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Cap 52

Non pensavo fosse tanto difficile riprendere gli allenamenti. Prisca mi aveva avvisato: non ti sembrerà vero, ma al tempo stesso qualcosa cambia dentro di te.

Pensavo che lei dicesse così perché il suo è stato un problema più grave. Invece aveva ragione. Basta stare un po' lontani dal ghiaccio per doverlo poi riconquistare.

Monia non dà peso alle mie cadute, ma mi incita con cautela.

Provo una trottola e quando alzo le mani mi sembra di essere stanchissima. Mi pesano persino le dita.

Mentre volteggio, scorgo una figura sugli spalti. Dovrei accelerare, invece rallento e continuo a guardare quell'uomo. Penso a Robin. Rivedo il coltello sul mio collo.

La mia trottola si arresta. Sta per venirmi da vomitare.

«Tutto bene, Laura?»

Annuisco.

«Sai che ti devi fermare se qualcosa non va, vero? Soprattutto se non ci vedi bene»

«Sì, Monia, è tutto a posto anche con i miei occhi», dico.

Riprendo a pattinare e provo qualche salto.

Non riesco a far uscire la rabbia che ho dentro.

Qualcosa mi blocca.

Atterro male e sento dolore a un polso. Mi siedo un attimo sulla panca e sospiro.

Monia si siede accanto a me.

«Non ho la minima idea di cosa si provi a essere trattata come hanno trattato te», dice, con dolcezza.

«E non è facile da spiegare», ribatto.

«Però immagino che tu abbia nella testa quella sequenza di orrore e mi chiedo: come potresti mai ricordare la tua sequenza, quella del ghiaccio?»

Chino la testa.

Monia sospira.

«Io sono la tua allenatrice», prosegue «e credo molto in te. E' mio dovere chiederti di trasformare l'incubo in coreografia»

«Ma la mia è già pronta...», protesto.

«Manca ancora del tempo. Molto tempo. Puoi farcela»

«Non è questione di tempo», dico «ma quello che mi stai chiedendo semplicemente è impossibile»

«Perché?»

«Perché... fa male. Troppo»

«Non sei più la stessa persona che ha inventato la coreografia del leopardo. Sei diventata un'altra. Hai molta rabbia dentro e tanto dolore. Non sei più solo un essere sofferente e inconsapevole. Sei un essere che soffre e vuole giustizia»

«Certo che voglio giustizia», dico ad alta voce «vorrei che quello stronzo restasse in prigione per sempre. Vorrei essere io a ... »

«Ecco, lo vedi? Se non trasformi questa rabbia in qualcosa di creativo, vivrà sempre in te. E rischierà di diventare qualcosa di molto molto brutto»

Mi verrebbe da dire a Monia che lei non sa nemmeno di cosa stiamo parlando. Non ha la minima idea di cosa significa avere un coltello puntato alla gola.

«Riprovaci», taglia corto lei «magari fatti ispirare da questa musica»

Mi porge un Ipod con una sola traccia.

La ascolto con poca voglia, ma non appena i primi accordi riempiono le mie orecchie, qualcosa di quella musica mi tocca il cuore. Solo dopo un po', mi accorgo che è la stessa che Paolo aveva cantato al karaoke. A volte il destino disegna strade imprevedibili.

Dopo cinque minuti, sono di nuovo in pista.

Monia mi osserva da lontano. Anche Prisca si ferma per guardarmi.

Sono qui davanti a te, Robin. Ma non sono più la ragazza indifesa che hai potuto legare alla sedia. Sono diversa, adesso. Vedi la mia spada? Il tuo coltello non può più ferirmi. Sono qui per spegnere il tuo sorriso e avere la giustizia che la legge non potrà darmi. Alzo le braccia e immagino di essere io stessa a brandire la spada, mentre la mia trottola gira velocissima.

Sono qui per te, Robin. Mi sono vestita d'argento, come una guerriera pronta a proteggersi da sola.

Ho un'armatura di ghiaccio e di polvere stellata. Non puoi fare nulla contro la mia magia. Mentre prendo la gamba destra e rimango in equilibrio sull'altra, sento ancora le note della musica che Monia mi ha consigliato.

Vieni, Robin. Sono pronta. Farò giustizia per me e per Stella. Vendicherò entrambe. Tutti i ragazzi come te devono sapere che noi donne siamo delle guerriere e che se qualcuno prova a toccarci noi saremo pronte a difenderci.

Finisco la coreografia con le mani alzate, come se stessi brandendo la mia spada verso l'alto.

Prisca ha la bocca spalancata. Monia vorrebbe applaudire, ma si trattiene.

Per oggi direi che ho fatto abbastanza.

Paolo viene a chiamarmi verso le sette. Ross vorrebbe farlo entrare, ma lui ribatte: «Scusi, signora, preferirei che uscisse solo Laura»

«Come vuoi», dice Ross.

Indosso cappotto e cappello e nonostante sia stanchissima, accetto di andare con lui.

Ha un sorriso misterioso e sembra divertito.

«Domani è il tuo compleanno», sussurra.

«Lo so», dico «perché tutto questo mistero?»

«Non potrò darti il mio regalo alla Tana dell'Orso, Laura. E questa volta non è per Geo. Non so cosa ci sia adesso tra me e te e non ho intenzione di scoprirlo a tutti i costi. Non so cosa provi per lui e per me, ma dopo tutto quello che è successo mi dico che non ha importanza. L'importante è che tu sia qui, accanto a me. Che tu ci sia ogni giorno. Avrò ancora molto bisogno di te. Ci sarai quando mia madre uscirà dalla casa di cura. Ci sarai quando mio padre tornerà con la sua nuova famiglia al completo. Ci sarai sempre per me e io voglio esserci sempre per te»

Annuisco.

«Sai che è così»

«Ma c'è qualcuno che se n'è andato troppo presto. E ho pensato che il nostro rito senza il terzo componente era davvero brutto»

«Non ti seguo più, Paolo», dico, eccitata. In realtà credo di aver capito. Solo che non ci voglio credere.

«Ecco... ti ho fatto una sorpresa bella grossa. Chiamiamola pure ingombrante»

Siamo arrivati nel recinto che una volta era di Annibale.

Paolo apre il cancello e mi invita ad entrare.

«Non voglio più fare cose illegali», dico «e quella è proprietà privata»

«Tranquilla», ribatte lui «ho parlato con il contadino. Ci siamo messi d'accordo in qualche modo. Potremo entrare qui ogni volta che vorremo»

Paolo mi prende per mano e mi guida fino alla stalla. Apre la porta. E un muso freddo mi sbatte contro la pancia.

«Ma cosa...»

Un asinello di pochi mesi corre fuori, poi ci guarda e Paolo tira fuori dalla tasca una carota, per farlo avvicinare.

«Non ci posso credere», bisbiglio «è praticamente identico ad Annibale»

L'asinello si avvicina e gli accarezzo la frangetta.

«Hanno la stessa capigliatura»

Scoppiamo a ridere.

«Adesso è tuo», dice Paolo «e di nessun'altro. Magari il contadino vorrà aggiungergli qualche amichetto, ma ora è tuo»

Scuoto la testa.

«Davvero, non ci credo»

«Quando sarai stanca, sarò io a dargli da mangiare»

«Allora sarà un po' anche nostro»

L'asinello mangia la carota e intanto ci guarda con due occhi profondissimi e dolci.

Affondo il naso nel suo pelo.

«Come profuma», sussurro.

Abbraccio Paolo e lo guardo negli occhi.

«Laura, è così bello vederti sorridere...»

Ci baciamo.

Non è facile capire cosa vuole il mio cuore. Ma in questo momento, posso permettermi il lusso di non scegliere. Nessuno dei due mi sta costringendo a prendere una decisione.

Quando le nostre labbra si staccano, Paolo mi chiede: «Come vuoi chiamarlo?»

«Annibale, ovviamente», rispondo «abbiamo sempre bisogno di un guerriero in più»

Annibale si mette a ragliare.

«Il piccolo condottiero dice che è disposto a seguirti in capo al mondo», scherza Paolo. Poi si fa serio.

Mi prende il viso tra le mani e ricomincia a baciarmi.

E mentre finiamo sul pagliericcio di Annibale, mi trovo a chiedermi come sarebbe fare l'amore con Paolo.

Forse lui si sta chiedendo la stessa cosa, perché i nostri occhi contengono delle fiammelle che conosco fin troppo bene.

Ma forse non è ancora il momento giusto.

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