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Cap 38

Mia mamma suona il clacson.

«Laura, ti sbrighi?»

Strascico i piedi e strizzo gli occhi. Vedo macchie scure davanti a me. Più scure del solito. Cerco di indovinare i gradini e scendo le scale quasi a rallentatore.

«Si può sapere che ti prende?», chiede Ross, nervosa. «Proprio oggi che ho appuntamento dal parrucchiere»

«Scusa», mormoro.

La mamma mette in moto e mi lancia un'occhiata di sbieco.

«Mia figlia chiede scusa solo quando sta male o quando l'ha combinata veramente grossa. Quale delle due,

Laura?»

«Nessuna», mento.

I pallini davanti agli occhi non passano. E' come avere una pesante tenda nera sulle pupille. Eppure ho mangiato bene e non mi sento affaticata. Non è la solita cosa di stomaco. Questa volta è qualcosa di diverso.

«Laura, ci vedi bene?»

Sa che divento una furia quando me lo chiede. Ma questa volta faccio segno di sì con la testa e forse non sono molto convincente.

«Davvero?»

Ross ferma la macchina.

«Siamo già in ritardo!», protesto.

«Laura, guardami. Il pattinaggio può aspettare. I tuoi occhi e la tua salute no»

Sbuffo.

«Mamma, la sai una cosa? Anche se diventassi cieca io continuerei a pattinare. Quindi adesso andiamo agli allenamenti, altrimenti faremo davvero tardi»

«Non dire scemenze. Tu non sei cieca. Sono solo preoccupata per te»

«Questa volta in maniera eccessiva, te l'assicuro».

Ross è dubbiosa. Sto recitando molto bene.

«Sì», rispondo con enfasi.

«Ma domani andiamo a fare un controllo dal dottore»

«Non pensarci neanche. Domani ho una verifica. E non posso perdere gli allenamenti»

«Come vuoi. Ma mi prometti che se stai male mi avvisi subito? Io non sono dentro la tua testa, Laura»

Lo so, mamma, lo so. E per fortuna non ci sei. Nella mia testa c'è un casino che neanche ti immagini. Ti ci perderesti pure tu. Trovare la via d'uscita è difficile. E ora che c'è anche il nero nei miei occhi, mi sembra tutto ancora più duro. Ma non posso dirtelo. Sei più fragile di quello che pensavo. Vederti così mi spaventa. Ti ho sempre creduta invincibile. Forse anche questo vuol dire che sto diventando grande.

La mamma parcheggia davanti al palazzetto del ghiaccio.

«Vuoi che ti accompagni dentro?»

Scuoto la testa.

«Non serve. Vai a sistemarti quei capelli, che sparano da tutte le parti»

Ross fa un sorrisetto e mi da una carezza sulla guancia.

Trascino me stessa e il borsone e scorgo Prisca che sta scendendo dalla macchina. Sta per correre, ma quando mi vede rallenta.

«Ehi», dice.

«Prisca, ti prego, accompagnami dentro»

«Che c'è, non stai bene?»


«Ci vedo male», rispondo «è da pranzo che i miei occhi fanno gli stronzi»

«Forse dovresti richiamare tua mamma. Non gliel'hai detto?»

La guardo, implorante. E' una macchia grigia e indistinta che compare in mezzo al nero.

«Ti prego», ribatto «tu stessa una volta hai pattinato in condizioni peggiori»

«Sì», dice Prisca «e non so se ricordi come è andata a finire. Non vorrai giocarti la Coppa Italia per questo?»

«Non voglio giocarmi nulla. Ma sai benissimo che posso pattinare al buio. Solo che devo arrivarci, sul ghiaccio»

«Che testona», dice Prisca e mi prende per un braccio.

Mi aiuta a infilarmi i pattini. Siamo solo io e lei. Tutte le altre sono già dentro.

Monia ci rimprovera, appena mettiamo i pattini sul ghiaccio.

«Le stelle del pattinaggio artistico, insieme e in ritardo», urla, acida. «Vi fermerete mezz'ora in più delle vostre compagne. Avanti, adesso. Non avete tempo da perdere»

Monia mi dà qualche consiglio e cerco di impegnarmi al massimo. Ho degli sprazzi di luce uniti a dei momenti di buio quasi totale. Preferirei chiudere gli occhi e basta. Questa vista a intermittenza mi provoca solo più danni che altro.

«Stai attenta!», urla Teresa, quando le cado praticamente addosso. Roviniamo sul ghiaccio entrambe. Lei si massaggia il polso.

«Ma che cazzo fai?», mi chiede, e si rialza.

«Mi dispiace, davvero», le dico.

«Alzati subito», mi dice Prisca, quando Monia si volta «o qualcuno se ne accorgerà»

«Prisca, aiutami», le chiedo.

«Segui la mia traiettoria», dice Prisca «di solito le altre mi stanno ben lontane»

Incominciamo a pattinare vicine e Monia probabilmente se ne accorge, perché dà a Prisca indicazioni diverse.

Sono di nuovo da sola e non vedo nulla. Il buio che mi assale è diverso dalla sensazione che provo quando pattino a occhi chiusi. Perché non sono io a deciderlo.

«Laura, non fermarti», mi rimprovera Monia.

Annuisco e appena ricomincio a pattinare scorgo il resto della pista. Ma mentre provo un triplo axel, di nuovo il buio mi acceca completamente.

Atterro con poco equilibrio, ma mi riprendo subito.

«Ti costerebbe un sacco di punti, quell'atterraggio», urla Monia.

Ma sono contenta che non stia intuendo quale sia il vero problema.

Ce la posso fare, continuo a ripetermi. Il mio problema non mi impedirà di realizzare il mio sogno.

A fine allenamento sono esausta.

Mi appoggio alla panca e lascio che Prisca mi sfili i pattini.

Monia tossicchia, dietro di noi.

Prisca si alza, ma ormai è troppo tardi.

L'allenatrice si siede accanto a me.

«Voi due pensate che io sia stupida?», chiede.

Io e Prisca rimaniamo in silenzio.

«Laura, quando fai il mio mestiere, ti accorgi di tutto. Se una tua atleta è innamorata, glielo leggi negli occhi. Ho per voi lo stesso affetto di una madre, solo che riesco a guardarvi con occhi obiettivi. Quindi non mi sfugge nulla. Quando Prisca è caduta, l'anno scorso, io sapevo che sarebbe successo. Ho provato a impedirle di pattinare, ma non l'ho obbligata a desistere. Una vera pattinatrice sa quando è il momento di fermarsi. Non per amore di se stessa. Ma per amore del pattinaggio. Dello sport. Tu vuoi arrivare alla Coppa Italia e passare le selezioni?»

Annuisco. Ho la gola secca e il cuore a mille.

«Allora oggi dovevi fermarti. Fare di meno. O non fare niente. Prisca l'ha imparato a sue spese. Tu ancora no. Ma sei tu l'unica persona che può decidere per se stessa. Non ci sarà sempre qualcuno a proteggerti. Devo essere onesta con te: ho sperato che ti facessi male. Forse avresti capito qualcosa in più. Invece ti è andata bene. Ma la tua è stata solo fortuna. Mi sono accorta che non ci vedevi bene appena hai messo piede sul ghiaccio. Ho fatto finta di niente, ma sono stata col cuore sospeso tutto il tempo. E se fossi tua madre adesso ti darei uno schiaffo. Non devi volerti così male. E non puoi essere una vergogna per questo sport»

Una lacrima mi cade sulla guancia. Ora vedo Monia distintamente. Il buio mi sta lasciando un attimo di tregua nel momento sbagliato. Darei qualsiasi cosa per non vedere la sua espressione, adesso.

«Quando avevo circa la vostra età, mi fu concessa un'occasione importante. Le selezioni per le Olimpiadi. Proprio nello stesso periodo mi si infiammò il ginocchio. Non ero vecchia. Avrei avuto un'altra occasione l'anno dopo. La mia allenatrice cercò di convincermi di aspettare. Ma io ero impaziente. Testarda. Orgogliosa. Volevo tutto e subito. E sapete come andò a finire? Non arrivai alle Olimpiadi. Né quell'anno, né il successivo. Non ci arrivai mai»

Monia fa una pausa. Si sentono solo i nostri respiri pesanti e i miei singhiozzi trattenuti a stento.

«Per questo, Laura, credo che tu oggi non ti sia comportata da atleta che vuole vincere. Ma da bambina viziata che pensa di avere la sua vita in pugno. E anche per questo credo che tu, Prisca, non abbia aiutato la tua compagna. Non mi importa se adesso siete amiche, finte amiche o nemiche. Nello sport se c'è qualcuno che è in difficoltà va aiutato, non confuso. E tu comportandoti così non le sei stata di alcun aiuto»

Prisca annuisce.

A me scompare di nuovo la vista.

«Per questa settimana non voglio vedere nessuna delle due sul ghiaccio. Che vi serva da lezione»

Poi se ne va.

Io continuo a singhiozzare e Prisca mi abbraccia forte.

Non vedo l'ora di tornare a casa.

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