Cap 5
Ho convinto mia madre a lasciarmi a qualche passo da casa. Ho voglia di passeggiare un po'. I dottori sono stati irremovibili: devo rimanere qualche giorno a riposo e vedere se l'occhio migliora. Sono calata di due diottrie nel giro di pochissimo tempo e per loro non è normale.
Ma almeno adesso è buio e posso godermi il lago senza sforzare gli occhi.
Mi appoggio alla balaustra e sospiro. Il chiacchiericcio dei turisti in sottofondo non mi disturba: a volte è bello sentirsi un'estranea.
Varenna a maggio inizia a popolarsi di pollini e fiori e olandesi che girano incuriositi e scattano foto in ogni viuzza.
La luna si staglia contro il cielo nero. Un pallone argentato, limpido e rassicurante.
Il mio cellulare squilla. Sono tentata di spegnerlo, ma poi mi accorgo che è Paolo.
«Ehi», dico.
«Ehi», risponde «ho visto tua madre rientrare. Dove sei?»
«Sto facendo un giro»
«Da sola?»
«Sì»
Mi sforzo di non scoppiare in lacrime.
«Vuoi che ti raggiunga? Così parliamo un po'»
«No. Devo stare sola»
«Sicura?»
Ogni tanto è peggio di Ross.
«Sì. Ci vediamo domani a scuola», dico, un po' stizzita.
«Ok, ti sto disturbando»
«Ma no», ribatto «è solo che... dai, ne parliamo domani?»
«Va bene», taglia corto lui.
Ecco. L'ho offeso.
Mi sento un verme. Riattacco. Forse dovrei richiamarlo e chiedergli di raggiungermi. Quando è davanti a me, è tutto molto più semplice. Il fatto è che non ho voglia di vedere nessuno. Non ho voglia di parlare con nessuno.
Mi sembra di essere precipitata nel pozzo senza colori di quella storia inventata da me, per far capire alle professoresse delle medie come vedo il mondo. Che cosa ridicola. A loro era piaciuta, ma non aveva fatto altro che mettere in risalto il mio handicap.
«Laura, leggila davanti a tutti, così sapremo come comportarci»
Laura, spiega ancora una volta al mondo che non sei uguale agli altri.
Sono stanca di questa diversità. Se potessi esprimere un solo desiderio, adesso, vorrei vedere i colori. Al diavolo il pattinaggio, al diavolo tutti. Mi piacerebbe che mi fosse concesso un giorno da persona normale.
Sento che le lacrime mi stanno scorrendo lungo le guance. Le spalle si scrollano di dosso la polvere degli ultimi mesi. Singhiozzo come una scema e il mio giubbottino di jeans segue i miei sussulti.
«Smettila», mormoro «smettila, sei solo una stupida»
Sento il rombo di una moto dietro di me. Sarà il solito turista che cerca un parcheggio il più possibile vicino al lago. Non mi giro. Aspetto che se ne vada. Non lo vede che non c'è posto?
Il rumore continua, imperterrito. Mi asciugo le lacrime, stizzita. Non si può neanche piangere in santa pace. Mi alzo per andarmene e il motociclista spegne il motore. Mi giro. Si toglie il casco.
E' Geo.
A volte avremmo solo bisogno di qualcuno che arrivi su una moto e ci dica: Vieni. Ti porto a fare un giro.
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