faccio forza per far fermare il poliziotto.
<<Aspetta.>>
Lui mi guarda incuriosito mentre respiro a pieni polmoni un po' di aria fresca, mentre mi godo questo piccolo attimo di felicità che viene sommerso dalla consapevolezza che Emiliano non potrà mai più sentire il profumo e il rumore delle onde del mare.

Il poliziotto mi sta portando in braccio verso un gruppo di persone, ferme vicino un'ambulanza.
Non voglio andare in ospedale, no se lui non è lì a prendersi cura di me.
<<Chi sono?>>
<<I tuoi genitori, i tuoi amici e i medici.>>
<<No, non li voglio i medici.>>
Lui resta in silenzio per tutto il tragitto.
Quando siamo molto vicini, mi posa per terra e barcollo un po' prima di riappoggiarmi al suo petto.
<<Dov'è Emiliano?>>
Camilla mi guarda con gli occhi pieni di lacrime e so già che sto piangendo a dirotto.
Ringrazio il poliziotto di non avermi mollata un attimo, sarei già a terra senza la sua presenza costante dietro di me.
<<Non è possibile!>>
Camilla inizia a correre verso la topaia che mi ha ospitato per non so quanto tempo ma due poliziotti la fermano in tempo.
Lei piange, si dispera mentre si accovaccia per terra.
Nessuno la consola.
È sola come lo sono stata io là dentro mentre suo fratello mi moriva tra le braccia.
Faccio un passo verso di lei e mi accovaccio per abbracciarla.
Singhiozza, piange e urla e vorrei tanto continuare anche io a farlo.
Ma adesso è il suo turno.
Il dolore esige di essere vissuto.

Dopo non so quanto tempo, i paramedici mi alzano da terra e mi fanno sedere sull'ambulanza.
Ho le labbra viola dal freddo e non riesco a riscaldarmi in nessun modo, neanche con la loro coperta termica.
I miei genitori mi guardano da lontano, sanno che ho bisogno del tempo per me, sanno che sto soffrendo.
Camilla invece è seduta nella macchina dei poliziotti con lo sguardo perso nel vuoto.
La capisco, anche io mi sento svuotata completamente delle mie forze.
Il poliziotto che mi ha salvata si avvicina a me con un bicchiere fumante in mano.
<<Tieni, ti riscalderà.>>
Afferro il bicchiere di carta e un tepore invade le mie mani gelide.
<<Grazie.>>
Alza le spalle e sta per andare verso i suoi colleghi quando il mio stomaco inizia a brontolare.
Non mangio niente da non mi ricordo quando.
<<Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?>>
<<Se si può, sì. Grazie...>>
<<Edoardo.>>
Gli sorrido grata e torno a bere il mio the con un senso di vuoto nel cuore.
Mia madre si avvicina e appena la vedo, mi alzo e le corro incontro.
Mi tuffo tra le sue braccia ed un po' mi sento rincuorata dal suo affetto.
<<Oh, piccola mia...>>
Singhiozzo sul suo petto mentre lei mi accarezza i capelli.
Non ce la faccio a stare qui senza di lui, preferirei essere morta.
Mi sento in colpa ad aver pensato una cosa del genere, per i miei e per i miei amici.
Però sono davvero devastata, vorrei solo staccare la spina da tutto e prendermi del tempo per me.
<<Signorina, le ho portato un panino.>>
Mi stacco da mia madre, le sorrido e noto i suoi occhi lucidi che mi fanno riprendere a piangere come una scema.
<<Su forza, va a mangiare.>>
Annuisco e mi vado a risedere sull'ambulanza.
Edoardo mi poggia il panino sulle cosce e lo ringrazio mentalmente.
Anche se non ho molta voglia di mangiare mi sforzo di scartarlo e addentarlo.
Il poliziotto si siede accanto a me e fissa un punto indefinito della struttura in cui mi trovavo.
<<Quanto tempo sono stata lì?>>
<<Cinque giorni.>>
<<Davvero?>>
Annuisce e si passa una mano tra i capelli.
Dopo un po' stringe la mascella e scatta in piedi, si allontana velocemente dall'ambulanza e si avvicina ai suoi colleghi che stanno uscendo da quello fottuta topaia.
In manette ci sono due ragazzi che non conosco, Natasha, Ciro che viene trascinato con poca grazia e Michele.
Di Giulio non c'è traccia.
<<Cazzo.>>
Edoardo si siede di nuovo vicino a me e non capisco cosa stia succedendo onestamente.
<<Che succede?>>
<<Giulio si è chiuso nel suo ufficio. Non sappiamo ancora che intenzione abbia. Finisci velocemente il tuo panino, devo portarti via da qui.>>
Accartoccio il mio panino e lo metto nel sacchetto, stringo la coperta termica addosso e mi alzo in piedi sotto lo sguardo indagatore del poliziotto.
<<Andiamo?>>
Lui non se lo fa ripetere due volte e, dopo aver parlato con i paramedici che insistono per portarmi in ospedale, mi fa salire in auto.

Durante il tragitto mi limito ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino e a non cercare di scoppiare in lacrime.
<<Ti porto alla stazione di polizia.>>
Annuisco e lo osservo per qualche secondo.
Sembra molto nervoso.
<<Tutto okay?>>
Annuisce e cambia canzone alla radio con un movimento veloce.
<<Perché non sei rimasto ad aiutare i tuoi colleghi?>>
Lui sorride come se avessi appena detto la battuta più divertente del mondo.
<<Ognuno ha i propri compiti, il mio era di portanti in salvo e lo sto facendo. Da ora in poi fai parte del programma protezione testimoni.>>
So di cosa sta parlando, non c'è bisogno che si spieghi ulteriormente.
La mia è stata una domanda stupida.
<<Probabilmente io verrò affidato a te per i primi tempi, poi si vedrà. Comunque, stiamo andando alla succursale della stazione di polizia dove si trova la direzione investigativa antimafia.>>
Annuisco ancora ma una domanda mi sorge spontanea.
<<Perché mi stai dicendo tutte queste cose, perché mi hai detto il tuo nome? Non è pericoloso? Forse è meglio che io non lo sappia.>>
Alza le spalle e mi guarda di sottecchi.
<<Il rapporto con la vittima deve essere di reciproca fiducia, io voglio solo aiutarti.>>
Decido di rimanere in silenzio fino al nostro arrivo alla succursale.

Edoardo scende dall'auto e mi viene ad aprire la portiera.
Mi porge la mano per sorreggermi perché sono troppo stanca anche per stare in piedi ma mi aspetta una lunga, lunghissima giornata.
Quando mi fa entrare dalla porta principale, un sacco di occhi sono su di noi e io so di avere un aspetto terribile.
Ma non è quello a preoccuparmi.
Mi preoccupa la persona che si ferma davanti a me e che non mi aspettavo di vedere.
Non qui e non così presto.

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