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Cap. 11 - La pausa pranzo.

Quella stessa mattina, Charlotte e Valeria arrivarono all'università, già piena di studenti che si affrettavano verso le loro aule alle otto e un quarto, scambiando risate, prendendo caffè da asporto e vari spuntini e portando libri sotto il braccio.

Le due ragazze frequentavano il secondo anno del corso di Psicologia Cognitiva, un campo che univa la passione per il comportamento umano e la comprensione dei meccanismi mentali.

Valeria sbadigliò, cercando di scrollarsi di dosso l'ultima traccia di sonnolenza, «Oh, non ce la faccio. Prendo un caffè doppio e speriamo che questo non sia un altro noiosissimo seminario...».

Charlotte, di fianco a lei, era sorprendentemente silenziosa, con lo sguardo fisso davanti a sé e un'aria assente. Il suo viso era un po' pallido e, nonostante cercasse di mantenere un atteggiamento calmo, c'era qualcosa di diverso nel suo comportamento, come se stesse ancora elaborando qualcosa di non detto.

«Ehi, tutto bene?», chiese Valeria.

Charlotte si destò dai suoi pensieri con un sorriso forzato, «Sì, sì, sto bene. È solo che... ho avuto una notte un po' strana».

«Non strana quanto la mia! Non ho dormito per niente, ho passato la serata a preparare quel maledetto progetto di gruppo. Ma tu? Hai una faccia... come se fossi stata sveglia tutta la notte, o peggio, abbia visto addirittura un fantasma...», disse Valeria, scherzandoci su.

Charlotte non rispose subito, si limitò a scuotere la testa e a guardare l'orologio, «Più o meno, ma più tardi ti racconto. Adesso dobbiamo sbrigarci o faremo tardi a lezione».

Le due si affrettarono verso l'aula, e si sedettero ai posti davanti. Le lezioni, soprattutto le parti riguardanti la percezione e l'attenzione, erano affascinanti, ma quella mattina Charlotte non riusciva proprio a concentrarsi.

Le immagini della notte precedente si accavallavano nella sua mente come pezzi di un puzzle caotico: quel ragazzo misterioso, il suo sguardo magnetico nelle foto, la sensazione di perdita di controllo, e poi il biglietto del concerto che si era ritrovata in tasca.

Quando la lezione terminò, le due ragazze si diressero verso il cortile interno per la pausa pranzo. Il campus era circondato da alberi alti, e numerosi studenti si affollavano attorno ai tavolini all'aperto, chi con panini in mano, chi sorseggiando bibite, chi chiacchierava.

Valeria si sedette subito a uno di quei tavolini, fissando Charlotte attenzione, «Allora, ora raccontami. Cos'è successo stanotte? Perché non sembri per niente la solita te stessa», disse, mentre sgranocchiava un pezzo del suo panino.

Charlotte si prese qualche secondo prima di parlare. Poi, con un respiro profondo, cominciò, «Ok... È una storia assurda, quindi prometti che non riderai».

Valeria alzò un sopracciglio, incuriosita, «Promesso. Vai, spara».

«Ricordi quella band per cui tu vai matta? I come si chiamano?», chiese Charlotte.

«I RedGreenBlue? Quella mia band preferita che abbiamo visto ieri e che volevo incontrarne i membri e tu mi hai trascinato via tirandomi il braccio con forza come se fossi una scimmia imbizzarrita?», lamentò Valeria.

«Loro», disse Charlotte, non badando alle sue parole, inizialmente.

«Diciamo che la tua fissa per questa band mi ha incuriosito e ho passato la notte a cercare i membri della band sui social. In particolare il loro bassista e vocalist, Sogghynho Darkmoor, aveva foto in cui era affascinante, molto affascinante, ma i suoi occhi sembravano seguirmi... poi ho sentito dei sussurri e un fiato gelido sul collo. E come se non bastasse un numero sconosciuto mi ha mandato questo messaggio», spiegò, mostrando il telefono con la chat aperta e il messaggio di Sogghynho.

Il modo con il quale parlava della band era anche fino troppo sicuro, come se fosse loro fan dall'inizio della loro carriera, e ciò non passò inascoltato alle orecchie di Valeria.

Valeria strabuzzò gli occhi, incredula, «Aspetta un attimo. Hai ricevuto un messaggio da Sogghynho Darkmoor? Quello vero? Di notte?», chiese, cercando di mantenere la calma ma con la voce che tradiva la sua eccitazione, «Cosa dice?».

Charlotte mostrò il messaggio sul suo telefono: "Ti aspetterò al concerto. - Sogghynho".

«E c'è di più. Ho ricevuto questo messaggio dopo aver comprato l'ultimo biglietto per il concerto della band qui a Milano tra un mese, ma ti giuro non l'ho fatto di mia spontanea volontà! È come se qualcosa, una forza oscura mi avesse quasi comandato di farlo, poi quei sussurri...».

Valeria abbassò il sorriso, «Ok, ora sì che sei inquietante, come se la band non lo fosse già, lo ammetto».

«Cosa vuoi dire?», domandò Charlotte, ora spaventata.

«Hai letto l'articolo, sono tre ragazzi misteriosi, sono pallidi, indossano spesso occhiali da sole... io sono loro fan e so comunque che non sembrano nemmeno... umani...», disse Valeria.

Charlotte si sentì un brivido percorrerle la schiena, «Cosa stai cercando di dirmi? Non posso credere che tu stia insinuando che siano... che siano qualcosa di non umano!»

Valeria si grattò la nuca, «Non sto dicendo che siano vampiri o cose del genere, ma... c'è qualcosa di strano in loro. Non è solo il loro strabiliante look; sono le loro canzoni, il modo in cui parlano nei video. Hanno un'energia che... non so, sembra quasi ipnotica. E ora tu ricevi messaggi da uno di loro? Il vocalist super sexy, addirittura?!».

Charlotte scosse la testa, cercando di allontanare i pensieri inquietanti, «Ok, lo so che è strano, ma non voglio pensare a questo adesso. Ho solo ricevuto un messaggio e... e ho un biglietto. Voglio pensare che sia solo un caso, qualcosa di divertente. Non può essere tutto così oscuro».

Valeria la guardò con attenzione, «Ah, sì? E se lui era lì con te ieri notte? In ogni ci vado anch'io al concerto e guarda caso il posto è davanti e vicino al tuo...», osservò, guardando il documento del biglietto comprato da Charlotte sul suo telefono.

Charlotte scosse la testa, «Non lo so, ma non ho dormito serena stanotte. E a dire il vero avrei paura di restare da sola in camera mia adesso durante la sera. E se fosse stato proprio lui, nascosto nella mia stanza o non lo so?! Ora sono impaurita!».

«Calmati, ricorda che i fantasmi non esistono, tantomeno i vampiri o chi è che sia. Sarà stato un colpo di vento, anche se non mi spiego il messaggio. Forse lo ha mandato uno dei nostri compagni di corso, Jeremy, quello scemo che ha una cotta per te e si diverte a fare scherzi?».

Charlotte cercò di ragionare, «Sì, ma Jeremy non lo avrebbe mai fatto, è troppo stupido. E poi, chi avrebbe potuto sapere che avrei comprato quel biglietto?», ribatté, la sua ansia crebbe.

Valeria fece una pausa, riflettendo, «Hai ragione, ma ci deve essere una spiegazione razionale. Magari qualcun altro nella nostra cerchia sa di più su di te, o forse è solo una coincidenza inquietante».

Charlotte scosse la testa, sentendosi sempre più nervosa, «Pensi di aiutarmi così?».

Valeria alzò le spalle, cercando di mantenere un tono leggero nonostante la crescente inquietudine di Charlotte, «Non sto dicendo che sia facile, ma a volte la nostra mente può giocare brutti scherzi. Forse sei solo un po' stressata per le lezioni e i progetti».

«Sì, forse... ma non mi sembra solo stress. Non riesco a spiegare cosa sento, ma quel messaggio e il modo in cui mi sono sentita nella notte...», disse Charlotte, con la voce tremante.

Valeria la guardò con preoccupazione, «Allora facciamo così: andiamo a casa tua dopo le lezioni e cerchiamo di capire meglio cosa succede. Possiamo controllare di nuovo il profilo di Sogghynho Darkmoor insieme e vedo se dà lo stesso effetto anche a me. E se dovessi ricevere un altro messaggio, magari potremo rintracciare chi lo ha inviato», suggerì.

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