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7. KILLING IN THE NIGHT

Lei era un'osservatrice. Notava ogni cosa, le piaceva farlo e dietro quel bancone riusciva nel suo intento in un modo spaziale. Vedeva le più lontane persone oltre la porta di vetro dell'hotel, leggeva la gente che alloggiava in questo. Fotografava i momenti con i suoi occhi gialli carichi di colori e imperfezioni, ma le immagini uscivano sempre nitide. Quella mattina scrutò Al, lo salutò, uscendo dal nascondiglio che era la sua matassa di ricci color fuoco, e chiese all'ispanico dove andasse. Voleva capire se avesse compreso quel ragazzo. Quello che Fairy, però, non si aspettava fu l'inchiodata dell'ispanico, si era immaginata un "Non sono affari tuoi" ma ottenne un silenzio e delle vene gonfie, poi un sorriso e una risposta cortese. Ghost non aveva inteso proprio un bel niente.

Uscito dall'albergo la spia scosse la testa. Confuso, deluso, preoccupato? Avrebbe solo voluto urlare, dare pugni. Sentiva che il turbinio di emozioni che provava adesso si stava trasformando in rabbia, quello era il primo sintomo di perdita di controllo. C'era un motivo se lo chiamavano disturbo intermittente esplosivo: i soggetti che ne erano affetti erano delle vere e proprie bombe viventi. Lily era sparita, Fairy sospettava, nessuna pista sul caso e lui era solo. Cazzo. Stava camminando ma senza meta, a testa alta ma assente.

Si fermò quando si rese conto i essere di fronte a un cancello, in particolare era un recinto di metallo nero. Circondava una villa che assomigliava più a una reggia, per quanto era grande. Era molto probabile fosse abbandonata poiché, rispetto agli altri edifici di Flåm, era macabra, il tetto di mattoni grigi era crollato e le porte e finestre non erano presenti. Un albero di quercia copriva parte della facciata principale, la neve schiariva l'oscurità di quell'orrendo quadro. Si intravedevano le ragnatele sui muri, il camino e anche all'interno dell'abitazione.

Gregorin poteva percepire i passanti fissarlo come lui faceva con la casa, era come se ci fosse un alone di malvagità che macchiava il terreno su cui quella proprietà si poggiava. Sentì i passi di qualcuno avvicinarsi, poi il calore umano e infine una voce conosciuta.

<<Interessato?>> sussurrò Caleb, come se non volesse interrompere il flusso di pensieri di Al.

Prima di rispondere, la spia scorse lo sguardo sul cartello appeso sul cancello: "Proprietà privata degli Hagen".

<<Primo, non parlarmi nelle orecchie, mi da fastidio; Secondo, chi sono gli Hagen?>>
<<Chi erano, vorrai dire>>, lo corresse il castano <<Sono morti tutti. Questa era casa loro.>>
<<Quando?>> domandò l'agente.
Bryant corrugò la fronte e si voltò verso il suo interlocutore: <<Come?>>
<<In che anno sono morti?>> si spazientì l'ispanico.
<<Circa nel duemilacinque, perché?>>
La spia arrangiò una risposta secca e si scusò con il ragazzo, poi andò via. Quell'anno. Già due indizi si ricollegavano a quel caso, non poteva essere una coincidenza. E quel nome "Hagen" già lo aveva sentito. Doveva trovare Lily.

Robelyn si stava annoiando e non le piaceva farlo. Aveva sostituito da poco la sua amica in hotel ma non aveva fatto nulla, solo un check out. Ormai conosceva a memoria il panorama che le si proponeva davanti e si era stufata di osservare anche quello. L'unica cosa che la tratteneva dallo sbuffare ogni cinque secondi era il camino scoppiettante, che la faceva rilassare, e le risate di alcuni ragazzi seduti sui divanetti. Alla bionda faceva piacere sentire le altre persone essere felici e godersi la tranquillità di quel posto. Lei non aveva potuto farlo. Lei ormai odiava quel posto con tutta se stessa. Detestava le vie, i negozi, le persone illuse dell'idea della perfezione, le case, la neve, ogni singola cosa. Tutto ciò che l'aveva sempre circondata, plasmandola secondo la società di un paese fuori dal mondo, era diventato monotono e sporco. Caleb ci era sprofondato nella neve di Flåm, Robelyn Jean ci affogò. La bambina avida di bontà e simpatia scomparì pian piano, lasciando spazio a un pezzo di carne: la vittima di tutti i predatori. Aveva bisogno di aria, quel luogo la stava soffocando. E come se qualcuno le avesse letto nella mente, la porta si aprì.

Il soffio del vento finì, il fuoco del camino si placò e la bionda alzò i suoi occhi gelidi ma caldi sui nuovi arrivati, curiosa. Li riconobbe all'istante, ovviamente, erano diversi ma sempre loro, in un certo senso. Le loro iridi nere rimanevano aperte a ogni emozione, si leggeva attraverso di loro tutta la storia di quei ragazzi, erano sempre stati così, gli Smith. Erano tre fratelli, due maschi e una femmina. Arrivarono a Flåm con Caleb cinque anni prima, poi due anni dopo decisero di arruolarsi nell'esercito canadese.

<<Non si usa più salutare qui, Jean?>> scherzò uno dei ragazzi, con il suo sorriso ghiacciato che spiccava in confronto alla sua pelle olivastra e i suoi lisci capelli neri.
<<Smettetela di fare i drammatici e dare spettacolo davanti ai clienti, uscite ora vi raggiungo>>, replicò Robelyn <<Chiamo anche gli altri, così parliamo.>>
La norvegese non era mai stata così professionale, neanche con i clienti. Gli Smith sentivano odore di cambiamento e della puzza acre della rabbia.

Aloysius si era ritrovato nella foresta accanto al dirupo. Aveva camminato a occhi chiusi, cedendo completamente alla rabbia, facendo ciò che gli disse la testa. La mano gli sanguinava e pulsava, le schegge del tronco che aveva colpito gli pungevano la pelle aperta. Proseguendo, addentrandosi sempre di più nella selva, scorse un coyote sventrato. Gli organi di questo erano ben visibili, persino l'intestino era aperto e si poteva osservare ciò che l'animale avesse mangiato prima di morire agonizzante. Grazie a quello ebbe lo strano presentimento di essere sulla via giusta e anche l'impulso di vomitare.

Gregorin arrestò il passo quando avvertì un fruscio, non si mosse e restò immobile per alcuni secondi e non sentendo più alcun rumore, riprese la propria camminata. Borbottava a bassa voce, mentre i suoi piedi si muovevano di loro spontanea volontà. Si fermò nuovamente nel momento in cui udì un altro rumore: rami spezzati dai passi di qualcuno. Li riusciva a percepire sempre più vicini, mentre sbuffava stanco di aspettare il suo predatore. Combattere era la cosa che desiderava fare più di tutte, adesso.

<<Al?>> la voce di Lily. Allarmata e affaticata.
<<Lily io ti faccio fuori!>> gridò l'ispanico furioso, <<Stai bene?>> sospirò solo quando la sua amica annuì.
<<Bene allora torniamo in hotel e parliamo, non esiste che sparisci durante una missione>> il tono dell'agente era tornato duro, il ragazzo era ancora un fascio di nervi.

<<Non possiamo andare via>> sussurrò la ragazza, i capelli bagnati dall'umidità e le labbra viola. Il partner stava per ribattere quando sentì dei passi pesanti scricchiolare sulla neve e del vociare.
<<Lily...>>, sospirò il moro <<Chi diavolo è?>>
<<Nemici. Tu uccidi. Ti spiego tutto dopo.>>

I due newyorkesi erano nel bel mezzo del nulla di una foresta piena di felini e persone che molto probabilmente li volevano morti ma loro erano le spie fantasma.

Cercarono con tranquillità uno spiazzo e ne trovarono uno circondato da betulle e piccoli cespugli coperti per intero dalla neve. Se si fosse alzata la testa si sarebbe potuto notare l'enorme cielo stellato che andava espandendosi a macchia d'olio. Sarebbe stata una vista mozzafiato ed estremamente rilassante, magari anche migliore se ci si fosse stesi sul lungo telo bianco e fissare in alto con gli alberi che incorniciavano il dipinto, ma i due agenti erano in pericolo, la vista sarebbe stata per un'altra volta.
Si guardarono e annuirono a vicenda, in seguito si diressero in due direzioni opposte: Al dietro un albero verso destra e Lily in un cespuglio a sinistra.

<<Veniva da qui>> disse un uomo. Era buio, perciò le due spie non capirono se fosse un agente della sede di New York. Lily osservò con attenzione le ombre delle persone, ne identificò nove in tutto. Si mosse come un animale predatore, come un leone che pregustava il suo pasto sapendo di vincere quella sfida. Scrutò, sentì il terrore provenire da quel gruppo. Il ringhio del felino si trasformò in un ghigno sul volto dell'asiatica, poi l'attacco.

Lily lanciò un pugnale. La lama finì dritta nel collo di una donna, gli altri si girarono allarmati verso di lei e videro il sangue schizzare dalla ferita mentre quella cadeva, ormai senza vita. Il resto del gruppo sparò verso il cespuglio in cui si trovava la spia ma quest'ultima già non era più lì.
Al approfittò del momento in cui erano tutti impegnati a colpire della povera erba per uccidere un uomo.

<<Le spie fantasma>> sussurrò uno di loro, la sua voce tremava di paura. Andava ammesso che Gregorin e Drast avevano la loro fama di assassini spietati che precedeva persino il loro nome.

Un altro pugnale. Un secondo sparo da parte dell'ispanico. Goccia rosse imbrattavano quel bianco immacolato, il metallo splendente si infettava di sangue mischiato alla neve. I cadaveri aumentavano: quattro, sei, otto, finché non ne rimase solo uno vivo.

Un singolo indenne uomo, tremava come una foglia nel silenzio della notte e l'incertezza della vita. Era circondato dai corpi dei suoi colleghi, schizzi di sangue gli macchiavano la pelle chiara, brillavano sotto la luce lunare proprio come gli occhi smeraldo di quel tipo. Posò persino il fucile, l'uomo, lo lanciò sul terreno e alzò le mani, così le spie decisero di essere magnanime. Lo uccisero con velocità, non lo fecero soffrire. Non lo lasciarono dissanguare sulla neve gelida con un coltello piantato nell'arteria femorale, come successe invece per un suo collega.

<<Ora torniamo in albergo>> ordinò Al. La sua amica annuì senza dire nulla e insieme si incamminarono. Come se nulla fosse successo.

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