4 - If you feel like I feel, baby...
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Una sensazione gelida colpì Bruno sulle spalle nude e sbatté le palpebre per scacciare il sonno, scoprendo poco dopo di essere senza vestiti. Le lenzuola lo coprivano fino a metà del busto, il piumone che stava sopra era completamente a terra e i loro vestiti gettati sul tappeto e pavimento come degli scarti. Gli doleva un po' la testa per via di quella leggera sbronza, ma ricordava quello che era successo la notte prima.
Il cubetto di ghiaccio, il perizoma... quest'ultimo a terra accanto ai suoi pantaloni. La vista lo fece sorridere. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che lo avevano fatto in quel modo così sensuale, selvaggio.
La prima cosa che adocchiò fu il telefono. Bruno non aveva idea di che ora fosse, ma doveva comunque svegliarsi per il matrimonio di Geoffrey e Liam. Dopotutto lui e Gin erano gli ospiti d'onore. Sollevò la cornetta e chiamò la reception per poter richiedere il servizio in camera. Quando riagganciò, accese l'abat-jour per guardare l'ora dal suo Rolex. Erano le nove del mattino, la colazione sarebbe arrivata nel giro di mezz'ora. Il tempo necessario per rimettere quei vestiti nella valigia e non ci avrebbe fatto bella figura, se il cameriere fosse entrato nella suite con tutto quel disordine.
Successivamente spostò lo sguardo sulla donna sdraiata di fianco. Dormiva beata, i capelli arruffati dopo quell'intensa notte. Le lenzuola coprivano la parte inferiore del suo corpo – per sfortuna le gambe e il suo sedere erano velati da quel manto di seta profumato – e guardò la curvatura del fianco, fino al punto dove s'intravedeva una piccolissima smagliatura. Quell'imperfezione la rendeva ancora più bella ai suoi occhi.
Si girò su un fianco e si avvicinò in modo che il petto si scontrasse contro la sua schiena, le natiche rotonde premute contro il suo bacino. Sua moglie aveva il sonno pesante, anche se quel corpo tenero e morbido reagiva al suo tocco magico. Dormiva profondamente, ma lui sapeva esattamente come svegliarla.
La scoprì scostando via il lenzuolo e fece in modo che potesse sentirlo, quanto ancora avesse adrenalina in corpo. Con la mano cercò un seno e l'altra accarezzava la curva del fianco, inspirò il suo profumo e con le labbra risalì fino al lobo destro del suo orecchio e lo prese fra di esse, sentendola mugolare di protesta. La sua reazione lo eccitò ulteriormente.
Lei si girò appena e lui non esitò a baciarla e sovrastarla col proprio corpo, sentendo il familiare languore nelle parti basse. Era bello sapere che fosse nuda, poteva sentire quel tepore contro di sé. Quello che dopo poco tempo sarebbe diventato ardore.
Le accarezzò il collo con le labbra, fino ad arrivare nell'esatto punto dove i suoi seni si separavano, appena sopra il ciondolo di Tiffany che sfoggiava da ormai due anni. La luce del giorno la faceva sbrilluccicare divinamente. Il respiro di lei era lievemente irregolare, non abbastanza da svegliarla. Bruno non si arrese e puntando gli occhi verso il capezzolo sinistro, cominciò a leccarlo e morderlo dolcemente. Nel mentre, lasciò che la propria zona pelvica si strusciasse contro la sua – anche solo sentirla pronta sotto di sé alimentò l'incendio nel proprio corpo.
Gin incontrò i suoi movimenti e ancheggiò di rimando, mosse appena una gamba con l'intenzione di avvolgerla intorno a lui. «Bruno...» biascicò ancora assonnata, ma quasi sveglia.
Il ricciolino ebbe voglia di unirsi con lei e lo avrebbe fatto senza pensarci due volte, se avesse avuto le energie sufficienti per alzarsi e cercare un altro preservativo. In realtà aveva in mente una cosa molto più sporca, quella che avrebbe saziato la sua fame.
Schioccò altri baci e scese ancora e ancora, arrivando a pochi centimetri dal pube. La sua rosa era schiusa e i petali bagnati di rugiada, come in una mattina di primavera. Si prese del tempo per aprirle delicatamente le gambe, insinuandosi fra di esse col viso per baciarle l'interno delle cosce e stuzzicarla.
Un dolce ansito uscì dalla sua bocca, quando il suo naso sfiorò appena quel leggero velo scuro che proteggeva la sua rosa. Osservando i suoi occhi cerulei lucidi di sonno, Bruno passò a leccarla delicato e senza fretta. Il corpo di lei cominciò a tremare per il piacere insormontabile che stava ricevendo, i fianchi che si muovevano per chiedere di più.
Nonostante l'adrenalina nel corpo, il ricciolino si trattenne, mentre stuzzicava il clitoride con la lingua. Un tocco di punta, poi di labbra. Lei scattò pericolosamente in avanti col bacino come scossa da un fulmine e la ruvidezza e il calore fra le gambe si fece più intenso, così come il suono della sua voce. Ogni volta il suo tocco le sembrava nuovo, e in quel momento lui la baciava in quel modo cosi... così... «Ahhh!»
I dolci gemiti di sua moglie echeggiarono nella suite. Amava sentire quella voce modularsi fra un gemito e l'altro, così come amava sentirla implorare di volere di più. Il suono più bello che avesse mai sentito e tanto più la sentiva fremere, tanto più era delizioso quel nettare. Bruno era sempre delicato, anche quando amava e venerava il suo giaciglio d'amore.
La situazione gli sfuggì di mano e scese più in basso, penetrandola con la lingua. Gli occhi di Gin si spalancarono per un breve secondo, prima di posare le gambe sulle sue spalle e gemere ad alta voce. Sentiva quel calore per tutto il corpo. Era troppo! — «Oh, mio Dio!»
Lui sorrise compiaciuto e continuò, stavolta più vorace, come un cucciolo felino affamato. Lei cantò e danzò con lui, gemendo con voce morbida e poi dura. L'intensità di quell'amore la stava sovrastando completamente. «Bruno!»
Fai ancora il mio nome, bebita... fallo ancora.
E lo fece, più volte, le dita che stringevano l'orlo del cuscino e la sua testa all'indietro. Non c'era parte del corpo che fosse sotto il suo controllo, tutto veniva dalla sua audacia. Lo schiocco fra le sue gambe si mescolò ai gemiti, un suono che la portò in paradiso.
Lo spasmo finale fu talmente forte da farla urlare, facendo scattare verso l'alto tutto il bacino. I movimenti si fermarono minuto per minuto, mentre quella bellissima sensazione di appagamento irradiò il suo corpo dalla testa ai piedi. Gin si sentiva così bagnata, accaldata, le guance rosse e il viso imperlato di sudore. Riaprì gli occhi e si ritrovò a fissare i suoi, mentre si sistemava dolcemente fra le sue cosce in cerca di coccole. Gli gettò le braccia intorno al collo, lasciandosi baciare e permettendo che la sua mano affondasse nei suoi riccioli folti e morbidi.
La sua ricompensa fu un debole sorriso, gli occhi lievemente socchiusi per il sonno. Bruno restò fra le sue cosce, beandosi della morbidezza del suo ventre. Non voleva più staccarsi.
«Dovremmo...»
Fare colazione? – «Già fatto, fra mezz'ora mangeremo.»
Gin non se ne stupì. Da qualche anno Bruno era solito ordinare una colazione abbondante a base di frutta esotica, caffè americano e fiocchi d'avena. Il personale sapeva già come e quando avrebbe fatto colazione, il vantaggio di essere un cliente abituale. Ciò aveva stupito molto il suo manager, poiché era passato dalla classica colazione americana con uova, bacon e toast accompagnato dal caffellatte, ad una sana e poco dolce.
«Resta qui, ci penso io ai vestiti.»
Si alzò e scostando il lenzuolo, si mise in piedi per recuperare i vestiti da terra – in primis il perizoma rosso e il reggiseno, in secundis gli abiti da cerimonia. Gin si coprì con il lenzuolo e si perse per qualche istante ad ammirarlo mentre andava e veniva dal bagno. Osservò i muscoli della schiena, le gambe toniche e lisce... Non aveva curve, ma si teneva ben in forma.
Tornato ancora una volta nel bagno, Bruno si stiracchiò. I muscoli si contrassero e si distendevano uno ad uno, fra un movimento e l'altro. Chissà se si muovevano in quel modo anche quando facevano l'amore. Avvertì una serie di spasmi tra le gambe e per la vergogna, arrossì come un peperone e nascose la faccia contro il cuscino. Cielo, da quando era diventata così perversa?
«Che fai, ti nascondi?»
Un secondo spasmo e sussultò, sentendo la sua voce. «N-no, assolutamente no.»
«Mi hai visto tante volte con l'accappatoio addosso.» – E anche senza, avrebbe voluto aggiungere, ma non voleva metterla troppo a disagio. «Dai, girati.»
Gin obbedì e si mise su un fianco per guardarlo annodarsi la corda intorno alla vita. «Il bianco ti dona» commentò lei, mentre lui si sedeva sul letto.
«Non quanto il rosso, in realtà. Di solito preferisco indossare il mio colore preferito e il nero.»
«Anche le fantasie floreali e barocche.»
«Anche» ripeté sorridendo, dopo essersi ricordato di avere una collezione di camicie. Nonostante il lato casual, adorava sfoggiare fantasie barocche – così come vederla addosso a Gin.
Posò lo sguardo su sua moglie e le fece cenno di avvicinarsi, lasciando che lei salisse sul suo grembo perfettamente conscia di essere nuda. Si lasciò distrarre dal suo corpo morbido e candido sopra il proprio, le dita delle sue mani tremavano e finse di non averlo notato. Il lenzuolo le copriva i fianchi e d'istinto i suoi occhi seguirono le curve, puntando l'attenzione sul suo seno dalle punte turgide per il freddo della stanza. Santo cielo, se era sexy... e dire che la notte prima sembrava una messalina travestita da arcangelo puro.
Gin fece schioccare le dita davanti al naso, facendolo uscire da quel breve stato di trance. «Peter?»
Eh? Cosa? – «Che...?»
Successivamente posò le mani sulla mascella lievemente ruvida, mentre lui la guardava profondamente negli occhi e faceva scorrere le mani lungo i fianchi. «Ti stavo parlando.»
«S-scusa, ero distratto.»
Distratto da due meloni maturi.
«Stavo dicendo: l'obiettivo di questo progetto è anche promuovere qualche artista emergente?»
«Esatto, lo scopo è mandare avanti le nostre case discografiche – specialmente quella di Anderson. All'inizio sarà difficile, ma ce la metteremo tutta. Il mondo ha bisogno di novità, e noi sappiamo dove trovarla.»
Quelle parole avevano un fondo di verità: chiunque stringeva la mano di Bruno o di Anderson, veniva baciata dalla fama e dalla fortuna. Quando Mr. Jenkins diceva che tutto ciò che suo marito toccava, diventava oro, non era affatto metaforico. Bastava assistere alle jam session con i suoi colleghi, soprattutto emergenti, e condividere un testo pieno d'amore o divertente.
«Si è visto ieri sera, c'è stato il pienone e tutti i tavoli sono prenotati per i prossimi quattro mesi.»
«Ancora otto mesi e lo terrò occupato per noi.» Le sfiorò il ventre con una mano, il sorriso timido e il labbro inferiore fra i denti. «Il tuo prossimo compleanno lo festeggeremo soli soletti.»
«A casa nostra non va bene?»
No, perché aveva bisogno di essere circondato dal lusso per far rinascere quella sensualità che aveva mostrato quella notte. «Lo faccio per non bloccare la crescita delle bambine.»
Gin alzò gli occhi, sopprimendo una risata. Che idiota! Avevano installato un blocco apposito per prevenire quel problema. «Facciamo finta che ti credo» sogghignò e si accoccolò su di lui, permettendo a suo marito di abbracciarla.
Intanto che aspettavano, sarebbero rimasti a letto abbracciati. Bruno aveva calcolato tutto, soprattutto il risveglio. Non amava tanto il silenzio, neanche dopo il sesso. Dovendo allenare la voce, intonò qualche parola e permise alla mano di sua moglie di toccare qualche ricciolo ribelle dalla nuca.
«"It's been a long, long time, yeah... Since I got you on my mind. Now you are here, I said, It's so clear".» Era tipico di Bruno Mars dedicare canzoni d'amore, specialmente le sue preferite. «"There's so much we could do, baby"...» Sfiorò le labbra di Gin con le proprie e fece in modo che i loro nasi si strusciassero sul lato. «"Just me and you".»
Lei restò al gioco, riconoscendo le parole di Bob Marley. «E cosa potremmo fare?»
Lui lanciò un'occhiata alla porta del bagno aperta in lontananza. «Una doccia calda insieme.»
«Conoscendo le tue tendenze da Casanova, rischiamo di allagare il bagno.»
«Che m'importa, tanto non è nostro.»
«Sei uno stronzo, sai? L'hotel paga milioni di dollari per mantenere un lusso del genere.»
«Hai ragione, gli sprechi d'acqua vanno contrastati» sorrise, prendendo la sua mano per ammirare il suo anello di fidanzamento. «Anche di denaro.»
«Lo hai capito, finalmente» scherzò lei, intrecciando le dita con le sue. Il calore del suo corpo era così inebriante da essere una dipendenza, così come il suo profumo naturale.
Bruno inspirò felice e lasciò che le loro punte del naso si scontrassero con amore, il sorriso sulle proprie labbra. Bastava poco per ritrovare il buonumore, quando stavano nello stesso letto.
Se mai dimenticherai quanto tu significhi davvero per me... ogni giorno te lo ricorderò.
Una frase che aveva scritto il giorno in cui si era dichiarato, ancora impresso nella mente e che amava rivivere come un film d'amore in loop. Le diede un tenero bacio sulla fronte, fregandosene della frangia disordinata.
Prendi il mio cuore, prendi la mia anima, è tutto tuo.
Gin si beò della sua compagnia, passando l'indice sopra la sua pelle calda e liscia. La mano era ancora unita alla sua e ammirò il contrasto bianco-olivastro, soffermandosi sull'anello d'oro che portava sul mignolo. Ne aveva sempre indossato uno, conoscendone il significato.
«Ho sentito dire che portare l'anello sul mignolo è simbolo di galanteria» alzò successivamente la testa per guardarlo dall'alto. Doveva ammettere che la peluria sul viso gli stava d'incanto, lo rendeva più galante e più uomo. «Quindi, señor Hernandez, voi sareste un gentiluomo?»
«Di tutte le donne...» le accarezzò il lato sinistro del naso con l'indice, mostrando un secondo anello tondo e grande, «e il vostro, mi linda.»
Schioccarono un bellissimo bacio sulle labbra, passionale ma dolce. I suoi occhi castano-dorati l'attirarono come una falena verso una fiamma. La sua chioma disordinata scorreva liberamente ogni ricciolo più perfetto del successivo. Notò i suoi occhi scivolare dal suo viso perfettamente impeccabile alle sue braccia coperte di tatuaggi, infine sul suo petto. Il suo cuore iniziò a battere più forte.
«¿Qué tal, hija mía? ¿Echas de menos a mi cóndor?»
Gin sentì ancora quella morsa allo stomaco, tuttavia non gli fece nemmeno domande su cosa volesse dire. Aveva solo capito l'ultima parola. Il condor era uno degli uccelli più grandi al mondo, arrivava a pesare quanto un bambino di quattro anni e... si fermò a pensare. Dopo aver ripetuto nella sua testa la parola "uccello" realizzò, sentì Bruno ridacchiare e si tappò la bocca con le guance in fiamme. A quanto pareva, quell'ingenuità non era svanita del tutto.
«Non posso crederci, l'hai capita dopo dieci secondi.»
«Scusa tanto se non so cogliere i doppi sensi in spagnolo.»
«Peccato, avrei voluto tanto sentirne uno da te» sussurrò, la voce che si arrochiva sillaba dopo sillaba. «E tu sai quanto amo la tua voce.»
La ragazza si sentì avvampare. «Pre... preferisco i pavoni, sono più belli da vedere.»
«L'unica cosa bella che hanno sono le piume. Non preferiresti un uccello cacciatore temuto dalle piccole prede? Un vero e proprio dominatore dei cieli?» Bruno passò le mani sulle sue natiche coperte dal lenzuolo e lasciò che il suo pube si sfregasse contro il suo inguine. Per Gin fu una sorpresa, dopo un solo contatto era già... «Non è più sexy?»
«Non ti lascerò vincere così» sibilò, ansimando ancora. La sua voce vellutata le causò uno spasmo piacevole. Quelle non erano coccole post-coito, ma altri preliminari. Accidenti, il leone hawaiano non era ancora sazio? «Hmm.»
Il sorriso di Bruno si allargò, così come le sue pupille. Era meraviglioso sentirla sciogliersi contro di lui. Se avesse continuato a sedurla in quel modo, non le avrebbe risparmiato un secondo round e lui stesso era conscio di quanto il gorilla fosse virile.
«Va' a vestirti, o finirò col saltarti addosso sul serio» concluse, lasciando la presa.
Gin esitò, prima di alzarsi goffamente dal letto e andare in bagno in cerca dell'accappatoio – non aveva portato la vestaglia – e prepararsi. Lui si leccò l'angolo delle labbra, percorrendo le sue curve con lo sguardo. Prima il seno, poi i fianchi e infine... quel culo. Dio, quel culo. Tondo e sodo al punto giusto, né troppo grosso né troppo piccolo.
«Smettila di guardare il mio sedere, sei inquietante.»
«Dovresti sapere quanto vada pazzo per le pesche» ammiccò seducente, guardandola coprirsi.
Lei alzò gli occhi al cielo. «Meno male che eri timido.»
Bruno si passò le mani fra i riccioli, mordendosi il labbro con le gote rosse. Lo era davvero, anche se a volte si lasciava andare. Sapeva di non avere necessariamente bisogno di sesso con lei, ma solo di amore e intimità, anche se da qualche tempo sentiva quella mancanza fisica. Non solo quella, se proprio doveva ammetterlo. Quel bisogno fisiologico di stare abbracciato a lei, accarezzarle il ventre e osservare il suo corpo cambiare.
La nascita delle gemelle Malie e Melissa aveva alimentato di più il desiderio di allargare la famiglia, poter vedere altri piedini camminare sul pavimento di casa sua e piccole manine toccare il suo pianoforte. Amava passare i pomeriggi liberi a guardare le gemelle cantare e ballare davanti alla televisione, tendere le mani verso il giradischi e rimanerne affascinate. Adorava i bambini più di ogni cosa al mondo, per quanto la loro visione del mondo fosse pura, angelica ed innocente. Più ci pensava, più si sentiva in colpa per quanto fosse egoista. Ancora una volta pensava a se stesso e non a cos'avrebbe pensato lei, forse non sarebbe stata d'accordo.
Un 'toc toc' interruppe i suoi pensieri e si alzò dal letto. Non scomodò Ginevra ad aprire la porta, dopotutto era ancora nuda in bagno. Abbassò la maniglia e il cameriere gli comparve davanti, il carrellino dietro. Lasciata la mancia, lo congedò con educazione e afferrando le maniglie del carrellino, si occupò di servire la colazione a sua moglie che, nel frattempo, era appena uscita dal bagno coi capelli raccolti.
«Che cos'hai ordinato?»
«La solita colazione a base di frutta» rispose Bruno, scoperchiando una cloche alla volta. Sul carrellino ne erano esposte ben tre. «E siccome ci aspetterà una lunga cerimonia di nozze, ho ordinato qualche fetta di cheesecake.»
Gin si mise seduta sul divano della suite, senza preoccuparsi del letto disfatto e le coperte per terra. Era solita fare il letto anche quando erano in vacanza, era stato così anche nei primi anni. Un vizio di cui non se ne sarebbe mai liberata. «So che quella ai frutti di bosco è la tua preferita.»
«E la tua quella ai frutti esotici» gliela indicò con lo sguardo, dopo aver alzato la cloche.
Lui sorrise, mettendosi al suo fianco. Come lo conosceva bene. «Soprattutto quella fatta in casa.»
La vide prendere un pezzo di mango con la forchettina da dolce d'argento e lo avvicinò alle sue labbra con fare seducente, come quando lo faceva a casa. Bruno lo prese e fece la stessa cosa con una fetta di ananas. Si sarebbero stuzzicati ancora un po' prima di prepararsi per il matrimonio di Geoffrey e Liam, visto che mancavano poco più di quattro ore. Nonostante avessero dormito poco meno di cinque ore, erano sprizzanti di energia.
Bevendo il caffè, notò la curva del seno scoperta. Sotto quella stoffa di spugna c'era un corpo materno morbido, curvo e bianco. Bastava un tocco di labbra per vedere quei seni turgidi, sentirla già umida e pronta per...
Se non fosse stato per il matrimonio, ti avrei tenuta prigioniera nella cabina della doccia.
A spezzare quel sorriso fu lo sguardo spento di lei, mentre mangiava la sua cheesecake. Bruno le andò più vicino. «Che c'è, bebita? Non ti piace?»
Lei scosse la testa. La frutta era fresca, anche il dolce e il caffè americano era caldo al punto giusto. Guardò la forchettina da dolce d'argento lucida fra le sue dita. «Non riesco ad abituarmi all'idea di vivere così bene» rivelò con voce fioca.
Detta in quel modo così drammatico, sarebbe potuta essere una stupidaggine. Qualsiasi essere umano bramava di vivere nel lusso, o anche solo avere qualche soldo in più per permetterselo per un giorno. Gin sentiva di non appartenere a quella vita piena di vizi e oro, e Bruno da un lato la capiva. Passare da una mano piena di spiccioli a quattro carte di credito era come un salto in lungo alle Olimpiadi. Anche per lui era stato difficile, soprattutto scegliere per rimanere saldo sul trono di spade che aveva conquistato, perché un solo e misero errore avrebbe potuto farlo cadere.
«Anch'io ero così quando ho vinto il primo grammy. Ti ricordi?»
Gin lo ricordava e a malincuore, perché dopo quella sera era cambiato tutto e in peggio. Il primo litigio, la paura di farsi vedere e i giudizi altrui, lui che passava dall'essere altruista ad egoista in pochi minuti. Ricordare quei momenti faceva male, seppur per lui fosse stata una cosa da nulla come dopo un litigio fra famiglie: "c'è stato un equivoco, ora è tutto a posto". Ma Bruno ci aveva messo poco ad adattarsi alla vita nella gabbia dorata, cambiando radicalmente le sue abitudini, mentre Gin lo aveva seguito nove anni dopo esser stata lasciata.
«Hai tutto quello che ti serve. Cos'altro ti manca?»
«Niente. Il punto è che mi sembra tutto così surreale. Sono milionaria grazie al mio lavoro, e se penso che i miei genitori abbiano sacrificato metà della loro vita per farmi studiare all'estero...» sospirò, lo sguardo perso nella metà di cheesecake mezza sciolta.
Erano le stesse parole che Bruno aveva ripetuto nella propria testa dopo il primo disco di diamante, ripensando al giorno in cui sua madre aveva usato i suoi ultimi risparmi per comprargli un biglietto di sola andata per Los Angeles. Non era stato in grado di dire di no, e forse le cose sarebbero andate diversamente se non avesse mai lasciato Honolulu. Tuttavia, non aveva rimpianti: la sua passione lo aveva portato lontano ed era felicemente sposato con due splendide creature olivastre, nate grazie all'unione di due anime pure.
«Per un genitore la ricompensa più grande è il sorriso» la rassicurò, guardandola negli occhi.
Lui lo aveva capito nel momento in cui aveva visto sua madre piangere lacrime di gioia dopo il suo primissimo disco d'oro. Lo stesso per suo padre, vedendo il suo talento dal primo istante in cui aveva imitato Elvis davanti alla televisione. Gin lo aveva visto coi propri occhi il giorno del suo matrimonio, durante il discorso al ricevimento di nozze. D'istinto aveva guardato i suoi genitori, notando un velo di orgoglio e amore nei suoi confronti. Lo erano stati il giorno della sua laurea – seppur a distanza – e del suo primo progetto ambientale, felici di vederla inseguire i propri sogni. Ancor di più nell'aver conosciuto un uomo con la sua stessa mana, umile ed onesto nonostante navigasse nell'oro, e sincero quanto il loro amore.
«Ho visto il sorriso dei tuoi il giorno del nostro matrimonio, erano più belli di tutti gli oceani messi insieme. Sono sempre stati orgogliosi di te, lo hai detto anche tu stessa.»
«Sì, è vero, ma vorrei poterli ripagare nel modo giusto.»
«Per loro, la tua felicità vale più di una mazzetta di dollari.»
D'istinto Gin alzò la testa, incrociando il suo sguardo dolce e paterno. «Lo è stato anche per te, vero?»
«A mia madre non è mai importato se avessi frequentato il college o no. Voleva che inseguissi i miei sogni e mi ha lasciato andare» raccontò, gli occhi lucidi e il sorriso fiero. Posò l'indice appena sopra il seno sinistro, nel punto esatto dove si sentiva un leggero battuto. «Perché se ascolti il tuo cuore, andrai sempre lontano.»
Poco dopo, la sua fronte fu contro la propria e vide un tenero sorriso farsi strada sul volto di lei. «Come fai a dire sempre la cosa giusta?» sussurrò lei, inspirando quel che era rimasto del suo Versace pour Homme mescolato al sesso. Una fragranza afrodisiaca.
«Anni e anni di esperienze di vita e uno spirito sempre in armonia» rispose Bruno ammiccando.
«Lo dovresti fare anche con gli Hooligans.»
Lui si morse appena il labbro, mostrandosi un po' a disagio. «Beh, con loro non funziona sempre. Quando cerco di fare tutto alla perfezione, ricevo solo occhiatacce e un dito medio da parte di Christine.»
Gin non riuscì a reprimere una smorfia divertita. Come poteva non biasimarli, conoscendo il suo perfezionismo. Quando un beat non lo convinceva, rifaceva tutto da capo e diventava sempre più pressante. Lo stesso anche a casa, quando stava nel suo studio a scrivere qualche nuova bozza o rifinire un progetto già in corso.
«Hanno ragione: sai essere più fastidioso di una zecca sul culo.»
«Hey!» esclamò, fingendo una smorfietta offesa come quella di un bambino.
«Perché ti offendi? Tu non ce l'hai nemmeno.»
«Sono pur sempre un essere umano.»
Lei sfregò la guancia sulla sua spalla. «Gli uomini senza curve sono i più dotati, lo sapevi?»
Bruno sogghignò. «Lo so, da quel punto di vista sono imbattibile.»
«Dotati di materia grigia, intendevo.»
Il suo sorriso malizioso s'ingigantì, mostrando le fossette sulle guance. Stava facendo finta di non aver inteso il contrario. – «Certo.»
Preso dalla voglia, infilò una mano nell'accappatoio di lei in cerca di un capezzolo da stuzzicare e la sentì tremare. L'attirò contro di sé per sentire ogni curva e morbidezza. Gin si divincolò e prese i suoi avambracci per sciogliere quel contatto fisico caldo e confortante.
«Peter... s-se ricominciamo, faremo tardi.»
Lui s'inumidì le labbra, guardando ancora una volta il seno sotto la sua mano colma di anelli d'oro. «Hai ragione.» Si alzò e si diresse verso la sua valigia, si spogliò solo dopo essere messo un paio di boxer scuri.
Una cosa che la gabbia dorata gli aveva trasmesso era stato il fascino del lusso sfrenato, come riempire l'armadio di camicie, maglie e scarpe da più di cinquecento dollari al paio. Se c'era uno stile che amava più di tutti era quello barocco, e Gin amava vederlo con camicia e shorts abbinati.
Per il matrimonio non si era sprecato a scegliere qualcosa di stravagante, aveva deciso di accontentare i futuri sposi tornando a vestirsi con un La Coupe des Dieux nero e giallo. Se non fosse per la leggera peluria sulle guance e il labbro superiore, avrebbe rivisto lo stesso Bruno Mars che le aveva stretto il mignolo.
Erano passati sette anni da quando lo aveva sfoggiato per la prima volta, eppure le occasioni per riciclare quello stile egocentrico erano mai mancate. Ai tempi sfoggiava più il cappello che i vestiti, ed era strano non vederlo sulla sua testa in quel momento. Adesso indossava raramente la fedora o un qualsiasi altro cappello, se non per abbinarlo a qualche outfit sobrio o hipster.
Quando si girò per incontrare lo sguardo di Gin, la vide di spalle mettersi il vestito lungo e beige di Dior. La cerniera era abbassata e incorniciava la sua schiena bianca e limpida. Le andò vicino e con un movimento seducente, gliel'alzò e le lasciò un dolce bacio sulla spalla scoperta.
«Sei bellissima quando vesti Dior.»
Lei si girò, sfiorandogli la punta del naso con la propria. «Anche tu sei bellissimo quando vesti Versace.»
Le loro labbra si sfiorarono, permise a Bruno di sollevare il suo viso con due dita per guardarlo profondamente negli occhi. Li chiusero lentamente, schiudendo le proprie bocche per baciarsi appassionatamente. Le ci volle poco per ansimare, aggrappandosi a lui. Ogni schiocco era come una scintilla, sapeva accenderla anche con un semplicissimo gioco di lingua. Sorprendentemente fu lui a staccarsi.
«Davvero non sembro una palla da bowling? Questa gonna mi fa sembrare più tonda.»
«Stai benissimo. Non devi sottovalutarti, qualunque uomo vorrebbe stare al mio posto.»
«Dovrei dire il contrario, anche se dovrei essere semplicemente rassegnata all'idea di sopprimere la tua personalità da playboy.»
«Te l'ho detto: faccio pratica per quando devo sedurti» sussurrò, massaggiando e stringendo una natica da sopra il tessuto di seta e pailettes. «E portarti di nuovo in quel posto dove non si può fuggire.»
Gin si fece scappare un sogghigno. Bruno non avrebbe mai smesso di citare se stesso nei momenti meno opportuni, o soltanto per farla cadere in tentazione. Per non sprecare altro tempo, si fece accompagnare davanti lo specchio per truccarsi. Nel frattempo, lui l'avrebbe aiutata a pettinarsi come una qualunque domenica mattina.
Prendendo il fondotinta, guardò il riflesso di suo marito che prendeva delicatamente le ciocche dei capelli per passarci la spazzola. «Ci sono altri progetti da mettere in atto, oltre al Pinky Ring?»
«Ne ho in programma un bel po', in realtà... sai dove mi piacerebbe portarti?» Alzò la testa per guardarla, nonostante lei fosse concentrata sul mettersi la terra e altre cose di cui non sapeva il nome sulla faccia. «Siccome ho intenzione di espandere il mio business, vorrei esaudire un tuo desiderio. So che volevi tanto vedere Parque das Aves.»
Per un attimo Gin si paralizzò, le mani sotto il naso. Bruno voleva portarla con sé in Brasile? «Non so... beh, mi piacerebbe, ma...»
«Quest'autunno andrò in tournèe in Brasile, ne approfitterò anche per portare avanti i miei affari in tutta l'America Latina. Comincerò proprio da lì, poi piano piano fino in Argentina e così via.»
Gin era perplessa. Non vedeva come quest'iniziativa avesse potuto fruttare dal suo punto di vista. Cosa c'entrava il suo business di rum caraibico con la biologia? Il primo era solo a scopo economico, il secondo era più a scopo umanistico-ambientale. Erano due poli completamente opposti.
«La scusa del lavoro funziona bene nel tuo caso, puoi sfruttarla per fare qualche ricerca sul campo. Non sarebbe una brutta idea.»
Lei esitò, poi rispose come avrebbe fatto lui. «Ci penserò.»
Bruno indietreggiò con le mani dietro la schiena, intento a raggiungere la sua valigia. «Bene, allora andrò alla ricerca del mio libretto degli assegni...»
Gin scese rapidamente dalla sedia e lo raggiunse, tentando di fermarlo per un braccio. «No! Non ti permettere di...!»
Lui rise e prima che avesse potuto prendergli anche l'altro, le fece perdere l'equilibrio e la prese per i fianchi, tentando un casché. Anche se avrebbe detto di no, lo avrebbe fatto lo stesso. Da un po' di tempo era stato il suo modus operandi per la beneficenza in incognito, ma questa volta voleva poter vedere il suo nome accanto a quello di sua moglie e per una causa più che nobile.
«Hai già fatto troppo, Peter. Smettila di usare i tuoi soldi per me!»
«Ti prometto che userò bene quella cifra, voglio poter creare una riserva naturale insieme a te.»
Lei inarcò un sopracciglio. «Vuoi forse prendere il posto del mio capo?»
Da un lato sì. – «Non potrei mai farlo, e non mi va di mettere il mio nome fra i finanziatori. Lo voglio accanto al tuo e starti vicina.»
Dopo il lungo discorso che aveva fatto con Mr. Jenkins non riusciva a non pensare all'idea di stare separato da lei per così tanto tempo, ma rispetto al decennio scorso le cose erano cambiate – non solo per restare in contatto tutti i giorni, reprimendo quella sensazione di solitudine. Una celebrità qualunque avrebbe affittato una escort, ma lui usava FaceTime e guardava due occhi chiari e lucenti. Aveva imparato a reggere il bisogno fisico di averla al suo fianco, seppur inizialmente fosse stato difficile e a tratti doloroso.
"Non puoi sempre portarla in giro, solo perché non riesci a stare senza di lei".
Mr. Jenkins aveva ragione: Gin aveva un lavoro, la sua squadra di ambientalisti... non doveva aver paura che rimanesse sola. Anzi, di perderla.
"La perderai, se continui a fare di testa tua."
Scacciò via quelle voci, come se non avesse voluto imparare la lezione. Come già aveva ribadito più volte, l'obiettivo di Gin era diventato anche il suo: un mondo migliore per se stessi e per gli altri.
«E... e quando vorresti andarci, di preciso?» domandò lei, sentendo le sue mani intorno ai fianchi.
«La settimana del mio compleanno, voglio festeggiare i miei trentanove anni laggiù» disse con aria sognante, le labbra vicine alla sua guancia. «Ti porterò con me a Copacabana, ti farò vedere uno dei miei luoghi preferiti di Rio de Janeiro e quando il tour finirà, andremo a Culebra solo io e te.»
«N-non stai esagerando un po' troppo, adesso?»
«Dovevamo andare a vedere i fenicotteri e le tartarughe marine. Te lo avevo promesso, ricordi?»
Gin non rispose. Effettivamente era così, e lui manteneva sempre le promesse. Anche se a Pasqua sarebbe rimasta sola con le bambine per la settimana a Singapore, avrebbe comunque rimediato con un viaggio di coppia indimenticabile. Da quando si erano sposati, era diventata d'obbligo almeno una volta all'anno – il viaggio in Italia per andare a trovare i parenti non contava.
«Perché non pensiamo al presente, invece?»
«Giusto. Più tardi andremo al matrimonio dei ragazzi, poi cena nel privè del Pinky Ring e di nuovo nel letto. Domani staremo tutto il giorno nella spa e serata casinò, non ti staccherai da me neanche un minuto.»
Un altro vizio che la gabbia dorata aveva lasciato a Bruno era quella voglia di programmare ogni cosa, anche la più stupida, e assicurarsi che tutto filasse liscio. In quel caso si parlava del presente, gliela diede per buona.
Gin si morse il labbro. «Quindi per altre due sere mi darai altre coccole?»
«E tu mi concederai performance come quella di stanotte?» mormorò sensuale, passando l'indice sulle sue labbra e schioccandole un bacio sulla guancia.
«Se il leone hawaiano non si stanca troppo» replicò sentendo il calore del suo respiro sulla clavicola.
«Lui ha sempre fame di te» il suo tono di voce si arrochì, le labbra si appoggiarono sulla zona più delicata e tentò un succhiotto. «Non ha bisogno di un harem di leonesse, quando c'è la sua regina consorte ad amarlo e soddisfarlo.»
«Maschilista» sputò sarcastica, ma scherzosamente.
«Ho detto "amarlo", nel senso spirituale del termine.» Nonostante la paraculata, Gin non tolse quell'espressione sarcastica. Sfruttò il suo asso nella manica, aggiungendo con fare teatrale: «Mi scuso per il pessimo black humor, signora femminista, la mia era solo una battuta.»
Le spuntò un sorriso e si lasciò accarezzare la guancia. «Sei perdonato, Mr. Hernandez.»
Prima di tornare a prepararsi per il grande evento, si lasciarono andare in un bacio profondo.
Battute a parte, le intenzioni di Bruno erano serie: l'avrebbe portata con sé in Brasile e sulle coste portoricane, avrebbe condiviso il suo lato ambientalista con lei e ritrovato la stessa pace del loro viaggio di nozze. Ne avrebbe anche approfittato per tenerle la mano e amarla senza etichette, senza pudore e senza veli.
E ho intenzione di farlo ancora e ancora.
Fine prima parte
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