Lettera a un amico
Vincoli:
massimo 2000 parole;
CHI: Giuseppe Garibaldi;
COME: balbuziente;
SE: non avesse intrapreso la spedizione dei Mille.
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Isola di Caprera, addì 3 Aprile, anno del Signore 1860
Caro Basso,
Vi scrivo per ringraziarvi del prezioso aiuto nella costruzione della Casa Bianca. Senza di Voi non sarei qui a godere della pace che solo la mia isola è in grado di darmi e mi auguro che presto sarete di nuovo dei nostri.
Sarete sorpreso di apprendere che l'abbiamo testé finita, il mio figliolo Menotti e io, con l'aiuto di alcuni altri amici. È una bellezza: parmi d'essere tornato in America Latina, ogni volta che il mio occhio vi si posa e ammira la sua forma bassa e piatta al modo di quelle abitazioni che ho imparato ad amare finché ero là. Comprenderete allora perché non me ne voglia più allontanare, ora che è ben costruita e salda su queste rocce. Sto scrivendo in faccia al mare, con l'aria salmastra che mi riempie i polmoni, stanco delle fatiche della giornata passata ad accudire le mie bestie e la mia famiglia. È arrivata anche Teresita con la prole, sapete. Così ho preso una decisione: basta scorribande, guerre e combattimenti, è giunta l'ora per me di godermi il meritato riposo, circondato dai miei cari e senza nessuno a cui importi se le parole mi escono a tratti e lentamente dalla bocca. Voi sapete bene, caro amico, che considero la balbuzie una grave menomazione per colui che deve guidare altri uomini in battaglia.
Basta dunque, la decisione è presa. Da qui più non andrò via, sono fermo su questo punto.
Vieppiù ora che con il Collins i rapporti si sono appianati. Mai l'avrei detto, quando il Menotti abbatté quel maiale che aveva proditoriamente invaso i confini della nostra terra. Ricordate il gran trambusto che ne venne fuori?
"Menotti, abbassa quell'arma!" fu la mia idea di gridare, quando vidi il baluginio del sole sulla canna del fucile, puntato contro quella bestia grufolante che stava devastando il campo dietro la casa.
"Me- me- me..." fu ciò che in realtà si udì, e il nome non era ancora completo che la mortale detonazione rimbombò per la spianata rocciosa.
Così non il nome di mio figlio, ma "merda!" fu la sussurrata conclusione, nel momento in cui vidi la bestia cadere a terra senza vita.
Finimmo davanti al tribunale, ricorderete. Vi rendo edotto del seguito: con il Collins avrei volentieri accettato il duello, per dirimere la questione sorta in seguito all'ammazzamento del porco, purtuttavia non si arrivò all'estremo passo; alcuni dicono perché il Collins scese a più miti consigli di sua sponte, altri per la bravura del capitano Roberts, giunto in tribunale in seguito alla mia chiamata, ma io so che fu la mia arringa a far risolvere senza soverchi indugi il problema.
"Miei signori, da quando ho posto la prima pietra della mia dimora in quest'isola vi sono stati problemi di rispetto dei confini per gli animali della Casa Bianca e per quelli di Mister Collins qui presente. Parve sin da subito evidente che né le nostre vacche né i di lui maiali volessero sentire ragione e rispettare i novelli limiti del loro territorio. Prima furono le vacche, ora sono stati i maiali. Ciò ci insegna una cosa sola: soluzione corretta e legittima sarebbe un duello fra Collins e me, e questo caldeggio, ma laddove ciò non fosse ritenuto cosa consona, propongo che la questione sia risolta a tavola, davanti a un bicchiere di vino e un piatto di ottima selvaggina."
Questo era il discorso così come lo avevo preparato nella mia mente. Naturalmente ciò che uscì fu, con mio sommo disappunto, una serie infinita di sillabe tartagliate cosicché il discorso durò più di mezz'ora.
La noia li convinse, null'altro che la noia.
A ogni buon conto, da quel dì con il Collins si divenne amici e questo è un motivo ulteriore per la mia permanenza qui.
Devo essere sincero con Voi, amico caro. La tentazione di tornare indietro nel mio proponimento si è fatta già sentire, in modo assai bizzarro che ora Vi racconterò.
Ieri ero nel boschetto dietro l'ala sud della Casa Bianca e avevo terminato di dissodare l'area adibita a orto. La sensazione di pace e tranquillità che mi dà l'accudire le mie bestie e i miei frutteti non l'ho provata mai, neppure con la mia Anita nell'assolato sud delle Americhe.
Torniamo a noi. Avevo appena finito di liberare la vescica vicino al tronco di un ulivo, quando udii la voce della Santina che mi chiamava con grande dispendio di energia. Buona donna, la Santina. Abile in cucina quanto incapace di comportarsi come si conviene. Arrivò verso di me trafelata e in disordine, seguita a ruota dalla Battistina, che non perde mai occasione per impicciarsi dei fatti miei. Se non fosse che il vederla è una gioia per gli occhi, l'avrei già rimandata a casa sua invece di tenerla qui a badare ai bambini.
"Sior paròn Pino! Xe rivà el comandante Bisio, gavì da vegnere subito subito, che 'l gà da dirve cose importanti e 'l gà pressa!"
Santina è con noi da almeno cinque anni, ma ancora non è riuscita a convincersi a non parlare nel suo dialetto veneto. Di tutto quell'affastellamento di parole avevo compreso solo che era arrivato alla Casa Bianca Nino Bixio e che aveva cose importanti da dirmi.
"V- va bene S- Santina! A- a- arrivo s- s- subito!" Quella benedetta femmina era tornata indietro alla seconda "v-", la pazienza non è il suo forte, parola mia.
Immantinente fui raggiunto dalla Battistina, che aveva udito lo scambio. Ho già scritto che quella ragazza è una gioia per gli occhi. Arrivò al mio fianco e io non potei che metterle il braccio intorno alla vita e allungarle un innocente pizzico sul suo deretano così ben tornito. Naturalmente lo avvertì, nonostante gli strati di stoffa dell'abito.
"Generale!" esclamò con una risatina inorridita.
"B- B-Battistina non ci si può fa- fare nulla se tu sei un gra- gran bel pezzo di fi- fi-..."
"Generale! " ripeté l'esclamazione, subodorando la fine licenziosa del mio parlare.
"Figliola" conclusi, lanciandole uno sguardo di rimprovero scherzoso per la parola che aveva per certo immaginato avrei pronunciato.
Quando arrivammo alla Casa Bianca il piccolo incidente era stato dimenticato. Battistina si allontanò da me per tornare alle sue faccende con i bambini e io mi diressi verso il salottino dove Nino mi attendeva, non senza averle prima allungato un altro pizzico.
Il comandante scattò in piedi non appena mi vide entrare nella stanza, rischiarata dal caldo sole del pomeriggio.
Non crederete mai al motivo della sua visita! Voleva convincermi a unirmi a lui in una missione alquanto bislacca: andare ad attaccare il Regno delle Due Sicilie per unirlo al resto d'Italia! Forse in altri tempi avrei io stesso meditato la cosa, ma ora...
"Siamo in mille, Generale. Mancate voi!" aveva esclamato per convincermi.
E ce la fece quasi, la tentazione fu forte in verità. Per un attimo fui percorso da un brivido di eccitazione all'idea che mi era stata prospettata.
"Facciamo l'Italia, generale!" Aveva capito, Nino, che ero quasi convinto.
Poi però si affacciò alla porta la Battistina, che al solito ardeva dalla curiosità. Così la decisione fu presa.
"Vi pre- pre-presto Marsala. Metteteci so-so-sopra uno che mi so-so-somigli e andate co-co-con la la mia be-be-benedizione. Io da qui no-non mi muo- muovo."
"Ma... Generale... il vostro cavallo... voi... Non siete sostituibile!" Nino era diventato paonazzo.
"Sc- sc- scommettiamo?" gli strizzai l'occhio e mi alzai. "Andiamo Nino, a vo-voi non serve un ge-generale che addormenta le tru-truppe ogni vo-volta che apre bo-bocca. E io qui ho altro da fa-fare" strizzai l'occhio alla Battistina che fingeva di sistemare le piante in fondo alla sala. Benedetta ragazza, ma non mi riesce di arrabbiarmi con lei.
Diciamocelo, Basso. Unire l'Italia intera è un'idea meravigliosa a un primo guardare. Ma poi no. Vedo un futuro nero se si percorrerà questa strada. Lasciamoli liberi e indipendenti, affrancati dal giogo dei preti e di Roma. Faremo loro un favore, per certo.
Nino però non era d'accordo, né contento della mia decisione. Glielo si leggeva in faccia.
"Obbedisco" mi disse fuor dai denti. Bella parola, d'impatto non trovate? La farò mia, prima o poi.
Se ne andò al calar delle tenebre, tenendo alla briglia la mia amata giumenta. Forse alla fine seguirà il mio consiglio e lascerà perdere. Ma no. Ci proverà, ne sono certo. Quando quel ragazzo si mette in testa una cosa niente gliela fa togliere fino a che non l'ha portata a termine.
Sarà curioso seguire gli eventi dei prossimi giorni.
Per parte mia, caro Basso, ho cose più pressanti a cui pensare che inseguire un sogno. Per prima cosa stasera avremo a cena i Collins e poi la Battistina continua a lanciarmi sguardi birichini che mi pare di leggerle nel pensiero cos'abbia in mente. Sarà interessante appurarlo.
Dio Vi conservi, amico caro. Spero di vedervi presto e che, per allora, il nostro Nino non abbia stravolto gli equilibri d'Italia.
Con immutato affetto,
Giuseppe Garibaldi
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N.d.A.
A parte la scena di Bixio e la "Santina", persone citate ed eventi sono realmente accaduti. Battistina diede a Garibaldi una figlia, Anita.
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