7. dove io e la serpe rischiamo la faccia
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Parte Sette:
dove io e la serpe rischiamo la faccia
«Tu non hai capito la gravità della situazione.»
«Quello che sto dicendo è che avrà fatto qualcosa di peggiore,» ribatto, testarda. Le piastrelle davanti a me riflettono vagamente il mio sguardo ostinato, così come il crescente fastidio di Malfoy.
Sta per iniziare lezione di Trasfigurazione, e io e l'idiota ci siamo dati appuntamento per incontrarci al secondo piano, nel bagno deserto che Mirtilla Malcontenta ha occupato di prepotenza secoli fa. Sono appoggiata ai lavandini, una parte di me distratta dal pensiero della presenza della Camera dei Segreti metri sotto di noi. Malfoy invece è in piedi davanti a me, che cerca di dare l'impressione di torreggiare sulla mia statura quando in realtà è solo un ciocco di legno paralizzato dall'ansia. Ha le braccia incrociate al petto, e la punta della sua scarpa batte nervosa sul pavimento umido.
«Questo ha cambiato le carte in tavola,» insiste, la mandibola sigillata. «Adesso che la storia della francese si è sparsa, verrà gettato il dubbio di disonestà su tutti quelli che vengono rigettati dal Calice. Credi che se entrambi siamo esclusi dal Torneo, la gente non inizierà a farsi due domande?»
Alzo le spalle, allontanandomi con il bacino dai lavandini e camminando verso di lui. «Nessuno sano di mente crederebbe che siamo andati a letto insieme, quindi prima di cedere al panico come fai di solito, proviamo a trovare una soluzione.»
Malfoy spalanca le braccia, esasperato. Inizia a camminare avanti e indietro, le mani in tasca e lo sguardo piantato sul pavimento. «Le cose sono due, Weasley. O il Calice ci rovina, o dovremo dare spiegazioni riguardo la decisione di non partecipare.»
«Hey,» esclamo, e lo afferro per il polso per fermarlo. Mi rivolge un'occhiata perplessa e irritata da come l'ho bloccato, però non si sottrae alla mia presa. «Rinunciare non è in programma, Malfoy. Dobbiamo solo capire che fare. Ad esempio,» proseguo, tentando di suonare il più calma e convincente possibile benché il mio cuore sia imbizzarrito dall'angoscia, come il suo, «bisogna sapere se mettere una volta il nome dentro ed essere rigettati significa non poterlo più fare. E se non è così, trovare un modo per tenere nascosto al Calice quello che è successo tra di noi.»
«È impossibile,» ringhia, «e poi come facciamo a scoprirlo? Il nome di nessuno che avesse l'età è mai stato risputato fuori. È la prima volta che questa stupida regola viene introdotta.»
«Vuoi calmarti?» esclamo, stupita del suo pessimismo e dell'ansia che lo divora. «Non ti ho mai visto in queste condizioni—condizioni orribili, ci tengo a sottolineare.»
Mi rifila uno sguardo mostruoso, e con un gesto brusco allontana la mia mano dal suo polso. «Sta' zitta, e pensa a come tirarci fuori da questa situazione. I tuoi commenti non interessano a nessuno.»
Alzo gli occhi al cielo. «Bene, perché avevo già trovato il modo per pararci il culo, ma tu sei troppo impegnato a salvaguardare il tuo inesistente orgoglio virile per meritarti il mio tempo,» dichiaro, e senza aspettare mi incammino verso la porta. So che mi rincorrerà, e conto proprio sulla sua dimostrazione di idiozia per acquisire il potere che voglio.
Difatti, appena accolgo la maniglia con le dita mi ritrovo la sua mano premuta sulla superficie della porta per impedirmi di aprirla, il braccio al lato della testa, e il suo corpo alle spalle. «Sarai sorpresa, ma nemmeno io ho ore da perdere con te. Parla.»
Con un sorriso beffardo mi volto, e trovo il suo viso incredibilmente vicino al mio. Inarco le sopracciglia, e la mia aria di superbia gli fa serrare i denti. «Dovrai chiederlo per favore, caro.»
Uno sbuffo divertito abbandona la sua bocca; è quasi incredulo. «Davvero ti metti a fare questi giochi inutili, e in una situazione seria come questa?»
«Te l'ho detto, l'ho praticamente già risolta. Il problema è solo tuo.»
Un lampo di fastidio attraversa la sua espressione facciale, che presto sparisce però in favore di un ghigno. Socchiudo gli occhi per capire a cosa stia pensando, quando la mano posata sulla porta si abbassa a scostarmi i capelli dall'orecchio, e le sue labbra sfiorano la mia tempia. «Per favore,» il suo è un sussurro misto a un sospiro, e mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Ricordare come si fa a respirare è all'improvviso il compito più impegnativo che abbia mai dovuto svolgere; sono costretta a infilare gli incisivi nel labbro inferiore per non fargli capire che il mio fiato si è appena appesantito, solo che lui si tira indietro nell'esatto momento in cui lo faccio, e i suoi occhi cadono sulla mia bocca arrossata.
È il mio cuore o il suo a battere così forte?
Oh no, penso, e sento bene una punta di disperazione nella mia voce interiore. Non sta accadendo veramente.
«Ah, Weasley,» sospira, e allontana la mano dal mio volto per sfregarsi gli occhi stancamente. «Cosa mi fai?»
La domanda è retorica, ed è una fortuna—non saprei davvero cosa rispondergli.
«Parlerò con mia madre,» dico, e la mia voce è irregolare, sopraffatta. «Ti farò sapere. Adesso—adesso abbiamo lezione.»
Lo lascio lì, sgusciando in fretta al di fuori del bagno. Se stiamo cercando di sfuggire all'inquisizione attuata dal Calice di Fuoco, be', questo non è proprio il modo migliore.
Quando entro in classe sono contenta che il posto accanto ad Atlas sia occupato da Albus, perché averlo vicino per due ore non avrebbe aiutato né la mia concentrazione, né tantomeno i sensi di colpa. Gli rivolgo un mezzo sorriso, che spero sia il meno forzato possibile, e mi siedo al mio banco, proprio in bocca al docente. Nella lotta su quale posto occupare il primo giorno di scuola, al primo anno, ho affidato le redini a Vì—purtroppo ero giovane, inesperta e troppo credulona, e avevo confidato che qualsiasi essere umano pensante avrebbe fatto a gara per ottenere il fondo dell'aula. Peccato che Pervinca, come avrei imparato di lì a poco, alla scuola teneva in modo ossessivo; e la quantità di ore che avrebbe trascorso nel corso degli anni con il naso dei libri era l'unico motivo per cui i miei voti si tenevano miracolosamente nella fascia alta.
Con lo studio ho sempre avuto un rapporto particolare: amo informarmi sulle materie che più mi piacciono, però quelle che detesto non riesco a farmele andare giù. Inoltre, come se già non bastasse questo aspetto problematico, è l'unico ambito in cui la mia fama di competere e primeggiare non si applica, forse perché so che Vì rimarrebbe male se dovessi toglierle il suo primato. In ogni caso, la mia compagna mi guarda sottecchi quando silenziosa sfilo davanti alla MG insieme ai pochi ritardatari, compreso Malfoy.
«L'ultima volta che hai fatto tardi a una lezione di Trasfigurazione è stata quando ti sei rotta una gamba e sei dovuta uscire di nascosto dall'Infermeria,» osserva, «che è successo?»
«Stavo raccogliendo informazioni. Tu lo sapevi che quest'anno il Calice rifiuta a prescindere chi non è il baluardo dell'onestà?» domando, le sopracciglia corrugate.
Vì scrolla le spalle. «Me l'ha detto Laila, oggi. Mi sembra un po' ridicolo però che sia stata respinta una ragazza che ha tradito il fidanzato... insomma, non è grande indizio di violenza o pericolosità.»
«È quello che ho pensato anch'io.»
La MG interrompe la nostra conversazione. Noto che anche lei non è del migliore umore, e che spesso sospira e sbuffa durante la lezione. È bastato che una ragazza Serpeverde azzardasse una domanda per ricavarne una risposta brutale e nervosa: e questo mi dà un'idea.
Mi volto verso Pervinca mentre la Preside è distratta con gli esercizi pratici dell'Incantesimo di Animazione, e la prendo per il gomito. «Vì, mi serve un favore. Tu sai che la MG ha un debole per te, vero?»
Pervinca schiocca la lingua, già sconsolata. «Che devo fare?»
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Posso già immaginarmi la loro conversazione, benché io sia nascosta dietro una colonna, troppo lontana per leggere il labiale. Non mi stancherò mai di ripeterlo: il fatto che Pervinca sia in apparenza così angelica—perfetto opposto di me e mio cugino—e dentro così predisposta all'inganno, l'ha sempre resa un inestimabile asso nella manica.
Anzi, non me la immagino, la loro conversazione: io la so, perché l'ho scritta. Non è stato difficile immaginare cosa avrebbe risposto l'insegnante a ogni frase ben programmata della mia cara amica, e in ogni caso Vì ha una notevole capacità di improvvisazione. Inoltre, diciamo che ha avuto una mano da due combina-guai provetti e un mio cugino un po' troppo corrompibile e adulto per farsi coinvolgere nei drammi della scuola.
E sì, sto parlando di James Potter, per chi non l'avesse capito.
Non mi serve avere un udito bionico per cogliere il sonoro, imbufalito, micidiale sbuffo della donna col cappello da nonna ultracentenaria e l'abito da badessa, perché senza farsi pregare si precipita nella direzione opposta alle scale. Vì mi fa cenno di via libera e si getta a rincorrerla: spero che riesca a rallentarla, o quantomeno ad allungare i tempi che ci vorranno per uccidere Sage e Shea, con Frank e Neil falsamente impegnati in una lotta greco-romana sulle sponde del Lago.
Ho trascorso con quei quattro decerebrati un intero pomeriggio di trattative, e finalmente hanno accettato, sostanzialmente, di farsi mettere in punizione per una settimana. Forse, considerando quanto è furiosa la MG in questi giorni, anche lievemente di più; ma questo loro non devono saperlo.
Devo poi ammettere di essere un pelo in ansia mentre salgo tutti e sette i piani di scale che mi conducono presto alla Presidenza. Se la docente dovesse sorprendermi nel suo Ufficio non solo passerei dei guai terribili, ma comprometterei del tutto la mia reputazione di scaltra, subdola e disonesta regina della frode. Mi getto uno sguardo attorno, mano sulla bacchetta, per controllare che nessuno mi veda; poi mi avvio il più veloce e silenziosa possibile verso l'ingresso dell'Ufficio.
Scorgo una testa di capelli neri seminascosta dietro la statua del grifone, ma i miei piedi si arrestano all'istante nel vedere chi altro c'è con mio cugino.
«E tu che ci fai qui?» cerco di mantenere un tono di voce basso nonostante la furia impendente. «Ti avevo detto di starne fuori, idiota.»
«Secondo te sono così ingenuo da lasciarti fare tutto il lavoro, ben sapendo la tua predisposizione a fregarmi?» ribatte la gallina, cercando—ironia della sorte—di decapitarmi con lo sguardo.
Mi avvicino a Malfoy con i pugni serrati lungo i fianchi, e attraverso i denti serrati ribadisco: «tu non verrai proprio da nessuna parte, testa di cazzo. Sei un tale stronzo che pur di spingermi in un fossato accetteresti anche di cadere con me. E stai sicuro,» aggiungo, «che se provi a fare qualcosa del genere ti userò come skateboard.»
«Se mai riuscissi a farti fuori fidati che non commetterei un errore del genere, cerebrolesa imbecille che non sei altro. Almeno mi premunirei di farti sbattere la testa tante volte quante hai creduto di essere migliore di me.»
«La commozione migliore della mia vita, faccia di merda.»
Albus sbuffa e mi dà un lieve schiaffo sul braccio. «Finiscila di atteggiarti a regina del dramma, e tu di sparare cazzate. State solo perdendo tempo, coglioni,» ci afferra per la collottola delle divise e ci spedisce su per i gradini, prima di dire verso la statua, «Acquallegra.»
Getto un ghigno in direzione di Malfoy e gli do una spallata che lo fa finire contro il muro, liberando il passaggio perché io salga per prima. Lo sento ringhiare, e mi cancella subito il sorriso dalle labbra dandomi un calcio sulla caviglia che mi fa perdere l'equilibrio, e scivolare all'indietro. Si assicura che io veda, da per terra, il suo dito medio mentre mi supera. Con uno sbuffo oltraggiato mi rimetto subito in piedi e faccio uno scatto per poterlo riacciuffare, ma lui, nel momento in cui lo sto per afferrare per il retro del maglione e gettarlo per una buona volta giù dalle scale, si volta e mi afferra le braccia, praticamente immobilizzandomi. Mi dibatto, lottando per liberarmi dalla sua presa, ma Malfoy in qualche modo a me sconosciuto attinge a una forza estrema e mi solleva, trascinandomi in questo modo per tutti i gradini rimanenti. Resisto all'urgenza di dargli una testata che farebbe capitombolare all'indietro entrambi; aspetto che mi metta a terra per aprire la porta e dargli un calcio su un ginocchio così da entrare per prima.
Gli regalo un sorrisetto soddisfatto da sopra una spalla, e lo vedo sbuffare come un toro inferocito. «Diamine, SM,» esclamo, varcando l'Ufficio della Preside con una risata sarcastica, «impara a perdere ogni tanto.»
«Se credi che non ti abbia potuta gettare giù dalle scale in ogni momento sei più stupida di quanto pensassi,» ribatte, superandomi con l'ennesima spinta e piazzandosi al centro della stanza. «Allora, dove iniziamo a cercare?»
«Sai almeno cosa cercare?» è la mia risposta, colma di sufficienza, mentre mi dirigo verso la scrivania della MG e inizio a rovistare.
Malfoy sbuffa e si accosta a me, diretto però verso il cassetto dall'altra parte rispetto alla mia. Le sue dita sono appese al pomello, lunghe ed eleganti, sottili, le unghie dagli ovali così perfetti da sembrare disegnati da Botticelli; «è per questo che siamo qui insieme, perché fidati che avrei volentieri fatto a meno della tua presenza insopportabile.»
Alzo gli occhi al cielo di fronte la sua incompetenza e capacità di innervosire, e con una mano sul fianco mi volto a guardarlo. «Strano, perché non credevo di aver richiesto la tua, di presenza.»
«Io sono indispensabile. Mi vuoi dire che diamine stai cercando?»
Riprendo a mettere a soqquadro la scrivania della badessa di Hogwarts, a malapena curandomi di rimettere a posto le cose che scarto. «Ho chiesto a mia madre,» ho ricattato mia madre, «e lei mi ha detto,» insultata e ringhiato contro, «che la MG dovrebbe aver ricevuto dal Ministero una lista di comportamenti che il Calice non accetta. La troviamo, ci assicuriamo che "scoparsi ripetutamente il migliore amico del tuo ragazzo" non sia nell'elenco e poi scappiamo prima di essere impalati vivi. Ti sembra un buon programma?»
«Splendido,» risponde, e non mi sfugge l'ombra del sorriso che si affaccia sul suo volto. Cala il silenzio tra di noi mentre entrambi siamo affaccendati a cercare la nostra lista dei desideri nelle cartelline ordinate della scrivania. La quantità di schifezze che questa donna tiene nei suoi cassetti è disarmante: sono sorpresa di non trovare—ma sono certa che in qualche scompartimento c'è—lo scontrino del suo ultimo vibratore brillantinato.
Purtroppo è troppo presto a settembre per trovare i risultati dei M.A.G.O. che affronteremo in estate, ma questo non mi impedisce di dare una sbirciatina alle esercitazioni di Trasfigurazione che la MG ha programmato per le prossime settimane. Mentre Malfoy continua la sua avventura attraverso le scartoffie contenenti idiozie relative alla scuola—cibo, materiale scolastico, appuntamenti al Ministero, regole da seguire—io man mano divergo nella direzione dettatami dalla curiosità. È così che apro l'ultimo cassetto in basso e vedo, finalmente, un fascicolo verde con sopra l'etichetta che aspettavo.
Prima che possa prenderlo Malfoy mi spinge di lato, a momenti facendomi cadere sul tappeto, e per primo afferra la cartella. Mi tiene lontana con un braccio, vanificando i miei tentativi di riprenderlo, mentre appoggia il fascicolo sulla scrivania e lo inizia a sfogliare. «Lasciami subito, l'ho trovato io!» sibilo, e mi meraviglio di quanto insensibile sia ai pizzichi che gli sto rifilando. Sembra Hugo, che ho picchiato così tanto da bambini che adesso non sente più il dolore.
«Sta' zitta, cretina,» mi apostrofa senza rivolgermi la minima occhiata. «Ci manca solo che la McGranitt ti senta lamentarti come fai sempre. Io non ci sto una settimana col culo in punizione per colpa tua.»
Gli rifilo uno sguardo micidiale e ringhio: «sei proprio un coglione. Fammi leggere, almeno.»
«Sei abbastanza alta?» risponde, atteggiandosi da infante e sollevando un preciso foglio con il braccio non impegnato a difendersi dalla mia aggressività. È una battuta, lo so: ho preso da mio padre, e dal suo metro e novanta mi separano meno di quindici centimetri. Vì deve mettersi i tacchi per raggiungermi, Albus ogni volta che gli faccio notare della nostra altezza comune si infastidisce notevolmente; Malfoy è l'unico, benché Atlas sia alto come lui, a farmi sentire piccola.
«E tu sei abbastanza idiota?»
«Entrambe le risposte sono un sonoro no,» replica, prima di togliere il braccio che ci separa; io però ero così impegnata, anche senza rendermene conto razionalmente, a premere su di lui per complicargli il gioco, che senza riuscire a fermarmi gli volo addosso, facendolo inciampare nella sedia lì accanto e obbligandoci a cadere rovinosi sul pavimento.
«Stai bene?» gli chiedo, non tentando nemmeno di bloccare le mie orecchie dallo scaldarsi. Non ero così imbranata e imbarazzata da quando ho realizzato che mi stavano spuntando le tette e dovevo convivere con due maschi. «Cioè, spero che tu ti sia fatto parecchio male, però—»
Le sue dita scattano sul mio viso; faccio per ritrarmi, temendo che volesse vendicarsi per la caduta che gli ho fatto fare, ma lui mi tappa la bocca con una mano e solleva l'indice dell'altra sulle proprie labbra per indicarmi di tacere. Si porta poi lo stesso dito a indicarsi l'orecchio, a farmi cenno di ascoltare. Succedono quindi due cose allo stesso tempo: capisco di essere completamente stesa su Malfoy, le gambe ai lati dei suoi fianchi e le mani sul suo petto—sui suoi addominali?—e il mio udito capta le voci di Albus e Pervinca al piano di sotto, frenetiche e alte, che cercano di avvertirci del loro arrivo.
«Oh, merda,» sussurro, incapace di scollare gli occhi dalla porta dell'Ufficio, ancora chiuso.
«Muoviti,» esclama Malfoy, e si alza con me sopra, facendomi traballare sul suo bacino come se stessi su una giostra al luna park. Scivolo di lato, sentendo l'urgenza premermi sul petto, con la piena consapevolezza che questa bravata potrebbe farmi giocare non solo l'accesso alla competizione ma compromettere l'intero anno scolastico. Mi getto un'occhiata intorno, riacquistando il più veloce possibile un minimo di lucidità da capire dove nascondermi.
L'Ufficio della MG in precedenza è stato occupato da un mago celebre come Albus Silente—sì, il mistico vecchio che ha rinunciato alle spaziali giacche di tweed in favore di tuniche da ricovero in ospedale—il quale è stato ricordato con tanto amore da mio zio da convincerlo che nominare un bambino nato nel 2006 con questo nome sarebbe stata una ottima idea. Per via di tale precedente possesso, quella stanzetta è stata riempita negli anni di ogni strano oggetto, che probabilmente la MG odia e che il ritratto del Preside appeso al muro le impedisce di spaccare con una mazza da baseball. L'unica cosa che mi ha sempre affascinata è stata il Pensatoio, una specie di vasca per pesci dove galleggiano, anziché carpe koi dai colori sgargianti, una serie di troppo lunghi vermi fluorescenti che teoricamente rappresentano dei ricordi.
Il fatto di poter mettere da parte ogni memoria per non perderla, di non doversi preoccupare di dimenticarsi qualcosa... lo trovo incredibile. Quando finalmente vivrò da sola potrò avere il mio esclusivo Pensatoio, che sarà un luogo dove tutti potranno assistere alle mie conquiste, a partire da quella del Torneo TreMaghi.
È solo la mano di Malfoy, la quale mi sta tirando con i denti serrati verso un armadio, che mi permette di ritornare con i miei per terra, e capire che non ci sarà alcuna conquista del Torneo TreMaghi se non alzerò il mio maledetto culo e mi nasconderò dalla MG. «Ma vuoi correre, o sei completamente impedita anche in questo?» mi ringhia Malfoy, continuando imperterrito a trascinarmi come se fossi una bambina scappata di casa per derubare un negozio di caramelle.
«Vaffanculo,» lo spintono ed entro per prima nell'armadio, perplessa sia per la presenza di un tale elemento d'arredo—fin troppo normale ed elegante per i gusti duecenteschi della MG—sia per il fatto che non c'è nulla dentro. Malfoy mi dà poco tempo per rifletterci, perché entra subito dopo di me, spingendomi in avanti con il rischio di farmi finire faccia contro l'anta di legno.
«Preside, noi—noi dobbiamo dirle una cosa, urgentemente!» esclama Albus, la voce di dieci ottave superiore al solito; non saprei dire se sia per permetterci di capire del loro arrivo o per l'ansia di essere beccato a partecipare alla nostra bravata.
Persino con le ante dell'armadio e la porta chiusa che ci separano posso sentire la Preside sbuffare. «Che cos'altro c'è, Potter?»
Vorrei comunicare in qualche modo ad Albus che ormai ci siamo nascosti, e che sarebbe meglio allontanarla in via definitiva così da permetterci di uscire dall'Ufficio, però non posso far altro che stare in silenzio, pregare che la bisnonna di Hogwarts non decida proprio adesso di appendere qualcosa di appena stirato nell'appendiabiti e ignorare con tutte le mie forze la presenza di Malfoy davanti a me.
L'ultima è a mani basse la più difficile da svolgere, anche perché è sicuramente la prima volta che ci ritroviamo così vicini da mesi. Per fortuna l'armadio è alto, ma anche molto sottile, slanciato, e questo significa che il petto del ragazzo è a diretto contatto con il mio, che pure si muove erratico per l'ansia di essere scoperti. Siamo talmente tanto vicini da non distinguere se i battiti che mi risuonano nelle orecchie provengano dal mio cuore o dal suo; all'improvviso, nella quasi completa oscurità dell'ambiente, colgo i nostri respiri, entrambi spezzati, e sono certa che non sia a causa né della possibile claustrofobia, né della corsetta da attraversamento del tappeto che abbiamo fatto poco fa. Io ho la schiena premuta contro il fondo del pezzo da arredo, e lui, per non pesare sulla fessura delle ante e rischiare di spalancarle, è costretto invece a spingersi su di me. Il suo profumo è tutto ciò che riesco ad annusare nell'ambiente così ristretto. Vorrei esserne nauseata, tuttavia mi riporta a ricordi troppo piacevoli per farlo.
Sono costretta a chiudere gli occhi e lasciare che un sospiro abbandoni la mia bocca, nel tentativo di distrarmi il più possibile. Questo già di per sé suona incredibile: sono—potenzialmente—nascosta tra le mutande della Preside, eppure riesco a pensare solo alla cocente, delirante voglia di baciare di nuovo il ragazzo davanti a me. E lo vorrei uccidere, vorrei stringere le mie mani attorno alla sua gola bianca e osservare il suo volto perdere il colore, vorrei recidergli la giugulare con una lama, perché riesco a malapena a guardarlo in volto, ed è comunque lampante il suo desiderio di fare lo stesso.
«Scorpius Malfoy ha dato fuoco a un divano della Sala Comune e buttato i resti nel Lago Nero!» la voce di Albus mi riporta con i piedi per terra in tempo per osservare le pupille di Malfoy davanti a me allargarsi a dismisura. Non so se è più la falsa ammissione di mio cugino oppure la reazione oltraggiata del suo amico a cogliermi alla sprovvista, ma sono del tutto incapace di trattenere una maledetta risata che rimbomba all'interno dell'armadio, e che si riverbera al di fuori alla velocità della luce.
Sono un'idiota, ne sono perfettamente consapevole. Sono un'idiota, un'ameba, una persona che non si merita di ritenersi intelligente, astuta, sono qualcuno che dovrebbe essere soppresso per la sua stupidaggine. Malfoy si lascia sfuggire un respiro strozzato e senza pensarci due volte si getta su di me, coprendomi la bocca con la mano per la seconda volta a distanza di venti minuti. Stavolta però mi ricopre con tutto il suo corpo, come se potesse in qualche modo insonorizzare ciò che ormai è troppo tardi per trattenere inglobandomi dentro di sé.
L'altra sua mano, che non preme sulle mie labbra, stringe la base del mio collo con forza, con l'effetto di immobilizzare del tutto il mio busto; io, forse in un raptus, forse per averlo più vicino, ho le dita aggrappate alla sua maglia, alzatasi per la quantità di tessuto che esse avviluppano; i nostri bacini sono ormai perfettamente aderenti, le sue gambe appena divaricate per non urtare le mie; e il suo volto, sante le palle cerettate di Lancillotto, è premuto nell'incavo del mio collo, le labbra che premono sulla pelle ricoperta di brividi.
«Hai il quoziente intellettivo di un Vermicolo,» sussurra, il calore del suo corpo che sta accendendo il mio alla velocità della luce. La voce sfiora appena il mio orecchio per quanto è bassa; sono grata che mi stia tappando la bocca, perché a questo punto non saprei che rispondere se non un gemito incontrollato. E pensare che mi ha appena paragonata a un fottuto Vermicolo. Non che abbia torto, non stavolta.
Con estrema lentezza, sicuro che non commetterò di nuovo lo stesso errore, lascia scorrere la mano lungo il mio collo per liberare le vie respiratorie. Questo potrebbe essere un grosso errore, perché ci permette di realizzare che siamo troppo vicini per non cedere.
Riesco a malapena a notare che mi sta guardando a causa dell'irrisoria distanza tra noi, e quando lo vedo abbassare le ciglia bionde, osservare i miei denti, affondati nella pelle morbida delle labbra, il mio stomaco ha una convulsione inaspettata, dolorosa e impossibile da non accontentare.
«Scorpius...» non so che altro dire, non c'è nulla da dire. Il suo nome, l'ho pronunciato come una preghiera o un avvertimento? Gli sto chiedendo di farlo, o di resistere?
Lui lègge il mormorio nel secondo modo, e con un sospiro lascia cadere la fronte sulla mia spalla. È in questo momento che mi rendo conto che io, invece, l'ho sussurrato nel primo. Non so cosa sto facendo, so solo che non penso ad altro, e lentamente alzo le braccia per circondargli la nuca. Lo sento sobbalzare piano. Con il suo gesto, tramite lo scartare di lato rispetto al mio volto, ha esposto la pelle morbida e candida del collo, e non capisco neanche più se si tratti di resistere o meno. Con delicatezza la sfioro con le labbra—una prima volta, a malapena percettibile; una seconda che può essere un errore; e una terza con più coraggio, con più desiderio, fino a lasciarvi un bacio silenzioso.
Un bacio è tutto ciò che serve per spezzare, cosa, la formalità che ci tratteneva? Al primo ne segue un altro, e poi un altro, e se possibile i nostri respiri si appesantiscono ancora di più, le mani non più ferme sul mio corpo, bensì una sulla mia vita, il pollice che accarezza la pelle del ventre al di sotto della camicia, l'altra sulla mia nuca, che la blocca, affondandovi i polpastrelli mentre percepisce la bocca vagare sulla sua gola. Sebbene io stia attenta a non succhiare e lasciarvi marchi, è difficile mantenere anche il più esiguo filo di concentrazione mentre il mio seno preme sul suo petto, e mi accorgo che si sta eccitando tanto da far contorcere il mio basso ventre come se stesse giocando a twister.
E pensare che siamo tra i calzini della Preside.
Il fatto è che a un certo punto sento sotto le mani il momento in cui i suoi nervi cedono, si spezzano, e le sue mani si precipitano sui miei fianchi: mi solleva, e con la minima preoccupazione di non fare rumore mi fa aderire sul fondo dell'armadio, obbligandomi a stringergli il bacino tra le cosce. Con una mano sulla mia gola si tira indietro quanto basta per guardarmi, gli occhi stralunati, privi di ogni razionalità, neri come l'inchiostro.
«Vorrei non averti mai incontrata,» dice, e so che è la verità, e non fa nemmeno male. In questo momento, che pure non voglio altro che sentirlo di nuovo su di me, dentro di me, so che provo la stessa cosa. È micidiale, è autodistruttivo, eppure non vedo altro. Non faccio altro che pensare a lui e al contempo desiderare di non vederlo, volerlo vicino e stare a mille miglia da lui. Da lui non ho un futuro, ho solo una marea di guai, di complicazioni, di sfuriate, di pentimenti, e comunque, imperterrita, continuo a volerlo mio.
«Vorrei non averti mai baciato,» gli rispondo. Perché quell'errore fatale, quel momento in cui tutto è iniziato a capitombolare senza fermarsi mai, è stato colpa mia. Avrebbe potuto scansarmi quanto accogliermi, come ha fatto, però ho iniziato io.
La decisione peggiore e migliore della mia esistenza.
L'armadio inizia a ondeggiare sotto i colpi di qualcuno che ha la brillante idea di bussare sulle sue ante come se la stanza stesse andando a fuoco. «Uscite, svelti!» esclama Pervinca, e l'idea che la mia amica possa vederci nel pieno di una scena vietata ai minori di diciotto manda un brivido lungo la mia spina dorsale. All'improvviso sono grata di non aver lasciato alcun marchio visibile al ragazzo che mi sta rimettendo in piedi.
«Questo non deve uscire da qui,» sibilo in direzione di Malfoy, e sgusciando da davanti a lui esco dall'armadio. Afferro Pervinca per il braccio e la tiro verso l'uscita per impedirle di focalizzarsi sul ragazzo che ancora ci dà le spalle, impegnato a calmare più di un bollore. «Andiamo, Vì. Ho preso quello che mi serviva,» affermo, e so che Malfoy si sta tastando le tasche che qualche minuto fa contenevano ancora la lista dei comportamenti scorretti secondo il Calice.
Quando capirà che non c'è mai un attimo della mia vita in cui non tramo qualcosa, forse riuscirà a raggiungermi; fino a quel giorno sarà destinato a soccombere, e a rimanere con l'amaro in bocca.
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