Capitolo otto.
Torno in bagno e lo afferro per la mano, sembra un bambino prso, perso come il suo sguardo fisso a terra.Lo faccio sedere sul letto:
-Dormirai qui, ma prima devo vedere la ferita.
-Grazie.
Si stende e comincio a disinfettare la ferita, poi metto in pratica i corsi di pronto soccorso della mia città, Dawson:
-Ok, scusa se ti ho fatto male.
Scuote la testa e si infila sotto le coperte, faccio lo stesso, a una decina di centimetri di distanza.
Senza dire una parola si gira verso di me, rimaniamo qualche secondo a guardarci, non c'è bisogno di parlare, i nostri occhi sembrano poter fare il più bel discorso di sempre.
Allunga un braccio e mi afferra per la vita, wow che sensazione, non concepisco come posso aver trascorso i miei vent'anni senza averla mai provata; mi trascina verso di sè, eliminando quella poca distanza che ci separa.
Non mi stacco e mi sistemo tra le sue braccia, è caldo, quel contatto sembra eliminare ogni preoccupazione. Abbasso la testa e la appoggio sul suo petto, mentre le sue braccia aderiscono perfettamente alla mia schiena.
Le miriadi di emozioni di quel momento mi hanno portato a lasciarmi andare, ma realizzo che sarebbe meglio non aver nessun contatto fisico, nè verbale.
Faccio per staccarmi, spingendomi con le mani sul suo petto, ma non mi lascia scivolare via, anzi mi stringe più forte:
-No, ho bisogno di calore.
Sussurra e sento le vibrazioni della sua voce roca sfiorarmi i capelli e scendere giù, sempe più giù.
-Del tuo calore.
Ho ancora le mani tese, creando una nuova distanza tra di noi, una distanza insopportabile, anche se di pochi centimetri sembra di chilometri.Ora che ci siamo uniti, non possiamo stacarci, sembriamo calamite.
-Ti prego, ho bisogno di te.
A quelle parole il mio cuore fa una capriola, mentre il mio cervello si vorrebbe strozzare, non riesco a dire altro:
-Ok.
Allento le mani e mi risistemo contro di lui, in lui.
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