Cap 41
Una volta litigai con Mario. Non capitava quasi mai. Era Ross, quella che mi sgridava. Ma quel giorno avevo davvero esagerato. La mamma non c'era e io avevo già finito i compiti. Mario mi aveva dato il permesso di guardare i cartoni animati, ma dopo un po' mi annoiai e cercai le sue attenzioni.
Lui era chino sul tavolo e stava controllando alcune carte. Non so se fossero cose di lavoro o bollette da pagare. Aveva gli occhiali e lo sguardo concentrato. Io iniziai a passare sotto la sua sedia e fargli il solletico ai piedi. Lui mi promise che avrebbe giocato con me se gli avessi lasciato cinque minuti per sistemare alcune cose. Ma il divertimento era proprio dargli fastidio, così continuai a solleticare la pianta dei piedi per vedere come si muovevano all'insù, di scatto.
Alla fine, dopo l'ennesima volta che lo deconcentravo, Mario cacciò un urlo e mi guardò con aria severa.
«Laura, smettila!», gridò «non lo capisci che sto facendo una cosa importante?»
Mio padre non stava moltissimo a casa, quindi non l'avevo mai sentito urlare così. Ci rimasi male. Volevo gridargli le peggio cose, ma decisi di tacere e di andare a rifugiarmi nella casa sull'albero. Ma prima lanciai l'SOS. Era un sistema che avevamo inventato io e Paolo per le situazioni di emergenza.
Bastava appendere fuori dalla nostra camera un telo da mare su cui avevamo scritto HELP in grande. Eravamo piccoli, ma conoscevamo il significato di quella parola e il nostro gioco ci piaceva sempre. Ogni pomeriggio io guardavo la finestra di Paolo e spesso trovavo il suo telo con scritto help.
Io invece non lo usavo molto.
Quel pomeriggio, Paolo entrò nella casetta sull'albero trafelato e pieno di cose.
«Hai pianto?» mi chiese.
Feci segno di sì con la testa e gli raccontai di mio padre. Un po' mi vergognavo, perché sapevo che la situazione di Paolo era tutt'altro che semplice. Ma lui mi aveva detto che anche la minima cavolata può farci star male e io mi ero trovata completamente d'accordo con lui.
«Non ha avuto tempo di giocare con te», disse Paolo, con aria solenne «ma forse la squadra di soccorso potrà darci una mano»
Tirò fuori la Bat Mobile che aveva appena comprato con i suoi risparmi e ci mise sopra Batman, poi la riempì con un sacco di caramelle al miele, le mie preferite.
Prese lo stereo e mise un po' di musica, quindi sparpagliò sul pavimento alcuni giochi di società.
«Possiamo giocare a quello che vuoi per tutto il pomeriggio. Così non ci pensi più»
Io lo guardai e mi ricordo che gli diedi un abbraccio fortissimo.
Mia madre mi chiamò all'ora di cena. Io e Paolo ci eravamo messi comodi sul nostro divanetto a guardare un film.
«Laura, scendi da lì», mi disse «e fai venire anche Paolo a cena»
Paolo entrò a casa mia e salutò Mario con una stretta di mano. Se ci penso adesso mi viene da ridere, per quanto era piccolo e solenne allo stesso tempo.
Ross aveva cucinato pollo e patatine.
Ci sedemmo a mangiare, poi Mario fece tintinnare un bicchiere.
«Voglio fare un brindisi a Paolo, che ha salvato la situazione oggi pomeriggio», disse mio padre.
Paolo non si scompose.
«Laura, non dici niente?», chiese mia madre.
«Grazie, Paolo», mormorai.
«Con tutte le volte che mi salvi tu», bisbigliò Paolo «questo è niente»
Sono sicura che in quel momento Paolo si sia sentito davvero importante, per me. E tutta quella roba era pronta da un pezzo, in attesa che arrivasse anche il momento in cui io gli avrei chiesto aiuto.
Rientro in casa e scopro di essere da sola. Frugo nell'armadio e lo ritrovo, il telo con scritto help. Lo appendo fuori dalla finestra. Non lo uso da un sacco. Quando abbiamo iniziato ad avere i telefoni, ci è sembrato più comodo scriverci direttamente su Whatsapp. Ma ho paura di disturbarlo, adesso, o che Ester possa leggere e pensare male.
Mi arrampico sulla scala a pioli e arrivo in cima.
La tv è accesa. Sorrido. Paolo sarà sicuramente lì a riguardare gli Avengers.
Invece no. E' un cartone animato. L'Era Glaciale 4. Tanto meglio. Lo adoro e ho voglia di ridere un po'.
Sto per entrare, quando mi rendo conto che le gambe sul divano non sono due, ma quattro.
Guardo meglio.
La testa riccia di Ester è appoggiata alla spalla di Paolo. Un sacchetto gigante di pop corn accanto a loro. Ogni tanto Paolo allunga una mano e gliene mette qualcuno in bocca.
Syd, il bradipo del cartone, si dispera e loro ridono all'unisono.
In quel momento mi ricordo che ho deciso di rinunciare alla casa sull'albero.
L'ho fatto per Geo. Perché non avessimo più discussioni. Per Ester, perché vivesse la sua storia d'amore senza spettri del passato.
E soprattutto per Paolo. Perché imparasse a stare senza di me.
Ma mentre scendo le scale, perché guardare mi fa troppo male, mi dico che dovevo farlo solo per me stessa.
Perché quando inizi a perdere una persona che c'era sempre per te, nel momento del bisogno, cominci a capire come si fa a stare da soli.
E io, fino ad oggi, non ne ho avuto bisogno.
La casa è ancora vuota. Gironzolo un po' in cucina, controllo il telefono.
Nessun messaggio.
Mi sembra di soffocare. Il silenzio è assordante.
Accendo il computer e inizio a guardare qualche gara di pattinaggio su You Tube. E improvvisamente mi rendo conto che devo ancora preparare tutta la coreografia. Non i passi, ma lo spirito. La testa. La musica.
Ma più guardo le giovani pattinatrici olimpiche, più mi scoraggio.
Gli occhi iniziano a bruciarmi. Mi butto sul letto e scoppio a piangere. Stringo le lenzuola e vorrei davvero non vederci più. In questo momento vorrei essere cieca. Così almeno non dovrei giustificare tutte le mie mancanze.
Tengo gli occhi chiusi e respiro piano.
Guardo fuori dalla finestra.
La luce nella casa sull'albero adesso è spenta.
Mi alzo per ritirare il telo. Me n'ero completamente dimenticata. Spero che Paolo non l'abbia visto.
Ma da camera sua penzola un altro telo. E' molto scuro e la scritta è bianca, sembra luminosa.
Strizzo gli occhi per leggerla meglio, poi scoppio di nuovo a piangere.
Sul telo c'è scritto: I'm so sorry.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro