Cap 47
«E adesso che facciamo?», chiedo a Prisca.
«Usciamo da qui, svelta», mi dice lei.
Cerchiamo di aprire il bagagliaio, ma dall'interno non si riesce. Siamo proprio delle sciocche, potevamo immaginarcelo. Ma Prisca ha risorse infinite. Armeggia un po' e riesce a sganciare lo schienale dei sedili posteriori. Si intrufola nell'abitacolo.
«Forza, Laura, vieni fuori da lì»
Non ho alternativa, per cui le obbedisco. Sento ogni fibra del mio corpo che si lamenta.
Dai finestrini scorgiamo Geo e Robin che scendono una scala, diretti a un locale sotterraneo.
«Dai, muoviti», dice Prisca uscendo dall'auto. Siamo a Lecco. Riconosco alcune cime delle montagne e l'insegna del centro commerciale, sotto di noi. Ci troviamo lungo la strada che porta alla Valsassina. La stessa che abbiamo preso per andare alla casa stregata, quel giorno che mi pare un secolo fa.
Le mie gambe sembrano come paralizzate. Tremo, mentre seguo la mia amica fino all'imbocco della scala. Con molta cautela iniziamo a scendere. Ci troviamo in una specie di garage sotterraneo.
C'è odore di muffa e dal pavimento arriva uno strano tanfo.
Prisca si mette un dito sulla bocca e mi fa segno di tacere.
A una ventina di metri da noi, ci sono Robin e Geo insieme a due uomini di colore. Robin sta parlando una lingua che non capiamo.
«Mi sembra di essere in una serie tv, e non è un buon segno», sussurra Prisca e scuote la testa.
«Che cosa c'entra?», chiedo.
«Credo che Geo sia coinvolto in qualche giro di droga, Laura», mi spiega lei.
Mi appoggio alla parete.
«Non è possibile», esclamo.
«Forza, torniamo alla macchina», mi incita Prisca.
«Cosa? Ma dobbiamo fermarli! Non posso lasciare che Geo si metta nei guai»
«E' una cosa più grande di noi. E poi Geo, nei guai c'è già fino al collo», mormora. «Cazzo, Laura», dice con voce concitata «corri, stanno tornando indietro!»
Corriamo su per le scale e quando mi volto Robin è già salito a sua volta. Si ferma all'ingresso.
«Dici che ci ha viste?», chiedo a Prisca.
«Non lo so», ansima lei «ma dobbiamo andare subito alla Polizia»
«Ma così ci andrà di mezzo anche Geo!»
«Forse lo stanno ricattando, Laura»
Mentre parliamo, continuiamo a correre. Ci fermiamo solo quando vediamo altre persone intorno a noi. Entrambe abbiamo il fiato corto.
«Non posso, Prisca. Ho paura. E poi, cosa raccontiamo? Di aver visto dei ragazzi parlare con due tizi di colore?»
Siamo arrivate al centro di Lecco. Le persone passeggiano sotto la neve senza curarsi di noi. Il nostro ombrello è rimasto davanti a casa di Geo, ma nessuna delle due se ne cura.
Prisca mi prende per le spalle.
«Tu fai quello che vuoi, ma io devo andare alla Polizia. Hai capito? Sono sicura che c'è qualcosa di losco. E vedrai che per Geo una soluzione si trova. Diremo che è stato coinvolto da quello stronzo di Robin. Molto probabilmente è la verità»
«Ma non abbiamo visto niente di concreto!»
«Ma tu lo sai che è così!»
Abbasso lo sguardo. Prisca sospira.
«So che tu non vuoi», dice «e per questo le nostre strade si dividono qui»
«Che cosa?», protesto.
«Capisco la tua situazione, Laura. Anche io non vorrei segnalare la persona che amo. Ma io devo farlo. Per il bene di tutti. Prenditela pure con me, prenditela con chi vuoi, ma sono sicura che questa sia la strada che io devo seguire. Ce la fai a prendere il treno e tornare a Varenna da sola?»
«Ma Prisca...»
«Ce la fai?»
Non l'ho mai vista così decisa. Mi gira la testa e mi tremano le gambe. Cosa succederà adesso?
«Va bene», mormoro «ma poi mi chiami?»
«Certo, che domande»
Ci abbracciamo. La stringo un po' di più di quanto faccio di solito. Non vorrei allontanarmi da lei, ma ho inteso perfettamente il suo discorso e per quanta resistenza io possa fare, non ci sarebbe modo di farle cambiare idea.
«A dopo», dice Prisca.
«A dopo»
Mentre cammino verso la stazione, penso che poteva andarci molto peggio. Robin poteva inseguirci, oppure accorgersi di noi in macchina e farci del male. In fondo, siamo state fortunate.
Lungo la via sta passando una coppietta. Avranno circa la mia età: lui le sistema la cuffia di lana e le dà un lungo bacio sulla bocca. A momenti inciampano, quindi si fermano e scoppiano a ridere. Continuano a camminare tenendosi per mano.
E io mi sento sempre più sola.
Mi siedo su un sedile a caso del primo vagone e chiudo gli occhi. Spero che nessuno si metta accanto a me. Non ho voglia di sentire le chiacchiere altrui.
Rivedo la mia storia con Geo, la immagino come una vetrata tutta colorata che va improvvisamente in frantumi.
Ti lascio il giallo delle nostre risate.
Si spezza il rosso delle tue labbra sulle mie.
Ti lancio contro il nero di tutti gli insulti.
Il vetro rosa non esiste più.
Mi taglio con i pezzi colorati di te.
E rimango da sola. In bianco e nero. Di nuovo.
Sospiro, mentre il treno parte.
Qualcuno si siede di fronte a me.
Ha l'odore acre di un uomo. Storco il naso. Puzza anche di qualcos'altro. Come di muffa. Mio malgrado, riapro gli occhi.
Scatto in piedi, ma è troppo tardi: Robin mi afferra per un polso.
«Ciao Laura», dice «finalmente ci rivediamo».
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