2. dove qualcuno vuole una lezione
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Parte Due:
dove qualcuno vuole una lezione.
Il Torneo TreMaghi. Non credo che ci sia nulla di più prestigioso in questa società, almeno per quanto riguarda l'universo scolastico del mondo magico; non credo che ci sia nulla di più prestigioso che valga la pena di vincere. Non credo che ci sia nulla che io voglia di più, in questo momento.
Penso a mio zio Harry, al trauma che ha comportato vincere e stringere tra le mani spaccate quella Coppa rilucente, e sento le dita pizzicare, la gola secca dal puro desiderio di averla per me. Non posso non farlo, non ne ho il controllo; la mia mente è già partita in quarta, già accarezza con l'immaginazione che cosa voglia dire vincere il Torneo. La fantasia però dura poco, perché è rimpiazzata dalla tenacia, dalla competizione, dalla voglia di primeggiare: non voglio cedere il momento alla speranza ma alla certezza.
Io vincerò quella Coppa, vincerò il Torneo, e il mio successo rimarrà nella storia del mio mondo, non solo della mia scuola. Non c'è se e non c'è ma, perché quel premio ha il mio nome scritto sopra.
«Ma guardati, sei già partita in quarta,» mi richiama alla realtà Shea, un ghigno malevolo nel portarsi alla bocca una mela. «La signorina Weasley ha messo gli occhi sulla Coppa o sbaglio?»
«Aspetta che ci metta le mani, anziché gli occhi,» replico, scostando il piatto da davanti a me e incrociando le braccia. «Ricordatevi queste mie parole, perché io sarò il fottuto Campione di Hogwarts.»
Leta sembra preoccupata, Shea solo divertito dalla mia presunzione. Divertito, sì, ma non ironico: troppe volte ha commesso l'errore di sottovalutare me, la mia impulsività e la mia rabbia, e troppe volte è rimasto a bocca asciutta. Non capisco, invece, se Leta è angosciata per me e per il presentimento che mi caccerò nei guai—conosce alla perfezione come si sono svolti i due precedenti Tornei, e le persone che in essi ci hanno rimesso la vita—o perché questo vuol dire un anno scolastico del tutto diverso da quanto preventivato. Non ci sarà il Quidditch, la Coppa delle Case, avremo ospiti che invaderanno i nostri spazi, le lezioni subiranno variazioni, ci saranno consuetudini e orari stravolti. Devo dire di non essere molto abitudinaria, ma anch'io trovo conforto nella mia routine, e se non ci fosse la prospettiva di una vittoria leggendaria di fronte a me, allora sarei poco entusiasta esattamente come lei. L'ultimo anno sarebbe dovuto essere quello della serenità, della maturità, dello studio per il futuro—per me quello della vittoria di entrambe le Coppe, delle Case e del Quidditch, di magnifici scherzi, di divertimento assoluto e feste clandestine. Con il Torneo TreMaghi mi toccherà rivedere le mie priorità, già lo so.
La reazione che più mi sconforta però è quella di Pervinca. Il modo in cui si volta verso di me, i grandissimi occhi verdi spalancati, è qualcosa che mi priva del fiato. L'ho detto, sono molto protettiva verso chi amo, e Vì è in cima alla lista. So perfettamente cosa la turba, e vorrei essere in grado di aiutarla.
Se all'inizio, almeno i primi anni, mi divertivo a prenderla in giro per i suoi voti stellari in ogni materia, man mano che siamo diventate amiche mi ha iniziato a parlare dei suoi problemi in famiglia. La madre, Cassandra, è una donna bellissima, una vera ereditiera di una famiglia ricca, rinomata e importante quale quella dei McKinnon. È brillante, intelligente, e abile nell'allargare le fortune dinastiche per accumulare potere e visibilità. Attenzione, non è affatto la matrigna cattiva dei cartoni animati: lei ama sua figlia e farebbe di tutto per lei, pur di concederle una vita che la soddisfi. L'ha sempre portata a balli, eventi sociali, l'ha messa al centro del mondo politico dei maghi da quando Vì era piccolissima—e credo che dietro al matrimonio con Draco Malfoy non ci sia solo un grande amore, ma anche una grande astuzia. In ogni caso, se già la mia amica sentiva la pressione della società addosso da tempo, una volta entrata nella famiglia Malfoy le cose non sono che peggiorate.
Capisco come si sente, capisco il suo ragionamento: non solo non vuole essere accostata a una dinastia che non sente propria e che ha compiuto atrocità inimmaginabili, ma soprattutto vuole costruirsi un suo percorso. Vuole essere indipendente, vuole non essere accostata alla madre e a Draco, vuole trovarsi un lavoro che le piaccia contando sulle proprie forze e non sul proprio nome. Si tratta di un ragionamento che condivido appieno, e per questo l'ho sempre sostenuta. È normale che adesso si senta spaesata: l'unico modo che ha per mollare la sua condizione familiare e costruirsi una vita da sé è lo studio, è l'impegno e la dedizione assoluti.
«Andrà tutto bene,» le dico, decisa. «Gli esami si faranno comunque, Vì, così come si terranno le lezioni. Alla fine, per chi non è il Campione si tratta solo di evitare di incontrare gli americani nei corridoi e di vedere ogni tanto qualche combattimento con i draghi, no?»
E il Ballo!, mi fa eco Leta, con dei gesti frenetici ed emozionati. A Natale avremo il Ballo del Ceppo!
«Esatto, avremo anche il Ballo. Non sarai nemmeno costretta a tornare a casa per Natale, e a vedere l'orribile faccia di quel coglione di Malfoy,» cerco di farla ridere, e ci riesco. È merito del mio grande umorismo, ovvio, ma so quali tasti toccare con lei, e Leta ha avuto un'ottima idea. Il Ballo del Ceppo la terrà distratta per settimane, a lei e alla parte del suo carattere che non può non aver ereditato dalla madre, e che trova la sua massima realizzazione in abiti, trucchi e scarpe con tacco. Da quando è andata a vivere a Malfoy Manor, poi, ha sempre trovato difficile tornarci per le feste, e questa è una splendida occasione per stare al Castello e portarla a fare compere.
«Devo dire che è sempre un piacere sentirti parlare, Weasley,» dichiara una voce alle mie spalle, atona e annoiata. «Questa orribile faccia ti manda i suoi ringraziamenti.»
Mi sono chiesta più volte quale sarebbe stata la mia reazione nel trovarmelo di nuovo di fronte, e soprattutto nel parlarci in gruppo, dove avrebbe potuto dire qualsiasi cosa per sputtanarmi completamente; tuttavia, non avevo pensato che mi avrebbe invasa un vero brivido di paura. Quel ragazzo impugna il coltello dalla fottuta parte del manico, e potrebbe recidermi l'aorta in meno di un secondo.
Appena mi volto verso di lui, l'abisso di angoscia si spalanca, una voragine imperscrutabile, infinita. Vedo quegli occhi così strani, che mai mi avevano attratta prima, e riesco a vedere la mia paura riflessa al loro interno. Malfoy sa cosa provo, o quantomeno, se sono abbastanza brava da mascherarlo, se lo può immaginare. Uno grigio e uno verde, come se appartenessero a due persone diverse. Potrebbero fare impressione, lo capisco, ma sono così naturali.
Mi accorgo che sono tutti—compresi Albus e Atlas—in attesa di una mia risposta. Si aspettano che replichi in modo saccente, che li faccia ridere con una battuta, eppure mi sento bloccata. Meglio cambiare discorso.
«Torneo TreMaghi, uh?» dico, con voce forse un pizzico troppo alta. «Chi partecipa di voi? Al?» domando, con una certa frenesia.
Se non conoscessi meglio Malfoy, direi che tra le sue sopracciglia chiare si è formata una ruga di dissenso. La mia attenzione in ogni caso si distoglie presto da lui: Albus mi risponde con una risatina, facendo scalare Vì per piazzarsi tra me e lei. La cena sta volgendo al termine, e ovunque gli studenti si mischiano con i loro amici delle varie Case per riconciliarsi dopo un'estate a distanza. Questo vuol dire che il trio dei Serpeverde non ha esitato a unirsi a noi, poveri sventurati non scappati in tempo.
«Io non ho la minima intenzione di mettere il mio nome in quel calice,» mi fa sapere, sorridendo allegro. «Il Torneo TreMaghi per me vuol dire solo che la MG sarà troppo distratta per badare ai casini che combino. Si prospetta un anno favoloso.»
«Io sono leggermente preoccupato per le lezioni,» interviene Atlas, protettivo alle mie spalle. «Per essere un Auror bisogna andare bene ai M.A.G.O., e all'Accademia interesserà poco il Torneo come distrazione.»
Vì mi lancia un'occhiata di soppiatto.
«Sei troppo cerebrale, amico,» fa Shea, sghignazzando. Si alza in piedi, poi si china per lasciare un bacio tra i capelli di Leta e fa un sorriso enorme. «Signori, la mia bella Corvonero mi reclama. Non aspettatemi svegli,» conclude, prima di portarsi una mano alla fronte nel saluto militare e poi avviarsi entusiasta verso l'uscita della Sala Grande.
«Andiamo tutti da noi,» dice allora Atlas, sfiorandomi il collo con la punta delle dita. Si rivolge poi a me. «Se vuoi, dopo puoi restare a dormire.»
Ogni tanto è successo che io mi sia fermata la notte nel dormitorio maschile che i ragazzi condividono con Duncan Flint, è vero; purtroppo adesso so che non riuscirei a chiudere occhio con la consapevolezza della presenza di Malfoy a meno di un metro. Percepisco i suoi occhi su di me mentre apro la bocca per rispondere, ma Vì mi batte sul tempo. «Ho bisogno di alcol,» dichiara, alzandosi anche lei e spazzolandosi la gonna dalle eventuale briciole della cena. «Atlas, tu avevi ancora quella bottiglia di amaro tra le assi del materasso?»
Atlas si fa presto distrarre, coinvolgendo Vì e Albus in una conversazione piuttosto infervorata su quale tipo di alcolico ingurgitare questa sera; io faccio presto ad afferrare Leta sotto braccio e tirarla avanti per non dover restare sola con Malfoy.
«Allora,» dico, cercando di suonare il meno nervosa possibile. «Hai più parlato con Shea?»
Leta mi fissa come se avessi i baffi da tricheco. Ovvio che no, mima, sbalordita dalla mia semplice domanda. Perché avrei dovuto?
Perché sei nella mia stessa situazione, vorrei dire. Mi piacerebbe così tanto aiutarla, farle capire che sono al suo fianco, ma non potrei farlo senza spiegarle cosa è successo con Malfoy. Leta è una persona seria e affidabile e io le voglio un bene enorme; semplicemente, non ho la certezza matematica che non direbbe agli altri ciò che le confido.
Ora vado, mi fa quando arriviamo all'imbocco delle scale. Il dormitorio dei Grifondoro è al settimo piano, e io purtroppo mi sto facendo trascinare nei sotterranei. Chissà se ne uscirò viva.
«Dove?» chiedo, allarmata. «Perché non scendi con noi?»
Non voglio rovinare il tuo momento con Atlas, ridacchia, stringendosi nelle spalle. Sappiamo entrambe che presto saranno tutti abbastanza ubriachi da permettervi di scappare in dormitorio. Tutti tranne Malfoy, certo, specifica, senza malizia o altro.
Ti ringrazio per la fiducia, le risponde Malfoy, un movimento elegante delle mani affusolate. Buona serata, Leta.
La discesa verso il buio non è affatto facile; so che devo farmi coraggio e tenere una faccia illeggibile, ma avere Malfoy così vicino è destabilizzante. Ho la sensazione che il mio odio prenderà il sopravvento, che per la tensione gli risponderò in modo fin troppo esagerato, e che lui risponderà svelando a tutti delle notti di fine luglio.
«Stai pensando al Torneo?» mi chiede Atlas mentre procediamo giù per le scale. Credo che Gazza odi questo posto quanto noialtri: diminuiscono le torce, la luce naturale, e aumenta la percezione di star soffocando. So che la Sala dei Serpeverde è un luogo sicuro rispetto la tetra perdizione dei corridoi nei sotterranei, tuttavia credo proprio che tornerò a respirare solo ore più tardi, quando sarò di nuovo nella mia torre.
«Tu pensi di provare a entrare?» domando in risposta, incrociando le braccia al petto.
«Non proverei mai a rubarti il posto,» scherza, e dietro il tono divertito so che dice davvero. Crede che io potrei risentirmi della sua voglia di partecipare? Non mi è nemmeno venuto in mente, prima, che potrebbe essere scelto al posto mio.
«Rivedrai i tuoi compagni di Beauxbatons, no? Dovresti essere contento, almeno per questo. Invece sembri più preoccupato tu che me.»
Atlas si acciglia, le labbra morbide corrucciate in una lieve smorfia. Mi guarda, gli occhi grandi e scuri, sinceri, gentili. «Ma io sono preoccupato, Rose,» mi dice, quasi stupito—negativamente—della mia osservazione. «Ti conosco da anni, so come ragioni. Adesso stai pensando alla gloria futura, all'emozione di essere la prima sul podio, ma c'è altro da considerare. È qualcosa di pericoloso, è imprevedibile: non riesco a non pensare che metteresti da parte la personale salvaguardia pur di vincere. Non è una critica,» aggiunge, accarezzandomi lo zigomo con sguardo più morbido. «Forse sono paranoico.»
Non so che rispondergli. Non posso rassicurarlo, sarebbe una falsità imperdonabile da parte mia. Già ho tradito la sua fiducia, quest'estate—adesso non posso tradire la sua intelligenza. Vorrei così tanto confidarmi con lui, dirgli tutto, parlare al mio migliore amico di un segreto che mi sta gravando sull'anima, ma per la prima volta in vita mia mi ritrovo senza coraggio. Lo ferirei, gli toglierei un amore e un'amicizia importanti. E io lo amo, amo Atlas, lo amo abbastanza da non desiderare mai la sua sofferenza; allo stesso tempo, forse, non lo amo abbastanza da pentirmi delle mie scelte. Ho enormi sensi di colpa—verso di lui, verso Vì, verso Albus—che si aggravano ogni volta che li guardo, e ciononostante so e temo che se potessi tornare indietro, farei la stessa identica cosa, e questo mi tormenta.
L'unica cosa che posso fare è prendere tra le mie la mano che si è posata, delicata, sul mio volto. «Andrà tutto bene,» gli dico. Può farmi male, però so che è la verità, e quindi sussurro: «non è nemmeno detto che io venga scelta.»
«Rose,» mi dice, portandosi le nostre mani intrecciate alle labbra. «Se non entri tu, non lo farà nessun altro.»
Sento un brivido. Come posso essere amata così tanto, e al contempo voltare le spalle in questo modo a tanta fiducia? So di poter essere priva di scrupoli, che tendo a mettere la vittoria davanti all'eventuale sacrificio, che se devo calpestare per arrivare più in alto lo faccio senza esitare. Atlas è così buono e ottimista che mi fa sentire come se questo intero tratto della mia personalità fosse un difetto, cosa che con altri non avevo mai sperimentato.
«Se entra lei, invece, Hogwarts è destinata a soccombere,» dichiara Malfoy, superandoci con una spallata leggera rivolta a Atlas. «Avanti, vorrei arrivare in Sala Comune prima dell'alba.»
Atlas si lascia strappare un sorriso da quel commento, mentre io sono infastidita. Oltre al non capire che razza di comportamento sia quello, inizio a temere sul serio che Malfoy possa lasciarsi sfuggire qualcosa. Finora ho evitato con successo ogni contatto—abbiamo passato l'ultimo periodo accuratamente separati—ma adesso si torna a vivere insieme, dannazione. È vero ciò che ha detto Leta sulla sua capacità di contenersi, ne sono consapevole; infatti temo proprio che se aprirà quella boccaccia sarà per sua volontà, e non per l'effetto di eccessivo alcol.
Atlas è fin troppo buono per tollerare quel ragazzo, a cui vuole davvero bene, però io sono oggettiva, e so vedere ogni sfumatura di crudeltà nel suo carattere. La sua, per quanto secca, non è stata una semplice battuta, come ha creduto il mio ragazzo: è una frecciatina. Purtroppo sono arrivata a conoscerlo bene, e so per certo che vuole mettere il suo nome nel Calice di Fuoco.
Ebbene, chi sono io per impedirglielo? Si ritroverà a mordere la polvere che lasceranno i miei tacchi, proprio come chiunque altro.
«Andiamo,» mi fa Atlas, posandomi una mano sulla spalla e sospingendomi in avanti, «o Albus e Pervinca finiranno tutto l'alcol che abbiamo.»
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Preoccupata come sono a controllare che Malfoy non si lasci sfuggire nulla di compromettente, mi rendo a malapena conto di quanto effettivamente io stia bevendo. Passano a malapena due ore, e la Sala Comune dei Serpeverde è affollata di ragazzi dell'ultimo anno sbronzi fino al coma etilico. Albus è sparito con una studentessa che penso di non avere mai visto; Duncan Flint è rimasto, davvero non saprei dire come, privo della camicia, che è stata appesa al camino e viene lentamente ricoperta da uno strato di cenere; Atlas, che non riesco a concepire come possa reggersi ancora in piedi, sta sproloquiando su tattiche di Quidditch che il Torneo gli impedirà di vedere mai realizzate.
Pervinca, invece—secondo me dalla disperazione—si trova alla grande nel covo di serpi, e si è piazzata al centro della Sala Comune con una bottiglia vuota in mano. Ha costretto quattro ragazzi a spostare i divani, e adesso siamo tutti in cerchio sui tappeti verdi della stanza. Dall'altra parte del cerchio c'è Malfoy, che mi ha a malapena guardata dal momento in cui abbiamo iniziato a giocare.
«Il gioco è semplice,» ha spiegato Vì, agitando fin troppo pericolosamente quella bottiglia di vetro. «Capitano due persone, si fa una gara per stabilire il vincitore, che poi potrà costringere il perdente a fare qualcosa.»
È per questo che Duncan è finito senza maglia, mi ricordo. Nicosia Hopkins è finita a fare un succhiotto a un altro Serpeverde, e Atlas si è dovuto scolare da solo un quarto di bottiglia di Firewhisky prima di collassare tra le mie braccia che l'hanno a malapena salvato da una commozione cerebrale. Con Albus nel suo dormitorio non l'ho potuto portare a letto, e per questo sta vaneggiando sul divano, lontano dal gioco, con i due compagni di squadra che sono ubriachi come lui e non capiscono una parola di quello che dice.
Generalmente non mi piace perdere il controllo di me stessa, né tantomeno stare male il giorno dopo: l'unica cosa che mi ha convinta a rimanere è la gara inserita nel gioco, perché non vedo l'ora di fare il culo a qualche malefico Serpeverde.
Il mio turno capita quello che sembra un'infinità dopo, e le regole sono semplici. Ciascuno dei due concorrenti ha in dotazione una striscia della ex camicia di Duncan, da inserire nell'elastico dei pantaloni a mo' di coda; il primo che prende quella dell'altro, vince. Il mio avversario, Nicosia, è più vigile degli altri. Purtroppo ho già avuto il dispiacere di conoscerla, ed è odiosa, piena del veleno che caratterizza la sua intera Casa. Anche se, devo ammettere che non è esattamente colpa sua se riesco a stracciarla in ogni sorta di gara. Sono io troppo capace per lei.
È per questo che capisco il modo in cui le luccicano gli occhi. Ha di fronte la possibilità di battermi in qualcosa, e non vuole farsela sfuggire. È un vero peccato, perché mi ci vogliono circa cinque secondi da quando Pervinca ci dà il via per strapparle la coda di dosso. Il movimento è semplice: le permetto di fare il primo passo, un gesto avventato che la sbilancia, prima di fingere un attacco frontale e poi scartare di lato. Per poco non colpisco un povero sventurato seduto lì accanto, e non potrebbe importarmene di meno.
«La Weasley ha barato,» dichiara Nicosia, le guance bollenti, voltandosi verso gli altri spettatori. «Adesso valgono anche le finte in questi stupidi giochi?»
Incrocio le braccia al petto e sollevo un sopracciglio. La vittoria non sarà stata eclatante, ma la sua reazione la rende mille volte più piacevole. «L'errore è tuo che credevi di potermi battere in qualcosa, Nicosia,» le dico, prima di gettarle ai piedi lo stralcio di camicia. «Faresti bene a ricordartelo, la prossima volta.»
«Se sei così brava perché non mi dai la rivincita?» mi istiga, gli occhi verdi avvelenati. I capelli rossi, molto più accesi dei miei, alla luce del fuoco sembrano fluttuarle sulle spalle.
Mi metto a ridere, sedendomi a cavalcioni sul bracciolo del divano. «Povera stella,» la prendo crudelmente in giro, «perché dovrei farlo—per stracciarti di nuovo, forse?»
«Hai paura?» è la sua replica. Rimango di sasso. Non ho più lei di fronte, ma Malfoy.
«Hai paura?» mi prende in giro, tendendo una mano verso di me. Il mare è calmo alle sue spalle, un oblio nero come la pece. La sua pelle, illuminata dalla luna, è del colore del marmo. Non posso temerlo, non lui—non dopo tutto quello che è successo. È per questo che accolgo la sua stretta, e lo bacio.
«Io non ho paura di niente,» ringhio tra i denti, costringendomi a serrare i pugni pur di non sbirciare la reazione di Malfoy. «Se vuoi essere sconfitta due volte, accomodati.»
«Non è questo il gioco,» cerca di protestare Vì, la voce debolmente strascicata.
Entrambe la ignoriamo, fomentate dal coro che inizia a sollevarsi dagli studenti che ci guardano. Ci rimettiamo la coda, e torniamo in posizione. Siamo una di fronte all'altra, e lei è parecchio arrabbiata. Non ho il vantaggio della finta, ma sono più veloce di lei. Attendo ancora che si muova per prima, e visto che stavolta sembra aver imparato la lezione, azzardo il primo passo. Nicosia si muove di conseguenza: blocco facilmente un suo tentativo di portarsi alle mie spalle, ma così facendo scopro il mio volto, e la ragazza non esita a rifilarmi una gomitata in piena bocca.
«Nicosia!» sento dire da una sua amica. Mi porto una mano alle labbra, dove oltre a un dolore lancinante trovo la gengiva recisa da un dente. Ritraggo le dita coperte di sangue, e come se fossi un animale selvatico, la sua sola vista mi fa vedere rosso.
Non ha nemmeno provato a fingerlo: la sua intenzione era proprio quella di darmi un cazzotto in bocca, e vendicarsi dell'umiliazione di pochi minuti fa.
«Credi di essere stata furba?» le chiedo, la voce affilata nel silenzio scioccato che è sceso dopo la sua mossa. Mi avvicino di un passo, e lei, che forse non è una completa idiota come pensavo, ha la decenza di ritrarsi. «Credi che io non ti farò pagare quello che hai appena fatto, Nicosia? Credi,» aggiungo, in un sibilo serpentesco, «che non ti pentirai di essermi andata contro?»
Se solo non avessi bevuto, so che sarei riuscita a prevederla, sia mentalmente che fisicamente. Era ovvio che si volesse solo vendicare, e io le ho dato lo stupido pretesto per farlo. È colpa mia e della mia idiozia. Mi è stato insegnato a non abbassare mai la guardia, a prevedere le mosse delle altre persone. Nicosia non è mai stata per me un problema, e non lo sarà mai, lei con la sua avventatezza e presunzione, però questo non vuol dire che non avrò il piacere di restituirle il torto che mi ha fatto.
«Adesso basta,» dichiara Vì, alzandosi in piedi e con un solo sguardo inducendo Nicosia a riprendere posto sul pavimento. Pervinca si piazza davanti a me, e tira fuori un fazzoletto dalla tasca con cui mi tampona delicata il labbro. «Possiamo andarcene, se vuoi. Non siamo costrette a rimanere.»
«Non mi farò certo vedere da questi ebeti mentre scappo dalla regina della superficialità,» rispondo secca, riprendendo il mio posto sul bracciolo del divano. «Gira quella bottiglia, Vì.»
Mi lascio per un secondo distrarre da Atlas, che si è addormentato accanto a dove sono seduta. Mi chiedo come avrebbe reagito di fronte ciò che mi ha fatto Nicosia, se l'avrebbe fermata, rimproverata, se avrebbe preso le mie difese. Probabilmente sì, avrebbe cercato di farmi giustizia a modo suo. Allora è una fortuna che sia addormentato, mi dico, ritornando a prestare attenzione al gioco. Non avrei mai voluto ricevere un torto, e in più subire la vergogna di essere salvata dal mio grande e grosso ragazzo.
«Malfoy,» fa allora Vì, che ben si guarda dal chiamarlo per nome nonostante sia da anni una sorta di fratello. «Cazzo, è riuscita Nicosia.»
«E allora facciamo un semplice gioco della bottiglia, porca troia,» interviene Onyx Nott, che come ogni adolescente che si rispetti vuole solo terminare la serata portandosi a letto il suo oggetto del desiderio. «Baciatevi e fatela finita.»
So che Nicosia non sta aspettando altro, e per quanto Malfoy sembri innervosito dalla situazione e dalla piega che ha preso il gioco, non si oppone alla decisione di Onyx, che viene acclamata a gran voce dal branco di pecore con cui sto trascorrendo la sera.
Nicosia, senza che nessuno le abbia detto nulla, si alza e si va a sedere sulle gambe di Malfoy, e gli porta un ciuffo di capelli all'indietro per scoprirgli la fronte. Malfoy non si fa pregare, e le porta la bocca all'orecchio; iniziano gli applausi e i cori maliziosi, ma solo io, dalla mia posizione sopraelevata che vede le spalle di Nicosia, noto che lui le sta parlando.
Nicosia è immobile, e così rimane anche quando Malfoy torna dritto. Non vedo il loro bacio, perché la vuota testa della ragazza mi copre la visuale. Non deve durare tanto, comunque, e non sono nemmeno particolarmente interessata a carpirne i dettagli.
Sono tuttavia curiosa di sapere che cosa lui le abbia detto, e l'occasione per scoprirlo mi si pone appena dopo, quando Nicosia scende dalle sue gambe e Malfoy rovista nei suoi pantaloni fino a estrarne un pacchetto di sigarette. Si alza e senza dire una parola si avvia verso l'uscita della Sala Comune; io ci metto pochissimo a decidere di cedere all'istinto, e a seguirlo.
Pervinca per fortuna è impegnata a baciare Onyx, che ha finalmente ottenuto ciò che moriva dalla voglia di avere quella serata, e non sono più tanto sicura che il gioco stia andando avanti, visto che ci sono parecchie coppie che stanno seguendo il loro esempio. Scuotendo la testa supero l'ingresso della Sala Comune e mi ritrovo nel sotterraneo dal quale avevo tanto voluto fuggire all'andata.
Malfoy è a pochi passi, una sigaretta spenta tra le dita, e mi sta fissando, come io fisso lui. Devo dire, non c'è molto altro su cui concentrarsi in questo posto lugubre e umido. Mi avvicino con una certa cautela, restando a debita distanza.
«Non credevo saresti venuta stasera,» dice, rigirandosi la sigaretta. Con il pollice, fa scattare ripetutamente l'accendino, che dà vita a una fiamma bluastra.
«Cosa hai detto a Nicosia?» chiedo. Cerco di mantenere uno sguardo impassibile. Lo vedo, vedo i suoi strani occhi di colori diversi, vedo in controluce la catena d'oro che porta al collo, e sono spaccata in due dall'odio e dai ricordi.
Malfoy solleva un sopracciglio, e con un movimento fluido accende la sigaretta prima di far scivolare di nuovo l'accendino in tasca. Mi distraggo nel guardare il fuoco illuminargli il volto, le labbra corrucciate nel tenere in equilibrio l'oggetto. Deve essersi portato una buona quantità di pacchetti. La McGranitt è capace di fulminarlo se scopre che fuma nel Castello—almeno l'anno scorso aveva la decenza di farlo solo fuori dal campo di Quidditch, o a Hogsmeade.
Tira una boccata di fumo, appoggiato alla parete dietro di lui, e mi sento confusa e dolorante quando le sue labbra si tendono in un sorriso che gli scopre appena i denti bianchi. «Non ti riguarda.»
«Sì, invece,» dico, serrando la mandibola, irritata dal suo divertimento. Evidentemente ho fatto una domanda che si aspettava. «So che le hai detto qualcosa su di me. Su quello che è successo.»
«Forse le ho solo fatto un complimento prima di baciarla,» replica, e quelle parole mi irritano a morte.
Compio due passi nella sua direzione, i nervi a fior di pelle e il dito puntato contro di lui. «So leggere il fottuto linguaggio del corpo, Malfoy. La tua era una minaccia, e il bacio—»
«Cosa vuoi che ti dica?» mi interrompe, inspirando altro tabacco e poi riversando fumo dalla bocca. «Che ho preso le tue difese?»
«Non ne avrei certo bisogno.»
«E allora questa conversazione non ha senso. Tornatene in Sala Comune a insultare la gente e badare al tuo ragazzo,» conclude. È più infastidito rispetto a poco fa: quella stessa ruga di stasera a cena si ripresenta con più chiarezza tra le sue sopracciglia.
So che dovrei andarmene, ma i miei piedi sono incatenati al pavimento. Non gli do alcuna soddisfazione, a lui e alla sua aria di superiorità. Continuo a guardarlo, cercando di capire che cosa vuole dire. Il suo riferimento ad Atlas mi mette a disagio: non voglio che parli di lui, e che lo faccia con tanto astio. È troppo puro per noi, non meritiamo di coinvolgerlo nei nostri discorsi. E poi, tutte queste menzioni rischiano di portare a qualcosa di indesiderato.
«Parteciperai al Torneo?» domando allora, infilandomi le mani nelle tasche dei jeans, che mi sono dimenticata di cambiare dal mio arrivo rocambolesco. «Proverai a mettere il tuo nome in quel Calice?»
«Temi la competizione, Weasley?» replica, e stavolta questa sua ironica domanda gli strappa un sorriso. Fa un altro tiro, poi si volta per spegnere il mozzicone contro la parete nera.
Quando si gira di nuovo, io gli sono davanti. È più alto di me, però non importa. Lo fisso duramente, sentendo ogni briciolo di ribrezzo nei suoi confronti aumentare man mano che quelle iridi mi ricordano delle notti d'estate.
«Puoi provare a farlo, Malfoy, ma quella Coppa è mia, e lo sappiamo tutti e due.»
Arriccia il labbro superiore in una smorfia arrogante. «E questo chi l'ha deciso? Pensi che solo perché le tue inutili minacce hanno effetto su Nicosia, allora lo faranno anche su di me?»
Sento i palmi delle mani prudere dalla voglia di cancellargli dalla faccia quell'espressione. «Ti sto dando un'occasione per evitare di essere umiliato davanti tutta la scuola. Dovresti coglierla.»
La sua ostilità aumenta. Si avvicina ancora di più a me, fino a obbligarmi ad alzare il mento. Non mi lascio distrarre dalla prossimità, non sono così debole, ma neanche lui sembra particolarmente toccato.
«E tu dovresti provare a darti una ridimensionata,» mi dice, un lieve odore di fumo dalla sua bocca. «Credi di poter primeggiare su tutto, ma il Torneo non è niente che tu abbia mai visto.»
Stringo i denti, la mia voce ridotta a un basso ringhio. «Che cosa hai detto a Nicosia?»
Ormai siamo così vicini da vedere ciascun particolare del volto altrui, ogni ciglio aggrottato, ogni ruga di corruccio, ogni muscolo guizzante. Siamo stati altre volte a tale distanza, eppure questa è la prima in cui non c'è altro che astio e avversione a correre tra di noi.
«Le ho detto di guardarsi le spalle,» dice sottovoce, le labbra sfiorate da un sussurro gelido. «Perché tu non dimentichi i torti subiti.»
Poso una mano al lato della sua testa, i polpastrelli che affondano nella pietra fredda. «Che cosa le hai detto?» ripeto, impassibile.
So che c'è altro, perché Nicosia non avrebbe mai reagito con tanto spavento di fronte una mia minaccia. Siamo così attenti a ogni parola e gesto, così tesi, che sobbalzo quando solleva una mano e mi accarezza il labbro inferiore.
«Le ho detto di guardarsi le spalle,» ripete, guardando il taglio sulla mia bocca. «Perché io non dimentico i torti subiti.»
Gli sfioro lo zigomo appuntito con il pollice, disgustata dal modo in cui ci stiamo toccando, guardando. «Se metterai il nome in quel Calice, il mio obiettivo sarà quello di distruggerti.»
Un cupo sorriso gli illumina il volto. «Non ti resta che provare.»
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