3. WHAT'S RIGHT?
Un biondino vivace, non amava le regole, per lui la vita era frivola senza l'adrenalina. Il vivere a Flåm rappresentava una tappa, l'inizio di una rampa di scale la cui fine era solo la morte.
Clay Stuart era la vita, la luce, e voleva contrastare l'oscurità del mondo. Gli piaceva pensare che ci sarebbe riuscito, un giorno. Fare la differenza. Dietro il suo pensiero, comunque, c'era una sorta di velata tragicità. Secondo la sua migliore amica, perlomeno, lui non riusciva a capirne il perché. L'umanità non era composta da speranzosi? Le persone lo chiamavano immaturo o ragazzino come se non avesse capito che quello che sognava era grande, enorme e troppo buono per la crudeltà in cui annegava il genere umano. Lui non era piccolo perché vedesse i demoni erranti per la terra, ma sognava. Anche quello era un difetto adesso?
Il soffitto bianco della sua camera non gli diede alcuna risposta, sbuffò. Avrebbe dovuto, voluto dormire, aveva appena terminato il turno ed era stanco, ma se avesse chiuso le palpebre gli sarebbero venuti in mente un altro paio d'occhi. Marroni, scuri, caldi. Dio era patetico, pensava ad un ragazzo dopo averci parlato due minuti e averci fatto sesso l'istante dopo. Clay soffocò un lamento nel cuscino.
Nel frattempo nella stanza numero quattro del Flåm hotel, i due agenti stavano discutendo i risultati della loro passeggiata. Il villaggio era piccolo, così tanto che White non avrebbe avuto alcun posto per nascondersi, non c'erano molti edifici abbandonati o grandi magazzini. Le persone parevano all'oscuro di tutto, il traditore non doveva aver commesso nessun crimine o lo si sarebbe scoperto subito.
La domanda che le spie si ponevano era: perché lì? C'erano tante città al mondo, tanti posti sconosciuti e introvabili e Grieg era andato in un insignificante paese norvegese, nato su un fiordo e con poche vie di fuga. Era svantaggioso, troppo. Camminando per Flåm, oltretutto, i ragazzi erano riusciti a vedere un suv nero, troppo costoso per gli standard del villaggio. Lo avevano scorto più volte: alla caffetteria, il negozio di souvenir e il ristorante. Era così giunti alla conclusione che, chiunque fosse in quel veicolo, li stessero pedinando.
<<Dobbiamo scoprire chi ci segue>> disse Al, passandosi un asciugamano tra i lunghi capelli ricci, in faccia aveva stampata un'espressione infastidita: <<Odio la neve>> borbottò.
<<Sono d'accordo, prima ce lo togliamo di mezzo meglio è>> accordò l'amica, sfilando la grossa felpa smeraldo che indossava. Notò che aveva lo stesso colore degli occhi di Caleb. Scosse la testa quando si rese conto dei suoi pensieri.
Al aggrottò la fronte, molto di più di quanto non facesse di solito: <<Stai bene?>> domandò.
La mora annuì, esitante, ma l'ispanico non replicò e si diresse verso il bagno.
Lily ci rifletté su per qualche secondo ma poi si ricordò che doveva sapere, i partner si dicono ogni cosa. <<Senti... Quel ragazzo, il tinto, ti ha riconosciuto, perché?>> chiese.
Al sbucò dalla porta e si poggiò sullo stipite, sospirando. Il fatto che fossero andati a letto insieme non avrebbe preoccupato Drast, se non fosse che alloggiavano nell'albergo in cui il biondo lavorava. L'ispanico ripeteva che non era un problema, che lo avrebbe evitato.
<<Io sono stata con Caleb, il riccio che era vicino al ragazzino stamattina>>, il moro sbiancò <<Non possiamo distrarci, ci faremo ammazzare o li faremo uccidere. Dobbiamo cambiare albergo>> concluse l'asiatica, passandosi la sua letale mano tra i capelli.
<<Non siamo dei robot, non abbiamo la possibilità di non affezionarci, o peggio, e se siamo andati a letto con loro significa che ne siamo attratti. L'amore non è in opzione per noi, ne hai le cicatrici addosso Al>> lo sguardo della liscia era fisso su un punto impreciso della camera, mentre il suo amico annuiva. Gli occhi bui immersi in un ricordo infetto, sapeva bene di quali cicatrici stava parlando. Dopo essersi fatti una doccia, i ragazzi decisero di uscire e mangiare in qualche pub.
Gli agenti si erano rintanati nel primo locale che avevano trovato, non lessero neanche l'insegna con il nome. Mangiarono in silenzio e la testa da tutt'altra parte. Non fecero caso al posto, le luci calde e accoglienti. Non prestarono attenzione all'arredamento nordico, tipico dei paesi come Flåm. Non notarono nemmeno che si erano seduti su dei barili e non su degli sgabelli. Raro avvenimento per loro due, non scorgere i particolari, dopotutto era il loro lavoro. L'unica cosa che gli era saltata all'occhio era la folla. Il bancone era nascosto dalle persone, a malapena si notavano gli spillatori per la birra. Di certo non mancavano le coppie che si sbaciucchiavano qua e là e qualche ragazzo ubriaco che non sapeva neanche cosa stesse succedendo.
In tutta quella confusione e disattenzione un'ultima cosa era sfuggita allo sguardo delle spie: lo staff dell'hotel. Quei quattro ragazzi che erano rimasti a guardarli da quando avevano fatto il loro ingresso nel pub.
<<Dio questo caso mi fa pensare ai miei genitori>> sbottò Lily, fu lei a rompere quel silenzio teso. Il moro alzò il capo e aggrottò la fronte: <<Perché?>>
L'asiatica ruotò gli occhi, spiegare i suoi sentimenti alle persone la infastidiva, insomma una sensazione come poteva essere detta a parole? Ora, però, proprio non riusciva a tenersi quel pensiero in testa.
<<Stiamo cercando il loro migliore amico che ha ucciso sua moglie, altrettanto amica loro, ed è accusato di tradimento. Come avrebbero reagito se fossero vivi? Non si consegnerà, lo so, saremo costretti ad ucciderlo e io- io non so se sarò capace di uccidere l'unica persona che porta con sé il ricordo dei miei genitori>> spiegò la ragazza, gesticolando ansiosamente con le mani, non era per niente a suo agio.
La mora, comunque si doveva aspettare la risposta del suo migliore amico, non l'aveva mai delusa e non sapeva perché se lo fosse immaginato adesso.
<<Ci sono io per quello e ci sarò anche in caso tu cadessi>> concluse, poi una smorfia di disgusto gli si formò sul viso.
<<Per tutti i diavoli ci stiamo rammollendo.>>
Lily rise, anche il suo partner non era espansivo per quanto riguardava emozioni e cazzate varie.
Gli agenti sussultarono quando percepirono delle figure sedersi al loro tavolo, in seguito riconobbero Caleb e la stessa che gli aveva fatto il check-in. Clay non era presente, probabile che fosse di turno, bensì c'era una ragazza che le spie non avevano mai visto prima.
<<Allora>>, iniziò la bionda <<Avete risolto i problemi in paradiso?>>
Le uniche risposte che ottenne furono le sopracciglia inarcate dei newyorkesi, notandole il piccolo sorriso che la ragazza stava mostrando svanì.
<<Non stavate litigando vero?>> borbottò, si stava pian piano abituando al senso di rassegnazione che provava nel fare brutte solo brutte figure davanti a quei due ragazzi.
I partner annuirono esitanti alla domanda, causando un sospiro alla bionda e un ghigno furbo alla sconosciuta.
<<Non state neanche insieme, non è così?>> parlò quest'ultima, convinta delle sue parole.
Lily e Al si guardarono, le labbra chiuse in una linea sottile.
<<Ehi, ciao come va? Sapete vi abbiamo visti al tavolo e abbiamo deciso di osservarvi>> ironizzò la liscia, pavoneggiandosi con la mano su cui si intravedeva il tatuaggio della felce.
Al le resse il gioco.
<<Oh wow fantastico, adoro chi si impiccia dei fatti miei, soprattutto gli sconosciuti.>>
Lo staff era indeciso se ridere o alzarsi e andare via da quel locale più in fretta possibile, ma avrebbero visto quei ragazzi all'hotel perciò il tentativo sarebbe stato vano. Inoltre i loro clienti avevano un fascino macabro, erano spaventosamente belli. Possedevano entrambi quel mistero che accomunava tutti gli americani.
Caleb si grattò il capo: <<Sì ecco... presumo sia un po' fastidioso... ma vi avevamo visti un po' giù di morale e volevamo aiutare>> esitò.
Vide come i lineamenti duri dei ragazzi si sciolsero e le iridi si fecero più calde, amichevoli.
<<Perdonateci, di norma non siamo così maleducati>> sorrise Drast, mostrando le sue solite rughette attorno agli occhi, lo staff si rilassò.
Il silenzio tornava a regnare e, secondo dopo secondo, le spie lo odiavano sempre di più. Due newyorkesi a Flåm? Sembrava l'inizio di una barzelletta. Il caos di New York si poteva paragonare alla calma del paese norvegese: un piacevole fastidio. Intrigava all'inizio ma soli due giorni in quel posto sperduto avevano già teso i nervi degli agenti.
Il sorriso riprese forma sul viso della bionda. <<Nessun problema. Io sono Robelyn Jean.>> Era bello sapere che "la ragazza del check-in" avesse un nome, carino da sentire.
Le spie si erano messe in allerta quando avevano sentito dei corpi sedersi al loro tavolo, erano rinsavite. Stavano notando ogni singolo dettaglio. Il sorriso di Robelyn, per esempio, era ampio e luminoso, la dentatura impeccabile proprio come la sua pelle chiara. Gli occhi azzurri cristallini urlavano, però, devastati da chissà cosa. Il contrasto con cui quella ragazza si rispecchiava era esagerato, come una fotografia editata male. Il soggetto era mozzafiato, l'autore incapace.
L'ultima ragazza, Fairy Gosth, era un mistero vivente. Se ne stava seduta sul suo barile con un'espressione... diversa da quelle dei suoi amici. Caleb ne aveva una neutrale e Robelyn una felice; lei invece era interessante, a volte diveniva un guscio vuoto, altre un animale predatore in gabbia. I suoi capelli rossi ricci e voluminosi erano fiammanti, le iridi marroni uno specchio rotto, frantumato.
Lily e Al si guardarono di sguincio, uno sguardo d'intesa, stavano comunicando. Avevano compreso che non riuscivano a scoprire quei ragazzi. Oramai erano lì, così i "turisti" e lo staff parlarono per una mezz'ora, fin quando i partner non decisero che era meglio andare a dormire. Salutarono i ragazzi, convinti che non li avrebbero più visti.
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