28 ottobre
» Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» prompt: toccare
» rating: verde
» parole: 730
Milano, Italia
Il bullismo nei miei confronti iniziò appena misi piede all'accademia di danza.
Fu immediato. Prima lezione di Contemporanea: lo spogliatoio sembrava un campo di battaglia. Lo era a tutti gli effetti.
Molti (troppi) degli armadietti non avevano neanche il chiavistello dove infilare il lucchetto, e indovinate chi era ad accaparrarsi i pochi scomparti chiudibili? I membri "senior" ovviamente.
«Metti le tue cose là, novellina. Tutta questa parete è nostra» esordì una bionda al terzo anno.
Trovai ridicolo quel senso di proprietà insignificante. Neanche le rivolsi la parola. Semplicemente, scrollai le spalle e mi adattai. Da quel preciso momento, però, lei intravide quella lancia di superiorità e di disprezzo nei miei occhi, e il suo gruppo di spiantati decise che quello era un buon inizio per il tormento. Per provare a tormentarmi.
In verità, ogni volta che mi bullizzavano, ghignavo.
Non regalavo loro nessuna piega, nessuna smorfia del mio volto. Li ignoravo. E questo li mandava fuori di testa. Arrivati a un certo punto (dopo sole due settimane di divisione degli spazi), sapevo cosa avrebbero fatto. Me l'aspettavo; i bulletti sono così prevedibili.
Ritrovai la tasca del mio borsone trafugata, aperta e deforme come una bocca sdentata. Il portafogli era ancora lì, ma i soldi, circa duecento euro, erano spariti. In più, le ragazze del terzo avevano deciso di rubarmi quello che, all'epoca, era il vero tesoro di un'adolescente: fondotinta, cipria, cosmetici nuovi di zecca e ragionevolmente costosi.
Mi fecero sparire tutto. A quel punto, fui costretta a rivolgermi pigramente a loro.
«Ridatemi la mia roba» dissi, atona. Nemmeno una singola emozione traspariva da me, neanche la rabbia.
Anzi, mi fingevo divertita.
Non ero esattamente la classica vittima di bullismo: in cerca di conferme dai feedback esterni, insicura, timida o spaventata. Ero esattamente l'opposto. L'avevano capito, ma tennero duro.
Tentarono in tutti i modi possibili, ma non si arrischiarono mai alle mani: le regole dell'accademia erano punitive per le aggressioni fisiche, e la posta in gioco era il sogno di diventare ballerini – che per ognuno di noi, lì dentro, era tutto. Così, il loro lento e costante lavorio di violenza psicologia era qualcosa che, al massimo, mi faceva formicolare gli stinchi.
Per me erano solo insetti. Insetti fastidiosi.
«E chi ce l'ha, la tua roba? Hai le manie di persecuzione? Un po' idiota lo sembri per davvero!»
«Sei stupida? Come ti permetti a incolparci?»
«Fatti qualche seduta dallo psichiatra, stronzetta!»
Con queste frasi mi schernivano, almeno, credevano di tangermi. Le loro facce internazionali e tronfie mi davano la nausea, ma dal mio aspetto esteriore – sempre rilassato, sicuro ed elegante nei movimenti – non avrebbero potuto indovinare neanche quello.
«Ridatemi le cose» ripetei, uguale a prima.
Scoppiò il pandemonio. Iniziarono a urlarmi contro quanto fossi sfigata, strana, quanto sbagliassi nello "sfidarli con gli occhi". Mi urlarono di abbassare lo sguardo. Non lo feci. Allora, la ladra, al limite del suo processo di rosicamento, uscì finalmente allo scoperto.
Recuperò una sacca nascosta tra le sue cianfrusaglie e ne smosse il contenuto: erano i miei cosmetici in boccetta di vetro, pestati e rovinati all'interno.
Osservai cosa fece: la strega spalancò la grande finestra dello spogliatoio e, assicuratasi che io la stessi guardando con un certo interesse, si mise a fiondare di sotto tutti i miei averi, incitata dai latrati delle altre cagne.
La reazione che ebbi non se l'aspettavano: guardando la scena, a braccia incrociate, ridacchiavo benevolmente. Ero sinceramente divertita, distesa, serena.
Il labbro inferiore della bulla alla finestra tremò. «Non t'importa che la tua roba sia spappolata di sotto?»
La guardai amorevolmente. Poverina, non sapeva nulla di me. Non mi conosceva. Non immaginava che, nella vita, avevo passato cose un poco più... forti, ecco. Non immaginava che, a soli sedici anni, ne avevo già scontati sei per aver difeso mia madre da mio padre. Avevo imparato a dare delle priorità, a capire cosa fosse veramente importante nella vita e cosa no. Sapevo già distinguere i casi umani, e non alimentare i fuochi dell'ira.
Ripensai alla frase che Gamora, l'eroina spaziale della Marvel, disse una volta sbattuta in prigione, circondata da gente che voleva massacrarla: «Qualsiasi cosa mi accadrà qui sarà un paradiso, paragonato all'inferno del mio passato.»
«Allora?» strillò, paonazza, sventolando la sacchetta macchiata del mio fondotinta, ormai vuota.
Continuai a sorridere. Le spedii un piccolo bacio volante, insieme all'unica frase che avevo intenzione di sprecare per loro. «Nulla mi può toccare.»
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