First Kiss
•One-shot Johnlock;
•John e Sherlock non si conoscono ancora;
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Era una sera come tante altre quella in cui John Watson e Sherlock Holmes si conobbero.
Le stelle brillavano, la luna splendeva e sulla strada principale c'erano persone a non finire. Camminavano a coppia, mano nella mano i più giovani, a braccetto i più anziani; da soli, con il telefono all'orecchio e la ventiquattrore in mano gli impiegati che uscivano tardi dagli uffici; di fretta, perché la moglie aspettava a casa con la cena già sul tavolo; con calma, perché l'appartamento era vuoto e il condomino non permetteva animali. Tutti passavano su quella strada, calpestando il cemento rappreso, incuranti che a pochi metri da loro stava avvenendo l'incontro che avrebbe cambiato la vita ad un sociopatico iperattivo e a un medico militare.
John era seduto a un piccolo tavolo del "Liberty", uno di quei bar che trovi solo quando girovaghi senza meta di notte, uno di quelli con l'insegna al neon che funziona a intermittenza, che sembra che ogni volta che si spenga non si riaccenda più.
Beveva il suo terzo Tequila, sospirando ogni tanto perso in chissà quali pensieri. Sicuramente non felici, a giudicare dall'espressione corrucciata, formulò Sherlock, appollaiato su uno sgabello mentre sorseggiava annoiato una tazza di the corretto. Riusciva a vederlo bene grazie allo specchio che ricopriva il muro dietro al bancone. Si era scelto l'unico posto in cui le bottiglie non facevano da decorazione al piano da lavoro, ottenendo così un'ottima visuale della sala. Osservando John, nome che aveva dedotto leggendo la targhetta sul suo pullover prima che lo stesso se ne accorgesse e la togliesse imbarazzato, aveva capito che la sua ultima fiamma l'aveva lasciato. L'intuizione era dovuta al movimento continuo della mano, un attimo chiuso a pugno, l'altro aperto, come per scaricare la rabbia.
Il sonaglio a vento suonò allegramente alla visita di un nuovo cliente. Costui era una donna, alta, slanciata, capelli cremisi tinti, occhi castani truccati a detta di Holmes troppo pesantemente. Il vestito verde foresta attillato e iper corto non aiutava di certo a farsi una buona idea al detective, ma quando iniziò ad avanzare con passo sensuale capì le sue intenzioni. Si alzò immediatamente dal bancone, lasciando delle banconote sotto la sua tazza, ritirate velocemente dal barman, e si diresse verso il bagno, dall'altra parte della stanza.
Lo donna proseguì non facendoci neppure caso, gli occhi fissi sulla preda di quella notte. Un ultimo metro e lo raggiunse, accomodandosi nel posto frontale del tavolo di Watson. Montando un sorriso alla bell' e meglio, John aspettò che parlasse e se ne andasse, ma le intenzioni della donna, a quanto parevano, erano ben diverse. Iniziò a raccontargli sprazzi della sua vita, al quale il dottore annuiva annoiato. Voleva solo deprimersi chiuso nella sua solitudine, era tanto difficile rispettare la sua volontà di quella sera?
A un tratto la donna, Marlene, così colse John tra un discorso e l'altro, smise di parlare e Watson fu grato a chiunque o qualsiasi cosa l'avesse messa a tacere, ma nel girarsi trovò lo sguardo penetrante di un uomo fisso nel suo. Deglutì, prendendo mentalmente nota di non frequentare più quel bar, se fosse sopravvissuto.
Vide un pugno partire carico e dirigersi verso la sua faccia. L'alcool gli aveva rallentato i riflessi e sapeva che non sarebbe riuscito a evitarlo. Eppure dopo quasi dieci secondi sulla sua guancia non c'era atterrato ancora nulla. Aprì gli occhi e trovò un ragazzo, se non altro era più giovane di lui, che bloccò l'attacco, fermandogli il polso. John era estremamente confuso, era addirittura arrivato a credere che tutto ciò fosse frutto della sua fantasia, e che in verità lui era crollato sul tavolino, troppo ubriaco per muoversi.
Il suo "salvatore", così l'aveva chiamato in attesa di sapere il suo vero nome, si voltò verso l'omaccione e, mirando con precisione, infilò due dita negli occhi, facendogli perdere l'equilibrio, poi preparò uno sgambetto in cui il malcapitato inciampò, finendo a terra.
"Stai bene, amore?" sussurrò il ragazzo misterioso.
John era totalmente sotto shock, ma non avrebbe saputo dire se per ciò che era appena successo o per l'appellativo con cui l'aveva chiamato quello splendore, perché, guardandolo più da vicino, era davvero un gran figo: due laghi artici incastonati su un viso pallido, incorniciato da ricci scurissimi; gli zigomi alti e arrossati dalla breve lotta, forse anche da alcuni bicchierini di un qualche alcolico che non avrebbe saputo dire; poi le labbra, così sottili, così piccole, così invitanti... Okay, stava divagando e soprattutto non aveva ancora risposto alla domanda del gentil salvatore.
"E-Eh... Ah... I-io..." cosa diavolo era quel balbettio. COSA. DIAVOLO. ERA.
Il riccio avvicinò il viso a quello di John, mandandolo più in tilt di quel che non era già. Si osservarono attentamente, occhi dentro occhi, non riuscendo a distoglierli,come se i loro sguardi fossero legati da catene invisibili.
"S-Sì... T-Tesoro" replicò il dottore, sperando di essere convincente.
E probabilmente lo fu, perlomeno abbastanza perché la coppia che li aveva agganciati capisse la situazione e se ne andasse -beh, l'uomo mancava poco che strisciasse e la donna con il viso talmente rosso che sarebbe stato difficile trovare differenze con la sua capigliatura.
Sherlock porse il braccio a John, il quale, capendo, lo afferrò. Si diressero verso l'uscita, dopo aver lasciato dei soldi sul tavolino, e il detective sussurrò mantenendo un lieve sorriso: "Continua a camminare, ci stanno ancora osservando dal bancone"
Appena misero fuori il piede dal locale la situazione si fece a dir poco imbarazzante. Non sapendo che fare, sciolsero l'intreccio delle loro braccia, puntando gli sguardi a terra.
"Io... Vado. Addio" disse il detective, la voce leggermente incrinata all'ultima parola.
Non voleva ammetterlo, ma si era completamente invaghito dell'uomo più basso davanti a sé. Come avesse fatto, era un mistero anche per lui, siccome l'aveva solo stalk-osservato attentamente da lontano. Fece per andarsene, ma una mano tirò il polso del suo amato cappotto. Si voltò e trovò una versione del dottore carina all'ennesima potenza: gli occhi sempre ancorati al suolo, i piedi convergenti, le mani incrociate dietro la schiena e il busto un poco inclinato in avanti. Okay, forse detto così sembrava più un vecchietto che altro, ma per Sherlock fu davvero un colpo al cuore.
"Ehm... Grazie per prima..."
"Figurati. Dovere"
"Ecco... Posso chiederti perché l'hai fatto?" domandò John rialzando lo sguardo verso il detective.
Il consulente investigativo rimase totalmente spiazzato.
"Te l'ho detto, dovere" rispose tentando di chiudere l'argomento.
"Nah, rischiare di prenderle su da quel tipo... non credo proprio che fosse il tuo obiettivo di questa sera"
"Non posso darti torto"
"Io sono venuto qui per bere e dimenticare" pronunciò John dopo qualche secondo di silenzio.
"E sono senza un posto dove stare adesso che ci penso. Sarah mi ha buttato fuori" aggiunse.
"Beh, io abito a un paio di isolati da qui... E cerco un coinquilino con cui dividere l'affitto, dottor John" gli propose il detective, lasciando spiazzato il povero Watson. Come diavolo...?
"So quello che stai per dirmi e io ti rispondo solo che mi piace osservare attorno attentamente. Ah, e ho letto la targhetta prima che potessi tirarla via. Ora, John, se vuoi possiamo incamminarci"
"Ma non ti conosco nemmeno! E la targhetta possono averla letta tutti. In ogni caso, ti ho già arrecato troppo disturbo" replicò scioccato John.
"Se mi permetti, lungo la strada ti convincerò a diventare mio coinquilino. E per la cronaca, sono io che ho deciso di intervenire, tu non c'entri nulla" gli fece un occhiolino che infiammò le guance di John.
"E se non dovessi riuscirci?"
"Scommettiamo?"
"Chi perde fa qualsiasi cosa l'altro chieda. Un solo desiderio"
"Ci sto" accettò la sfida Sherlock, poi cominciò a parlare di nuovo, anzi a dedurre John, che rimaneva ad ogni parola sempre più a bocca aperta.
Dopo un buon quarto d'ora arrivarono al 221B di Baker Street e il detective si voltò verso il dottore.
"Allora, possiamo condividere un appartamento ora?"
"Cavolo, non ho idea di come tu abbia fatto, ma hai vinto la sfida. Vivrò con te. E ora puoi chiedermi qualsiasi cosa tu voglia" affermò affascinato Watson.
Il detective fece per pensarci su, poi si avviò verso il portone, tirando fuori le chiavi della tasca, infine tornò indietro dal dottore. Appoggiò delicatamente una mano sui suoi occhi e avvicinò il viso lentamente. John poteva percepire il respiro caldo e leggermente rapido dell'uomo di fronte a lui. Avrebbe dovuto agitarsi, scappare via, insomma un estraneo -sì, perché egli non sapeva niente riguardo a quell'affascinante consulente investigativo- stava per... Baciarlo? Aspetta, perché voleva baciarlo?
Prima che potesse darsi una qualsiasi risposta, le loro labbra si incontrarono. Fu un contatto veloce, probabilmente non più di tre secondi, eppure entrambi sentirono una violenta scarica di adrenalina.
Quando si staccarono, Sherlock si era portato ad almeno cinquanta centimetri di distanza.
"Vogliamo salire? Vorrei mostrarti la tua stanza" disse il detective nel modo più naturale possibile, come se nulla fosse accaduto.
~ E quello fu solo il primo di una lunga serie di baci, ve l'assicuro io, Mrs. Hudson in persona. Spero che la storia vi sia piaciuta, ragazzi, perché è proprio così che andò quella sera, quando io mi affacciai alla finestra per puro caso e li trovai intenti nei loro allegri scambi di saliva. Ahimè, era troppo buio per immortalare il momento con una foto, ma vi posso garantire che conservo tutto nel mio cuore e nella mia memoria. Detto ciò, vi saluto, dandovi appuntamento al prossimo sex-ta-- voglio dire, racconto. A presto e grazie dell'ascolto, amici miei!~
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