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Capitolo 10

Fiori di Chernobyl
- Mr.Rain

Emiliano

Prima di aprire il portone che da sul giardino del condominio, respiro profondamente e mi impongo di essere coraggioso.
Tiro verso di me la porta ed esco fuori all'aria calda di quel pomeriggio di fine agosto.
Il sole mi acceca non permettendomi di mettere ben a fuoco il volto di colui che mi sta aspettando, seduto su una panchina all'ombra di un cipresso.
Mi avvicino piano e, a qualche metro di distanza, lo riconosco subito.
Riconosco il suo odore nauseante, il suo respiro pesante e il cuore inizia a battere più forte, come se volesse uscire fuori dal torace.
Nello stomaco si crea un vuoto e mi viene la nausea.
Davanti a me ho colui che ha ucciso mia madre.
Colui che ha rovinato la mia famiglia, che mi ha sottratto la donna più importante della mia vita.
Colui che si meriterebbe di fare la sua stessa fine, anzi molto peggio.
<<Sei cresciuto.>>
Stringo la mascella e assottiglio lo sguardo.
Il suo sorrisetto strafottente non mi fotterà un'altra volta.
<<Che vuoi?>>
Lui ridacchia e spegne la sigaretta sulla panchina per poi lanciarla via.
<<Tuo padre ha pagato per tutti i debiti che tua madre aveva accumulato ma non ha pensato ad una cosa. Una cosa fondamentale.>>
Alzo un sopracciglio e incrocio le braccia al petto.
La mia espressione deve farlo davvero divertire visto che continua a ridacchiare.
<<Voglio Gabriele.>>
Ed ecco che il mondo mi precipita addosso.
Il mio respiro diventa affannoso alla sola idea di poterlo perdere.
Non può assolutamente stare con uno come lui, un omicida che è uscito dal carcere per buona condotta e che continua a minacciare la gente.
Non può.
<<È sotto la mia custodia.>>
Lui ridacchia ancora e mi sfida con lo sguardo.
Io mi sento davvero in difficoltà e non so come ribattere.
<<Ragazzino, ho infinite conoscenze in questa città. Roma è sotto il mio controllo da più tempo di quanto tu possa pensare. In men che non si dica tu dimenticherai di avere un fratello.>>
Mi passa accanto e mi da una spallata che mi fa barcollare all'indietro.
Chiudo gli occhi e non so davvero cosa fare.
Devo parlarne con Camilla.
<<Ah, bella quella ragazza. Com'è che si chiama? Lara?>>
Mi giro di scatto verso di lui e gli vado incontro.
Lo prendo per il colletto e lo sbatto con la schiena al tronco di un albero.
<<Non devi neanche pensarla.>>
Lui ride e sputa per terra.
Lo lascio andare ma resto comunque molto vicino a lui.
<<Ha dei riccioli davvero belli. Chissà come sarebbe affondarci la mano mentre...>>
Gli do un pugno alla mascella e, preso alla sprovvista, cade per terra.
Scuoto la mano dolorante e mi maledico per non aver pensato prima di agire.
Lui si rialza e sputa del sangue a terra.
<<Sta attento, non ti conviene lasciarla sola.>>
Il suo sorriso strafottente con i denti sporchi di sangue sarà un immagine che non eliminerò tanto facilmente dalla mia testa.
Mi passo una mano tra i capelli e mi abbasso sulla ginocchia.
Merda merda merda.
Io dovevo risolvere i miei problemi e invece ora devo pensare a tenere al sicuro Gabriele e Lara.
Faccio un disastro dopo l'altro.
Maledizione.

Appena chiudo la porta dell'appartamento alle mie spalle, mia sorella mi è addosso esaminando il mio volto.
Mi scosto bruscamente da lei, vado in cucina e apro il frizer alla ricerca di qualcosa da mettere sulla mano.
Non sono abituato a dare pugni.
<<Mi spieghi che è successo?>>
Sbruffo e mi giro verso di lei, alle sue spalle ci sono sia Lorenzo che Gioele.
<<Quel coglione vuole Gabriele.>>
Camilla si porta una mano alla bocca e una sullo stomaco, come se stesse per vomitare.
Fa qualche passo indietro ma dalla mia espressione capisce che c'è altro.
Deglutisco e mi passo una mano tra i capelli.
<<Sa di Lara, la conosce.>>
<<Merda.>>
Lorenzo regge Camilla che sta per svenire e la fa sedere su una sedia.
Mi sento maledettamente in colpa.
<<Cami, che devo fare?>>
Lei mi fa cenno di aspettare un secondo e chiede un bicchiere di acqua con una voce appena udibile.
Mentre Lorenzo le tiene la mano, che lei non vuole mollare, Gioele corre a prendere dell'acqua.
La beve a grandi sorsi e chiede a quest'ultimo di controllare se Gabriele stia bene.
Lui esce dalla stanza scoccandomi un'ultima occhiata.
Io sono sconvolto e non faccio altro che premere il ghiaccio sulla mano gonfia.
<<Devi dirlo a Lara. Almeno così, se vede qualcosa di strano, te lo dice.>>
Annuisco a ciò che ha detto Lorenzo e mi avvicino a mia sorella.
Mi abbasso davanti a lei e le accarezzo il volto con una mano.
<<Cami. Guardami.>>
Lei alza i suoi occhi chiari verso di me, pieni di lacrime.
Chiudo gli occhi e la abbraccio, sospirando.
Lei singhiozza per almeno mezz'ora sulla mia spalla e io non faccio altro che accarezzarle i capelli.
Tutto questo sotto lo sguardo di Lorenzo che ancora tiene per mano mia sorella.
Okay.

Quando alza la testa dalla mia spalla, ho tutta la maglietta bianca sporca di mascara.
Le asciugo i residui dalle guance e la guardo con un sorriso sulle labbra.
<<Andrà bene.>>
Lei nega con la testa e riprende a piangere.
La faccio alzare in piedi e la trascino in bagno.
Lei c'è stata per me quando stavo male e ora che lei è caduta io devo offrirle le mani a cui aggrapparsi.
La butto sotto la doccia e apro l'acqua fredda.
Lei si riscuote subito e mi guarda male.
Quando inizia a urlare che mi vorrebbe uccidere, capisco che è tornata in sé.
Meglio così.
Esce dal bagno come una furia e si scontra con il petto di Lorenzo.
Entrambi si imbarazzano e iniziano a balbettare qualcosa che non capisco.
Alzo gli occhi al cielo e vado verso la stanza di Gabriele.
Socchiudo la porta e vedo che Gioele sta giocando al telefono mentre mio fratello disegna.
<<Ehi, che fate?>>
Gioele mi ignora mentre Gabriele mi sorride, mostrandomi tutti i suoi disegni.
È molto bravo, soprattutto a disegnare macchine.
Questa cosa è un po' inquietante.
Gli scompiglio i capelli e gli chiedo se vuole venire con me a prendere un gelato.
Lui accetta contento e io sono felice di questo cambiamento positivo, grazie a Lara tra l'altro.
È arrivato il momento di risolvere in terzo punto della mia lista per poi spiegare a Lara tutto il caos che si è creato.
Posso farcela, devo.

Dopo mille raccomandazioni di mia sorella sullo stare attenti in giro, io e Gabriele siamo finalmente in strada, pronti per raggiungere la mia gelateria preferita.
Mi sento relativamente più tranquillo a saperlo accanto a me, mano nella mano.
Sono felice di vedere il sorriso sul suo volto, quel sorriso che mancava da tempo ormai.
Guardarlo così spensierato, mentre corre felice facendo scappare tutti i piccioni che riposano all'ombra di questo sole cocente d'agosto, mi rende felice.
Ride, ride forte.
Di quella risata che solo i bambini hanno, limpida e acuta.
E automaticamente sorrido anche io.
Ma il mio sorriso dura poco, si spegne quando vedo Giulio avvicinarsi spavaldo verso Gabriele, poco lontano da me.
Si ferma davanti a lui e si abbassa sulle ginocchia, gli sorride e gli scompiglia i capelli.
Mi avvicino velocemente, prendo Gabriele dalle spalle e lo spingo dietro di me.
<<Ti ho detto di lasciarci in pace. Cosa non ti è chiaro?>>
Giulio ridacchia e mi sbuffa in faccia il fumo della sigaretta, che ora sta spegnendo sotto la sua punta della scarpa.
Il suo sguardo mi fa capire che al posto della sigaretta vorrebbe ci fosse la mia testa.
Poco mi importa.
<<Gabriele ha il diritto di stare con suo padre o no?>>
Mi irrigidisco e stringo la mascella, quasi da far male.
<<No, se il padre è un pazzo omicida.>>
Giulio scoppia a ridere e guarda dietro di me ma Gabriele si fa più piccolo, nascondendosi da quegli occhi iniettati di sangue.
<<Tanto è pur sempre mio figlio ed io l'ho riconosciuto. Ho dei diritti su di lui.>>
Gli do le spalle per un attimo e prendo in braccio mio fratello. Lui stringe le sue braccia intorno al mio collo e nasconde il viso dagli occhi cattivi del padre.
<<Dovrai passare sul mio corpo.>>
Lui ridacchia malefico e si avvicina minocciasamente al mio volto.
<<Sarà fatto.>>
Deglustisco e lo sorpasso, assestandogli una spallata.
<<Neanche il paparino miliardario ci può con me. Ricordalo.>>
Cammino con la schiena dritta e il passo sicuro.
Mai far fiutare ad un cane la tua paura, soprattutto se è un randagio.
Alzo il dito medio nei suoi confronti e urlo la sua stessa frase.
<<Sarà fatto, pezzo di merda.>>
Il mio urlo rieccheggia ancora nello stomaco, mettendolo in subbuglio finchè non ritorna il sorriso a Gabriele.
Anche mentre mangiamo il gelato continuo a guardarmi intorno.
E' vero che ha molte conoscenze, anche potenti, ma io non ho paura di loro.
Mia madre mi ha insegnato a esser coraggioso ed ad esserlo sempre, soprattutto davanti a persone nocive come Giulio ed i suoi scagnozzi.
Peccato che mia madre ne sia caduta vittima per prima.

Una mano si posa sulla mia spalla e sussulto a questo contatto inaspettato.
Gabriele lo percepisce e si innervosisce anche lui, vedendomi così preso alla sprovvista.
Mi giro e vedo un sorriso che non vedevo da tanto, un sorriso dolce e amorevole, quello di mia nonna.
Salto in piedi velocemente e la stringo tra le mie braccia.
<<Nonna! Ma che ci fai qua?>>
Lei ridacchia e mi stringe ancora più forte di quanto abbia potuto farlo io.
<<Oh, Emiliano. Quanto sei cresciuto? Ma mangi? mi sembri na 'nticchia sciupato a nonna.>>
Ridacchio e le scocco un bacio sulla guancia.
Gabriele la guarda con occhi curiosi, lui non l'ha mai vista la nonna materna.
Al funerale non è venuta perchè aveva problemi gravi al cuore.
So che non se lo perdonerà mai, come non si perdona il fatto di non averla potuta salvare.
Ma come poteva farlo lei a chilometri di distanza quando neanche io ho fatto niente?
Gabriele si alza e si avvicina a me, appoggiando la testa alla mia coscia.
<<Gabri, lei è la nonna Lucia.>>
Mia nonna cerca di abbassarsi per arivare all'altezza di Gabriele ma ci rinuncia quando vede che la sua schiena non regge lo sforzo.
<<Ciao piccolo ometto. Come sei bello, più di tuo fratello.>>
Gabriele sembra molto compiaciuto da questo complimento e decide di regalare un bacio alla nonna.
Lei se potesse, farebbe i salti di gioia.
Ma non mi pare il caso.
<<Ma come sei salita qua? Come stai? lo sai che non dei fare viaggi lunghi.>>
Lei scaccia ciò che ho detto con la mano e sorride.
<<Io sto bene, a parte la vecchiaia. Ma tu, come stai? E Camilla?>>
Annuisco e inizio a raccontarle un po' degli avvenimenti, mentre ci incamminiamo verso il parco dove Gabriele vuole andare a giocare.
Quando siamo seduti su una panchina all'ombra del sole cocente, le racconto del percorso di Gabriele con la psicologa e, inevitabilmente, mi viene in mente Lara.
Nonna sembra capire che c'è qualcosa che è cambiato nella mia espressione e non esita un minuto prima di fare l'interrgatorio di terzo grado.
<<Lo conosco quello suardo. Pure tuo zio lo faceva quando mi nascondeva la fidanzatina!>>
Alzo gli occhi al cielo e ridacchio, tenendo sempre sott'occhio Gabriele che sta giocando tranquillo con altri bambini.
<<Nonna...>>
Lei alza le mani al cielo ma continua a guardarmi, come se volesse scoprire quello che sto pensando.
Sospiro e mi passo le mani tra i capelli.
Sto cedendo e lei lo sa.
Ma come si fa a non cedere allo sguardo di una nonna che non vedo da anni?
<<E' complicato...>>
Lei batte le mani contenta come se le avessi detto che mi sto per sposare.
Alzo gli occhi al cielo e mi pento di aver iniziato il discorso.
Lo sapevo che dovevo stare zitto.
<<Lo sapevo che dietro quello sguardo rinato c'era una ragazza. E' bella?>>
Sorrido senza neanche accorgermene, ricordando quanto fosse bella mentre sclerava nella mia macchina.
<<Diciamo che per tenerla al sicuro da Giulio l'ho allontanata anche da me.>>
Mia nonna aggrotta le sopracciglia e mi guarda scioccata.
<<Ma allora si un fituso tu! Una cosa bella ti succede e tu chi fa?! La allontani.>>
Rido per il siciliano che mi mancava tanto sentire ma al tempo stesso so di essere stupido.
Devo andare da lei prima che ci arrivi Giulio.
Ma prima devo fare una cosa.
<<Nonna, ti dispiace guardare Gabriele? Devo fare una cosa e torno.>>
Lei sembra più scioccata di prima e mi guarda strano.
<<Tu si curiusu, figghiu mia.>>
Le do un bacio sulla fronte e corro verso l'uscita del parco.
Devo chiedere scusa all'ultima persona della lista e posso farmi perdonare definitivamente da Lara.

Corro a perdifiato nei marciapiedi rovinati della città più bella del mondo, fino ad arrivare a una piccola abitazione che ho visto e sognato troppe volte.
Apro il cancelletto e vado dritto al portone.
Mi prendo un secondo per ricordare, uno solo.
Busso alla porta di vernice scrostata e mi guardo intorno, nulla è cambiato da quattro anni a questa parte.
I ricordi fremono sotto la pelle e un brivido mi scorre lungo la schiena.
Tutto questo si moltiplica quando la madre di Sophia apre la porta, si porta una mano alla bocca mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime.
Faccio un sorrisetto e metto le mani nelle tasche degli short.
Lei mi abbraccia come una vera madre sa fare e mi sento subito perdonato.
<<Da quanto tempo! Come stai?>>
Mi prende il volto tra le sue mani e me lo stringe al punto che non riesco a parlare.
La mamma di Sofia è sempre stata amorevole e spontanea.
È molto simile a sua figlia e questa cosa mi fa diventare nostalgico.
Mi fa cenno di accomodarmi nel piccolo ma accogliente salotto e io l'assecondo.
Quando mi siedo davanti al suo sguardo amorevole, mi sento in colpa perchè non sono venuto a trovarla prima.
I ricordi erano ancora troppo vividi e proprio non me la sentivo di passare del tempo dove l'avevo baciata per la prima volta o dove le avevo donato anima e cuore.
Non ne avevo il coraggio.
<<Meglio. Tu?>>
Lei alza le spalle e mi sorride.
<<Sei cambiato molto dall'ultima volta che ti ho visto.>>
Annuisco e mi porto una mano tra i capelli.
Sono venuto qui per un motivo, devo chiederle scusa.
<<Catia, io sono venuto qui per chiederti scusa. Scusa per essere stato la causa principale della scomparsa di tua figlia, scusa per non aver accettato i tuoi innumerevoli inviti o per non aver risposto alle tue telefonate. Scusami. Mi sento molto in colpa, ho bisogno di sapere che posso contare su di te perché sei l'unica figura simile ad una madre che mi è rimasta.>>
Abbasso la sguardo finché la sua mano ruvida non mi accarezza la guancia.
Ha gli occhi lucidi e non riesco più a trattenere le mie emozioni.
Mi faccio inondare da esse, mi faccio trasportare.
Sono naufrago di me stesso.
Restiamo così per minuti interminabili.
Dal suo sguardo ho capito che mi ha perdonato tanto tempo fa e questo mi fa sentire molto più tranquillo.
L'abbraccio di nuovo prima di andare via.
<<Grazie.>>
<<Non ringraziarmi. Sofia era felice con te e tu per me sei un figlio.>>
Le sorrido e mi lascio alle spalle l'abitazione con annesse emozioni e ricordi.

Quando arrivo al parco, mia nonna è seduta sulla panchina e mio fratello è sulle sue gambe, addormentato.
<<Ehi nonna, scusami.>>
Lei mi sorride e alza le spalle.
<<È caduto, si è sbucciato un ginocchio.>>
Osservo il ginocchio di mio fratello e noto che è una ferita da niente.
Lo prendo in braccio senza svegliarlo e, con mia nonna a braccetto, raggiungiamo casa in un religioso silenzio.
<<Hai risolto?>>
Annuisco e sistemo meglio mio fratello.
Fortuna che è magrolino.
<<Sì. Ora devo risolvere con Lara.>>
Lei annuisce fiera e mi dà una pacca sul braccio.
<<Voglio conoscerla!>>
<<Anche no.>>
Lei si imbroncia e mi ricorda troppo mia madre.
Solo che lei era un po' più giovane, con meno rughe e meno capelli bianchi.
<<Perché?>>
<<Perché non stiamo insieme e, ora come ora, non siamo neanche amici.>>
<<Ahh babbu i cucchiara! Sei uguale a tuo zio. Vai a prenderti quello che vuoi senza se e senza ma!>>
Ridacchio e scuoto la testa.
<<Va bene!>>
<<Bravo caruso, accusí si faci.>>
Rido mentre cerco le chiavi del portone, con qualche difficoltà.
Gabriele in tutto questo sta continuando a dormire.
Beato lui.
Mia nonna alza gli occhi al cielo e suona il campanello.
Camilla apre la porta e si tuffa letteralmente tra le braccia di mia nonna, emettendo versi di contentezza.
Entro dentro e poggio Gabriele sul divano e gli lascio una carezza tra i capelli.
Alzo lo sguardo e noto che è tardi, devo andare in ospedale.
Mi affaccio in cucina e vedo mia nonna già con le mani in pasta.
La amo.
<<Cami, io vado!>>
<<Unni va?! Sono arrivata ora e tu tinni va?>>
Mia nonna è indignata dal mio comportamento, ridacchio piano e lei mi dà un colpo di mestolo sulla mano.
Le do un bacio sulla guancia e abbraccio mia sorella.
<<Nonna sono un infermiere, devo andare a lavorare.>>
Lei aggrotta le sopracciglia e mi insulta sottovoce.
<<Mancu manciasti.>>
<<Mangio qualcosa durante il tragitto.>>
<<Emiliano, va caca o scuru.>>
Scoppio a ridere e non smetto finché non arrivo in macchina.
Mi fa male lo stomaco e sto piangendo dalle risate.
Non mi sono neanche reso conto di quanto mi mancasse mia nonna e la sua sicilianità.

Arrivo al pronto soccorso con un sorriso da un orecchio all'altro.
Saluto tutti e vado dritto agli spoiatoi, senza fermarmi a chiacchierare con i miei colleghi.
Mi cambio velocemente, sistemo le mie cose e vado a vedere cosa è successo oggi.
Appena prendo il foglio, mi rendo conto che l'ultimo nome è quello di Lara.
Deve essere ancora qui.
Perché è qui? Le è successo qualcosa?
È stato Giulio?
Passo in rassegna tutte le stanze e la trovo nell'ultima. Sta dormendo tranquilla e non ha segni né sul volto e né sulle pareti di corpo scoperte.
Faccio un respiro di sollievo e mi avvicino piano.
Le scosto una ciocca di capelli ricci e le sue palpebre fremono.
I suoi occhi verdi mi stanno fissando e non riesco a smettere di pensare a quanto sia bella.
<<Emiliano...>>
<<Ehi, come stai?>>
<<Male. Ho mangiato una cosa che ha comprato Gaia e mi ha fatto male. Ho un dolore lancinante allo stomaco.>>
<<Hai nausea?>>
Annuisce e chiude gli occhi.
Mi alzo e prendo la sua cartella per vedere i risultati delle prime analisi.
Bhe, sì come pensavo, intossicazione alimentare.
<<Che cosa hai mangiato?>>
<<Sushi.>>
<<Quanto?>>
Lei arrossisce e farfuglia che non è importante sapere questo dettaglio.
<<Lara...>>
<<Okay, okay. Ehm, un bel po'. Ero triste e nervosa, va bene?>>
Abbasso lo sguardo perché so che si sta riferendo a ciò che è successo tra di noi.
<<Per quello...>>
Lei mi ferma con una mano, zittendomi.
<<Non ne voglio parlare, posso dormire ora?>>
Annuisco ed esco dalla stanza.
Mi sento come se mi mancasse la terra da sotto i piedi.
Ed effettivamente è così.
In pochissimo tempo, Lara è diventata importante per me anche se magari tendo a non dimostrarlo.
Ora sono estremamente convinto, voglio e devo risolvere con lei.
Non stavo bene da tempo ormai e non avrei mai immaginato che una testolina piena di ricci potesse aiutarmi così tanto.
Sto bene con lei, perché dovrei rinunciarci?

I miei pensieri vengono interrotti da Pietro.
Ha il volto stremato.
Porto una mano alla tasca e gli porgo il mio pacchetto di sigarette.
L'aria fuori è piuttosto fresca e c'è odore di pioggia nell'aria, l'estate sta finendo finalmente.
<<Non dovresti fumare.>>
<<Lo so.>>
Accendo la sigaretta che ho tra le labbra e sbuffo fuori il fumo.
La nicotina mette a tacere i pensieri e il mal di testa si affievolisce.
<<Tutto bene? Mi sembri stanco.>>
Annuisco distratto e guardo il telefono.
Per fortuna nessuna notifica, ciò significa che a casa va tutto bene.
<<Sì, diciamo.>>
Pietro aggrotta le sopracciglia e mi fa cenno di parlare.
Sospiro stremato e faccio un altro tiro prima di iniziare a parlare.
<<Il compagno di mia madre è uscito di prigione.>>
Sgrana gli occhi e inizia a guardare la punta delle sue scarpe.
Lo imito finché la mia attenzione non viene attirata dalla tirocinante che si sta sbracciando aspettando che la noti.
Getto la sigaretta nel contenitore apposito e mi avvicino a lei con un espressione confusa.
<<Che c'è?>>
<<La ragazza dell'ultima stanza ti desidera.>>
La sorpasso velocemente senza neanche ringraziarla e vado dritto da Lara.
Busso alla porta socchiusa e, dopo un flebile avanti, entro.
Lei è seduta sul letto con le ginocchia al petto ed è molto pallida.
Mi siedo accanto a lei sul materasso e le porto una mano alla fronte.
La sua pelle è morbida ma caldissima.
Scotta!
<<Lara hai la febbre.>>
Lei chiude gli occhi e si appoggia alla mia mano, probabilmente provando del sollievo per la freschezza della mia pelle.
<<Non mi sento molto bene.>>
Tiro fuori il termometro dal taschino e le misuro la febbre che risulta essere molto alta.
Vado nella stanza dei medicinali, afferro una flebo di paracetamolo e torno velocemente da lei.
Le attacco la flebo, la faccio sdraiare e la copro con la coperta più pesante che trovo in quella stanza.

Mi siedo e poggio la schiena ai suoi cuscini.
Lei poggia la sua testa sul mio petto e mi sembra che tutto sia perfetto, in ordine, al proprio posto.
Io sono nel posto giusto, qui con lei.
È come se lei fosse casa.
Casa è dove sta bene il cuore.
E il mio cuore con lei sta rinascendo, come fa una fenice dalle proprie ceneri.
<<Sei tutte quelle cose che non riesco mai a dire.>>

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