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4. "SPIES ACT LIKE GHOSTS"

Lily si svegliò che erano a malapena le cinque del mattino, la neve non ne voleva sapere di smettere di scendere nonostante il sole si stesse facendo strada in cielo. Al dormiva ancora profondamente, poté notare, anche se il volto era coperto dai ricci scuri. La ragazza sbuffò, non le era chiaro il perché ma era infastidita. Dio quel posto era maledetto, eppure... sentiva come una forza che la legasse a quella maledizione. Percepiva che nel profondo di se stessa lei voleva rimanere... era una sensazione strana, non l'aveva mai provata. Sbuffò.

Alzatasi dal letto, prese la prima felpa che le capitò e le sigarette, poi uscì. La hall era deserta, il camino spento e l'alba penetrava dal vetro delle finestre e della porta, le poltrone erano fredde solo a vederle. Solo una persona popolava la stanza, un unico ragazzo. Un ricciolino mezzo addormentato, la bocca aperta e la mano sul mento a reggere la testa. La luce lunare gli baciava il viso, illuminandolo, facendolo sembrare di cristallo. Il diamante che era il suo volto stava risplendendo, non vedeva nulla se non la perfezione di quel riccio.

L'asiatica lo scrutò ma poi uscì, scuotendo il capo. Grugnì e accese una sigaretta.
Fece un paio di tiri osservando come i fiocchi bianchi le cadevano addosso, precipitavano sugli alberi coprendoli con il loro colore. L'acqua del fiordo era cristallina sotto la lastra di ghiaccio, sembrava rosa nei punti in cui battevano i primi raggi solari. Quel paese mozzava il fiato, ma la causa era davvero la bellezza?

Proprio mentre si godeva Flåm nella sua vuota e calma mattinata, mentre guardava come i tetti degli chalet si confondevano con il cielo, come i monti rompevano quella sfumatura e gli uccelli fischiavano il loro risveglio, notò il suv, parcheggiato dietro un abete, lucido e immacolato.

L'agente cercò di non far notare alcuna mutazione nella sua espressione o chiunque fosse dentro il veicolo sarebbe potuto scappare via. Così finì la sua sigaretta con apparente tranquillità e si voltò per andare ad avvertire Al ma nel farlo urtò qualcosa, sbatté contro il petto di qualcuno, per la precisione, e sentì delle mani forti afferrargli le braccia. Un profumo di legno e cannella invase le narici della mora come il suo naso affondò nella maglietta del ragazzo, di Caleb.

<<Ehi>>, soffiò la voce arrochita del castano, mentre la mora si staccava da esso <<Che ci fai qui fuori?>> le sopracciglia di Bryant si corrugarono mentre poneva quella domanda.
Lily disse la verità.
<<Fumavo.>>
Non tutta però.

Il riccio annuì, ancora corrucciato, e voltò la testa verso il panorama. Drast era agitata, questo caso, il susseguirsi degli eventi, la preoccupavano. Era deconcentrata. Lei e il suo partner dovevano fuggire da quell'albergo senza voltarsi.

<<Torno in camera, buonano- buona giornata Bryant>> la spia tagliò corto, cercando di camminare via da lì il più in fretta possibile, ma la voce del marine la bloccò.
<<Puoi chiamarmi Caleb>> sussurrò, una sigaretta spenta tra le labbra gonfie e le pietre verdi stanche di esserlo. L'asiatica sospirò, non disse nulla.

L'agente tornò quatta nella sua stanza, Al non si era mosso di un solo millimetro, ormai erano le sei e il sole si stava facendo valere, combattendo contro la luna. La ragazza non aveva dimenticato il suv e ora che Caleb era stato visto non lei, eliminare quella minaccia divenne una priorità. E maledizione non doveva preoccuparsi di quel tipo.

Dalla sua bocca uscì uno sbuffo, un grugnito... Dio non sapeva cosa fosse, solo un rumore indistinto causato dal fastidio. Dannati sentimenti. L'unica cosa che la rendeva lucida, adesso, era la calma che si respirava in quella stanza ormai in disordine. Nonostante ci fossero vestiti, fogli di fascicoli sparsi ovunque e quel poco di vento agghiacciante che smuoveva la tenda. Il gelo attecchiva sulle pareti bianche e intonse, le luci dell'alba schiarivano il buio in cui sprofondava la camera. I pugnali della mora, posati sul tavolo, brillavano sotto i appena visibili raggi del sole, il metallo della lama tagliava solo a guardarla.

L'asiatica svegliò il suo partner con la poca grazia che possedeva, gli riferì del suv. Le spie sarebbero uscite, avrebbero reso una trappola a chiunque li stesse pedinando. Avrebbero fatto il loro lavoro. Fortunatamente il veicolo era ancora fermo dove Lily lo aveva scorto in precedenza, così i due colleghi si misero in auto alle sette di mattina. A New York erano le undici di sera, circa, perciò gli agenti ne approfittarono per chiamare il loro capo.

<<Non se ne parla>> sentenziò la voce fredda di Robin Law, era contrario alla decisione di Gregorin e Drast di cambiare albergo, anche se non aveva intenzione di rivelarne il motivo.
Al era confuso, l'uomo gli diceva sempre che se si fossero legati a qualcuno sarebbero dovuti scappare il più lontano possibile. Veloci come le gazzelle fuggivano dai leoni feroci e affamati.
<<Ma, signore, siamo troppo coinvolti e->> il ragazzo venne interrotto dal più anziano.
<<No, dovete rimanere lì.>> In seguito salutò i ragazzi e chiuse la chiamata.

Le spie si guardarono alcuni secondi, il riccio stava guidando, perciò riportò immediatamente lo sguardo sulla strada.
<<Che diavolo gli è preso?>> chiese quest'ultimo, l'amica scosse solo la testa. L'ispanico sapeva che la sua amica stava cercando una spiegazione che giustificasse il comportamento di Robin, lei era quella che aveva un rapporto affettivo con lui. Per il moro era solo il suo capo, ma a Drast l'uomo aveva fatto da secondo padre quando le erano morti i genitori. Non gli importava comunque, il ragazzo per la prima volta era contrario ad una decisione di Law.

<<Se succede qualcosa è colpa sua, non mi porto altre persone sulla coscienza>> parlò il riccio, corrugando la fronte, lo sguardo fisso sulla strada.
"La rabbia acceca i sensi" veniva detto alle reclute il primo giorno di addestramento.
Lily si voltò verso di lui.
<<Noi ci siamo avvicinati allo staff>> replicò.
Il moro la schernì <<Lo hai detto tu Lil... non siamo robot>>, ribatté <<Ci affezioniamo, odiamo... siamo umani.>>

La partner fissò fuori il finestrino la neve che cadeva, il fiordo ghiacciato, e scosse la testa.
<<Se non siamo capaci di proteggerli è colpa nostra e addossarla a qualcun altro non cambierà la situazione... Il senso di colpa è dovuto dal fallimento a sua volta causato dalla paura di fallire, è un circolo vizioso.>>

Dopo quello i due ragazzi non parlarono più, il loro breve viaggio continuò in silenzio. Di tanto in tanto l'asiatica controllava che il suv li stesse seguendo e il moro inceneriva ogni cosa che passasse sotto i suoi occhi, non gli piaceva quella situazione. Per niente.

La mora e il suo collega dopo circa venti minuti arrivarono in una piana, era lontana dal paese, anche se si fosse scatenato il caos nessuno se ne sarebbe accorto. Quel posto era immerso nel nulla, nella bellezza Norvegese. Il chiarore della neve contrastata dall'oscurità della foresta, presente sulla sinistra, chiedevano silenziose di essere osservate e studiate, ogni dettaglio desiderava essere scorto, qualsiasi piccola cosa voleva essere amata dallo sguardo di chiunque l'avesse raggiunta. Le foglie verdi delle betulle era ricoperte dalla coltre di bianco, il bosco era scuro, fitto. D'altra parte il fiordo raccontava una storia più congelata e luminosa, il coperchio del corso d'acqua era opaco e solido, ma all'interno si potevano immaginare le correnti, le forme di vita che abitavano il fondale. Il dirupo alla destra degli agenti era ripido, roccioso, degli scogli erano proprio sotto questo, era probabile fossero rocce delle montagne che erano franate. Un salto, un viaggio senza ritorno. Il cielo sopra di loro era chiaro, neanche una nuvola osava coprire quel cristallino paradiso. Il sole era al suo posto, nel bel mezzo di quel mare, con i suoi raggi brillanti, battenti su ogni superficie. Quel posto era un continuo conflitto tra caldo e freddo, bene e male, luce e oscurità. Tutto così simile ma diverso. Il vento era fermo, non c'era un soffio o un fischio, solo tanta, tanta neve e il gelo che attecchiva sulla pelle e penetrava nelle ossa.

Al frenò di botto quando decise che quello era il luogo giusto, la macchina scivolò, si fermò orizzontalmente, i fiocchi cominciarono a posarsi sul tettino del veicolo. I ragazzi ne uscirono con uno sguardo intimidatorio e corrucciato, Lily rigirava un pugnale kunai sull'indice, il suo amico invece stava caricando la sua glock con nonchalance. Aspettavano, attendevano con tutta la calma che possedevano che l'altra auto li raggiungesse. Quella, però, quando si rese conto di essere caduta in una trappola, mise la retromarcia per tornare in paese.

I newyorkesi si guardarono, sbuffando, la mora fece un cenno al suo partner. L'ispanico, con la tranquillità che lo contraddistingueva mirò alla ruota del suv, sparando. Quest'ultimo sbandò, fu costretto a fermarsi o sarebbe precipitato nel fiordo. Nessun movimento.

I quattro gradi sotto zero si sentivano tutti. Nel silenzio della foresta, dell'acqua; non una persona si era spostata. L'adrenalina alle stelle, come sempre prima di uno scontro a fuoco, le spie lo sapevano che si sarebbe aperto, loro e gli sconosciuti nel veicolo, lo sapevano. Il suv era lì, fermo con il muso di fronte agli agenti, i vetri oscurati. Il nulla. Al era una persona che si irritava facilmente e quella missione lo stava confondendo. Ora stava perdendo la pazienza, perciò puntò la pistola sul parabrezza del veicolo che aveva davanti. Premette il grilletto. Non aveva ucciso nessuno, ne era certo, come lo era del fatto che aveva spaventato i due uomini che uscirono dall'auto.

Drast e Gregorin si aspettavano chiunque ma non loro, tra tutti. Entrambi gli sconosciuti indossavano un completo nero che gli calzava alla perfezione, al collo pendeva il distintivo della CIA. Nonostante quei due agenti fossero appena stati colti sul fatto, sul viso mostravano un'espressione vittoriosa, lo sguardo volpino.
Lily e Al non sapevano se essere scioccati o seccati.

Gli occhi neri e avidi di quello che Lily riconobbe come Henry Lockart apparivano spaventati nel profondo ma comunque sfacciati, quello non poté che divertire l'asiatica. Oh sì, lei e il suo amico non andavano d'accordo con Lockart e Devery, il partner di Henry. Gli ultimi due non avevano idea del perché i loro colleghi non li sopportavano, non che gli interessasse. James Devery e Henry Lockart facevano il loro umile lavoro come agenti speciali ed erano bravi, dannatamente capaci, tanto quanto egoisti e maleducati.

Il fatto che quei due fossero lì, fece capire ad Al e la sua amica che i loro "nemici" ora lo erano a tutti gli effetti, stavano dalla parte di White. Il ghigno non scomparve dai visi degli uomini, mentre estraevano le loro pistole dalle fondine, anzi si allargò quando videro i newyorkesi correre dietro la loro auto per proteggersi. In pochi secondi il silenzio venne squarciato dagli spari.

<<Che facciamo?>> l'ispanico gridava, mentre cercava di sovrastare il rumore. Entrambi i ragazzi erano accovacciati accanto alla ruota della macchina con un braccio sopra le proprie teste. La mora si guardò intorno, per cercare un posto in cui essere dei fantasmi ma non scorse nulla se non la foresta, la quale era troppo lontana, si limitò a rispondere con un piano d'attacco.
<<Aspettiamo, finiranno le munizioni. A quel punto tu mi coprirai mentre io vado verso di loro e li metto fuori gioco.>>

Come aveva predetto la ragazza i colpi cessarono, il silenzio divenne l'unico suono che rimbombava tra le pareti craniche delle spie. Andò tutto come pianificato: il riccio si alzò e iniziò a sparare, facendo così abbassare i due.
<<Via libera Lils>> gridò il moro.
Drast non se lo fece ripetere e cominciò a correre... Ora sentiva il vento, tra i capelli e sul volto, le stava gelando gli organi, i muscoli e l'unica cosa a cui pensava mentre raggiungeva James era fare il suo compito. Proteggere la società.

Gli occhi ramati di Devery fiammeggiavano mentre combatteva contro Lily, assomigliava a una tigre tenuta a digiuno e in seguito sguinzagliata, per questo che fu abbattuta. James lottava con le emozioni, queste offuscavano la vista. La liscia spegneva ogni cosa, lei non prova nulla nel dare pugni, aveva imparato a farlo quando desiderava, durante i suoi anni in accademia, quella le aveva tolto l'umanità.
<<Ce ne hai messo di tempo>> scherzò Al, Lockart era ammanettato davanti a lui, non appena la mora riuscì a far cedere il suo avversario.

L'asiatica notò un chiazza di sangue a imbrattare la neve candida, il viso scuro contratto in una smorfia di dolore e fastidio e gli occhi iniettati di divertimento. Quella era la cosa che odiava la ragazza in primis, il mostrare quell'espressione di menefreghismo e quel riso nei momenti in cui non avrebbe dovuto, nell'istante in cui sarebbe dovuto essere pieno d'odio. Drast preferiva essere odiata che presa in giro, Lockart lo sapeva e lo usava a suo favore.

<<Bene>>, sospirò l'ispanico <<Lavorate per White e vi chiederei di dirci dove si trova ma siete addestrati come noi, perciò non perdo neanche tempo>> ridacchiò, le ciglia curve sbattevano tra di loro.

I partner si guardarono un po' sorpresi, forse scettici: <<Davvero?>> chiesero in contemporanea, le loro sopracciglia fecero la stessa azione. Il riccio alzò le spalle, un sorriso beffardo calzava con l'immagine demoniaca che trasmetteva il suo sguardo, il bianco dei suoi denti spiccava sul paesaggio.
<<Sì, useremo i vostri cellulari per avere informazioni, poi vi uccidiamo.>>

Devery ruotò gli occhi al cielo, come se si fosse ricordato di una cosa fondamentale, bofonchiò un: <<Giusto>>, a testa bassa e un sorrisino quasi tenero <<Voi siete le grandi e spietate spie fantasma, no?>>

Le spie che arrivavano senza che nessuno li vedesse, incredibilmente veloci e forti. Sui fantasmi giravano voci, anche leggende, che non fossero umani, che avessero qualche sorta di superpotere. Seminavano terrore anche tra gli agenti di tutte le sedi, nessuno conosceva la loro identità, rappresentavano a pieno la compagnia federale per cui lavoravano: l'ignoto. Il fatto che venivano chiamati "spie fantasma" raccontava la storia del terrore del nulla, di ciò che era sconosciuto. Si teme ciò che si ignora.

Spietati e disumani, Lily e Aloysisus, erano anche fieri di scaturire quelle reazioni al loro nome, sia tra i criminali che gli agenti di qualsiasi società di spionaggio. Gregorin aveva un suo "motto", che dedicava alle persone che scoprivano la sua identità: solo i morti vedono i fantasmi. Quelli che ne venivano a conoscenza scomparivano, morivano tutti come mosche. Il non sapere diffondeva più terrore, voleva che restasse così.

<<Infatti>>, rispose gelida la ragazza <<Siamo noi>> non palesava alcuna espressione, la sua pelle sembrava ceramica.
Henry sbuffò. <<Ci uccidete o...?>> chiese ironico, la cicatrice sullo zigomo risaltava sull'oscurità del suo viso.
<<Io dico di no>> affermò Devery, era troppo sicuro, considerò Al. James riuscì a liberarsi dalle manette, dopo vari tentativi, e prese una granata fumogene a strappo e la gettò ai piedi dei due newyorkesi, che si allontanarono per evitare di aspirare il fumo, erano in luogo aperto perciò sarebbe stato più semplice.

<<Ce ne hai messo di tempo eh>> disse Lockart annoiato, mentre il suo partner lo liberava.
<<Chiudi la bocca, ci ho messo anni per liberarmi da quelle cose infernali>> rispose astioso Devery, Henry alzò un sopracciglio e inclinò la testa in segno di approvazione.
<<Sì ho notato... oh libertà>> esultò, toccandosi i polsi e grugnendo un po' per la ferita, nel mentre James scuoteva la testa.

Il fumo era ancora presente perciò i newyorkesi non riuscivano a vedere gli altri due, decisero così di aggirarlo, passando per destra di questo.
Allo stesso tempo gli agenti in completo discutevano, come loro solito, e si misero d'accordo solo quando alle loro spalle comparvero Lily e Al.
<<Andiamo Jamie, non sarà così male>> Devery guardò male il suo amico ma non disse nulla, i fantasmi si guardarono di sbieco, non capendo. Compresero qualche secondo più tardi, nel momento in cui videro i loro colleghi saltare dal dirupo. Scorsero l'acqua, il ghiaccio rotto e il vento... era presente sul precipizio. Fu strano come non accettarono che Lockart e James erano morti, sembravano troppo sfacciati per esserlo, ma era così. Henry e Devery erano annegati nelle acque gelide dell'Aurlandsfjord.

Le spie cambiarono la ruota al suv e abbandonarono la loro auto, poiché era stata crivellata di proiettili. Tornarono in hotel, Lily si addormentò mentre Al guidava con la fronte corrugata. L'unica domanda che aveva in mente era: "Perché?"

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