Cap 48
Ricorda, Laura, Ricorda.
Lo sconosciuto se n'è andato, ma ha detto che tornerà presto.
Ha dimenticato il telefono sopra una rientranza del muro. Ma io ho le mani legate. Qualsiasi sforzo faccia, mi fa perdere la vista e le forze. Credo che questo lui l'abbia calcolato.
Forza, ritorna indietro con la memoria. Cosa è successo?
Io e Prisca davanti a casa di Geo. La neve. Un caffè. Poi fa caldo... Siamo nel bagagliaio della macchina. Ma come ci siamo finite lì?
Sbatto le palpebre e una goccia di sangue mi cola sulla guancia. Maledizione, com'è possibile che non ricordi? Questo dolore alla testa non mi dà tregua.
Forza, Laura. E' come una difficile coreografia. Prima la esegui, prima sei libera.
«Come fai a ricordarti i passi?», mi chiese Paolo, a nove anni, quando gli mostrai la prima coreografia.
«Li ripeti cento volte. Forse anche di più», gli risposi.
«Quindi anche quando fai quel movimento con le mani, in realtà stai eseguendo qualcosa che hai già ripetuto molte volte?»
«Sì, giusto»
«Deve essere davvero noioso»
«Non lo è. E' rassicurante. Ci sono dei punti fermi, almeno. Qualcosa che non cambierà mai»
«Anche noi non cambieremo mai», rispose Paolo. Aveva il terrore del cambiamento, quasi quanto me.
«Invece sì», gli dissi «a te verranno i baffi e a me una marea di brufoli»
«Non intendevo in quel senso», brontolò Paolo.
Lo so, Paolo, lo so.
Cerco di scacciare questo ricordo. Non mi serve, adesso.
Non voglio morire senza sapere chi è il mio assassino.
Qualcosa che ripeti un milione di volte.
Prisca, un caffè, e io.
La risata di Prisca. Le nostre mani che si intrecciano.
«Lo devo fare, capisci? Ma tu vai a casa»
Mi fa malissimo la testa.
Provo a piegare il collo di lato e lancio un urlo per il dolore. Cos'ho fatto di tanto terribile per essere qui? Ho voglia di piangere.
No, Laura. Non piangere. Rimani concentrata.
Prisca. I suoi capelli lunghi pieni di neve. Il caffè caldo. L'ombrello. Il caffè nel cestino.
Ripeti, Laura.
La neve, il caffè, il bagagliaio di una macchina.
La faccia di Geo.
Non è possibile.
Geo sapeva che eravamo dentro la macchina di Robin?
Robin. Il viso di Geo alla finestra.
La neve, la macchina a tutta velocità, Lecco, un garage. Puzza di muffa.
Io e Prisca corriamo fuori dalla macchina, mano nella mano.
Siamo nel garage, adesso. Sono lì per Geo. E poi appare la faccia orribile di Robin. Ci ha viste. Ma noi scappiamo. Poi Prisca decide che vuole andare alla Polizia, io invece desidero solo ritornare a casa e piangere su me stessa. Prendo il treno, ma non ho il biglietto.
Ho gli occhi chiusi e quando li riapro c'è Robin davanti a me. Robin ha ucciso Stella, la sorella di Geo. Robin è cattivo. Faccio per scappare, ma lui mi afferra per un polso.
Mi obbliga a sedermi. Urlo, ma mi soffoca il grido con una mano sulla bocca.
Un coltello spunta dalla tasca dei suoi jeans.
«Stai zitta e buona o giuro che te lo pianto nello stomaco», mi sussurra.
Trattengo il fiato e mi siedo accanto a lui. Mi tiene una mano sulla coscia e l'altra, quella in cui ha il coltello, dietro la schiena.
Ricorda, Laura. Ricorda.
Sei stata buona lungo il tragitto. Lui ha continuato a minacciarti.
«Sai cosa sono capace di fare», ripeteva.
Di colpo, uno spiraglio.
So dove siamo!
Appena scesi dal treno, Robin mi ha preso per mano e mi ha strattonato fino al suo appartamento. Si trova proprio vicino al bar di Geo. Solo che quando ha aperto la porta, ho vinto la paura, e mi sono messa a gridare con tutta la voce che avevo in corpo. Allora lui mi ha colpito forte in testa con qualcosa.
Poi deve avermi trascinato fino in cantina.
Fa così freddo, qui.
La ferita alla testa non dovrebbe essere grave. Forse posso farcela.
Ha legato strette le corde. Non riuscirò mai a liberarmi.
Ma cosa direbbe Prisca? Mai dire mai.
Inizio a far dondolare la sedia a destra e a sinistra.
Sentirò un po' di male.
Ma senza il caos, si rimane sempre nella stessa situazione.
La sedia non ci mette molto a ribaltarsi. Cado a terra, sul lato destro. Sento un male incredibile alla spalla. Cosa ho risolto? Niente, ma cerco di sgusciare fuori dalle corde. Non è così impossibile, forse. Mi devo solo impegnare un po'. Riesco a liberare una mano. Una mano mi basta. E' la mia salvezza. Mi trascino con la sedia fino al cellulare di Robin.
Cerco di rimettermi seduta. Ci arrivo. Il mignolo tocca il telefono. Ce l'ho fatta. La mano mi trema talmente tanto che per sbloccare lo schermo ci metto una vita.
Fatto. E adesso? Cerco in rubrica il numero di Geo.
Ovviamente non c'è. Non l'ha segnato con quel nome, almeno.
Conosco solo un numero a memoria. Ce l'ho in testa da quando ho dodici anni, data in cui Paolo ha ricevuto il primo cellulare.
Almeno prende. E' la mia unica speranza.
«Pronto?»
Ha la voce impastata dal sonno. Allora lui non mi sta cercando.
«Paolo!», dico e la mia, di voce, è piagnucolosa da far schifo. Sembra quella di un topo schiacciato.
«Paolo aiutami mi hanno rapita»
«E' uno scherzo?»
«Paolo, dico sul serio, c'è un condominio rosa davanti al bar di Geo. Sono nello scantinato. Ti prego, fai presto. Ti prego»
«Laura, stai calma, arrivo», dice Paolo. Cancello la chiamata. Stai calma, mi ha risposto. E poi si è agitato lui. Il cuore sta per scoppiarmi. La porta si apre ed entra Robin.
«Che cazzo ci fai con il mio telefono, eh? Chi cazzo hai chiamato?»
Mi prende il cellulare dalle mani. Controlla le chiamate effettuate.
Mi guarda con occhi pieni di rabbia.
«L'hai cancellata, eh? Puttana!»
Mi dà uno schiaffo in pieno volto.
Sento un dolore lancinante.
«Non ho chiamato nessuno», sibilo «non ho fatto in tempo. Ma avrei chiamato Geo»
Robin, a quel nome, ha un sussulto.
«Forse hai ritrovato la memoria, puttanella», mi dice «ma sappi che Geo non sa dove abito. E di certo non riuscirà a salvarti. Proprio come non è riuscito a salvare quella troia di sua sorella.»
Mi scendono le lacrime lungo le guance.
«Dovevo ammazzarti quella sera nella casa abbandonata», mormora. Allora era lui! Mio Dio...
«Perché ce l'hai tanto con me? », strillo.
Lui mi guarda con odio.
«Avevo convinto Geo a perdonarmi. A essere ancora soci come una volta. Gli avrei fatto dimenticare l'incidente con Stella. Ma poi ti sei intromessa ».
«Incidente? Non è stato un incidente! », ribatto, tra le lacrime.
«Stella non ha fatto in tempo a piangere», dice Robin «ti sto concedendo fin troppo tempo. Ma sai una cosa? Giusto perché tu possa morire in pace. Quel figlio di puttana ti amava davvero. Puoi credermi. E io odio la gente che si ama»
«Come fai a dire che mi amava davvero?»
«Perché ha accettato di trattare con me. Solo per salvare il culo a te. Ma quando ti ha visto infilarti nel baule della mia macchina, ha capito che non avrebbe mai potuto proteggerti. E allora è diventato una mina vagante»
«Cosa?»
«Sai cosa si fa con le mine vaganti, Laura?»
Ricomincio a piangere. Lui tira fuori il coltello.
«Le si fa esplodere», ringhia Robin.
«Cosa hai fatto a Geo?», urlo.
Lui mi prende per il collo.
«Odio le puttanelle che urlano», sussurra.
La lama del suo coltello mi sfiora la guancia.
Ma Geo forse è morto. La vista mi manca del tutto, ormai. Tutti i colori del mondo scompaiono. E presto sparirò anch'io.
Spazio autrice
Mi voglio scusare per l'assenza, ma sono stata un po' impegnata con l'uscita cartacea di Shake my colors 1. A proposito, chi di voi l'ha avvistato in libreria?
Sabato 22 sarò a Milano alla fiera Tempo di Libri. Se per caso qualcuna di voi si farà un giro lì e vuole conoscermi, si faccia viva! Grazie come sempre per i vostri super commenti e le stelline questa storia :)
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