Cap 36
Sono passati due giorni e sto evitando Geo. Non rispondo alle sue chiamate e non ho nessuna voglia di scrivergli. Passo spesso davanti alla casa sull'albero e il pensiero di Paolo mi fa stringere il cuore. Mi hanno detto che ha sempre lo sguardo triste. Forse come il mio.
Siamo due anime che non possono stare separate, anche se ancora non abbiamo capito come incastrarci. Ho finito l'allenamento e non mi va di tornare a casa. Passeggio da sola per le vie di Varenna e decido di rifugiarmi in riva al lago. C'è un vento gelido, che aizza le foglie l'una contro l'altra. L'autunno sta alternando giorni di sole a momenti di pioggia intensa. Fa il lunatico, esattamente come il mio cuore. Mi siedo sui gradini di una casa vacanze malandata e mi appoggio al vecchio portone.
Mi ricordo quando io e Paolo venivamo qui a mangiare il gelato. Ci sedevamo proprio su questi scalini e ci scambiavamo i gusti.
Sento ancora le nostre voci.
«Passami un po' di vaniglia»
«E tu fammi provare il pistacchio»
«Scema, ce l'hai fin sul naso»
«Dove, qui?»
«Un po' più in basso»
Paolo mi ripuliva la bocca e poi rimanevamo in silenzio ad ascoltare la voce del lago.
Dei passi mi distraggono da questi pensieri. Qualcuno sta venendo proprio quaggiù. Non c'è mai pace, neanche nell'unico attimo in cui posso stare da sola, in silenzio, a pensare.
«Sicura che non hai freddo?», chiede una voce.
«Ti ho detto di no, sto benissimo. Quando sono con te, non mi manca niente»
Mi appiattisco al portone, tenendomi strette le ginocchia con le braccia.
Ho riconosciuto la voce di Ester. E naturalmente, il ragazzo con lei non poteva essere che Paolo.
Mi passano davanti e nessuno dei due si accorge di me. Forse sono in bianco e nero anche io, oggi, e mi sono mimetizzata con lo scuro del portone. O forse stanno talmente bene che non si accorgono di niente. Nemmeno della gente che sta loro accanto e che li fissa. Sembrano belli, insieme. Lui la tiene per la vita e le sussurra qualcosa in un orecchio. Lei si scosta i ricci dalla fronte e trattiene a stento la sciarpina, che sembra volare via insieme al vento. Ester ride. Paolo la prende in braccio e finge di buttarla nel lago. Riesco a vedere scintille sulla loro pelle, come se luccicassero.
Paolo, accidenti, perché ti ho lasciato? Cosa diamine mi ha detto il cervello?
Vorrei scappare via, per non vederli più così felici davanti ai miei occhi, ma Paolo all'improvviso si volta e si accorge di me.
Il sorriso gli muore sul viso e rimette Ester a terra. Sembra un bambino sorpreso a giocare con qualcosa di proibito. Ma lui può fare ciò che vuole con Ester.
Lei guarda nella mia direzione e i suoi occhi si spengono, quando incontra il mio volto. Forse oggi faccio diventare triste ogni cosa che viene a contatto con me.
Si avvicinano. Ester con riluttanza, Paolo più deciso.
«Ehi, Laura», dice.
«Ciao», rispondo.
Ci siamo visti prima a scuola, tutti e tre. Non c'è bisogno di convenevoli.
«Dovevamo fare i compiti, ma ci stavamo annoiando», mi spiega Ester con un sorrisetto.
«Già, io devo ancora iniziarli», rispondo.
Guardo Paolo, che si fissa le scarpe sempre più in imbarazzo. Vorrei dirgli di non preoccuparsi, se l'ha portata in uno dei nostri luoghi d'infanzia. O cambia città, o ci sarà sempre un ricordo di noi, da qualsiasi parte andremo. Eppure so che si sente in colpa.
Mi alzo in piedi e sorrido a entrambi.
«Allora godetevi questo pomeriggio, io devo andare»
Paolo tira un sospiro di sollievo. Ester anche.
Mentre mi allontano, sento che lei ha cominciato a ridere.
Siamo due anime che non possono stare separate, anche se ancora non abbiamo capito come incastrarci
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