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Cap 28


«Fermi!», urlo. Esco dalla porta principale.

«Ho sentito anche abbastanza. Direi che possiamo andarcene»

«Sono stranamente d'accordo con te», mi fa eco Ester.

Paolo lascia andare Geo, che si massaggia il collo.

«Laura, io...», dice Paolo.

«Buonanotte, Paolo. Buonanotte Ester»

Mi incammino verso la macchina di Geo.

Lascio che lui apra la portiera e una volta salito gli faccio segno di non partire.

«Facciamo andare via loro, prima», gli chiedo.

«Vuoi tornare dentro?»

«Certo che no! Voglio parlare con te»

Geo continua a toccarsi il collo.

«Se ti ha fatto male, sono felice. Perché devi attaccarlo così?», domando.

«E' lui che ti sta addosso. Non accetta che tu abbia un ragazzo. Non accetta la sconfitta. Non accetta niente, quando si tratta di te. E a me fa paura, questa cosa. Sarà sempre in mezzo ai piedi. Ci porterà sempre a litigare. Dio, mi sembra di aver già affrontato questo argomento»

Anche a me.

Chiudo gli occhi un attimo e respiro il profumo della mia infanzia.

L'altalena su cui Paolo mi spinge. La torta che cuciniamo insieme a Ross, il mio naso bagnato da una punta di cioccolata.

Le corse in due su una bicicletta. Le cadute sulla neve. I rintocchi delle campane che segnavano la fine dei nostri incontri. La voce di Paolo quando ho paura di non farcela. La sua mano quando mi accarezza.

Respiro.

«Portami a casa», dico. Ho le lacrime agli occhi.

«Ma è ancora presto», mi fa notare Geo. Sembra deluso.

«Hai ragione tu», ribatto «continuiamo a litigare per la stessa cosa. E non ho intenzione di farlo mai più»

«Quindi andare a casa a che cosa ti servirà?»

«Questa volta sono io che ti chiedo di fidarti di me»

Geo annuisce e mette in moto.

Quando arriviamo a casa, mi prende il viso tra le mani e ci baciamo. Sento il sapore della sua bocca e mi pento di avergli chiesto di tornare. Ma c'è una cosa che va fatta e devo sbrigarmi. Non posso più aspettare.

«Ci sentiamo domani?», mi chiede.

«Certo. Vengo a casa tua dopo gli allenamenti. Per quell'ora avrai finito di lavorare?»

Sta per replicare, ma poi si trattiene e mi sorride.

«Va bene. Ti aspetto lì»

Un ultimo bacio, poi scendo dalla macchina e raggiungo la casa sull'albero.

Entro piano, ma so che Paolo non c'è.

Accendo la luce sempre fioca e mi siedo un attimo sul divano.

«E quindi possiamo davvero avere questo posto solo per noi?», chiede la voce di Laura bambina.

«Ma certo, e sarà il nostro rifugio»

«Ma io il rifugio ce l'ho già. Sei tu»

Laura abbraccia Paolo.

Mi alzo, cercando di scacciare quelle voci.

Prendo uno scatolone e lo svuoto dai fumetti di Paolo. Capirà.

Inizio a metterci le mie cose. I dvd, i libri, i giocattoli vecchi.

Passo una mano sul poster di Audrey.

Sei bella come lei, Laura.

Grazie Paolo, ma tu sei di parte.

Sì, puoi dirlo forte. Io starò sempre dalla tua parte.

Arrotolo il poster e mi sforzo di non piangere.

C'è anche il poster di Red e Toby. Me l'ha regalato papà. Mi piaceva da matti quel vecchio cartone. Costringevo Paolo a vederlo tutte le volte. Faccio per staccare anche quello.

«Potresti lasciarmelo, non credi?»

Mi giro.

Paolo ha le braccia penzoloni sui fianchi e l'aria afflitta.

«Dimmi che non stai facendo quello che penso», sussurra.

Abbasso gli occhi.

«Non possiamo andare avanti così, Paolo»

«Ti ho chiesto solo una cosa, Laura. Una sola. Di starmi vicino in questo momento. E tu che fai? Sbaracchi e te ne vai? Pensi che funzioni davvero così?»

«Non credere che non faccia male. Lo sto facendo anche per te»

«Cosa, esattamente, stai facendo per me? Il trasloco? O l'abbandono? Spiegami, Laura, perché non capisco. Questa volta proprio non capisco»

«Non c'è molto da dire. Abbiamo parlato abbastanza. Ha ragione Ester. Devo lasciarti andare. E' egoista da parte mia pensare che potremo rimanere per sempre così come siamo stati finora»

Lui si avvicina e mi prende per i polsi.

«Sono io che non voglio lasciarti andare. Non adesso. Come fai a essere così egoista?»

Lo guardo un'ultima volta.

«Quello che tu consideri egoismo è un atto di generosità che mi fa stare malissimo»

«Balle!», ribatte Paolo. «Sei solo una pedina nelle mani di Geo. Sei solo una stronza»

Non mi ha mai parlato così. Incasso e inizio a scendere dalla scala a pioli. All'ultimo gradino scivolo e per atterrare con le mani sono costretta a lasciare lo scatolone.

Tutte le mie cose si sparpagliano per terra.

Mi metto a piangere.

«Laura...», mormora Paolo.

Sta per scendere ad aiutarmi.

«Non fare un altro passo. Ci penso io», ringhio.

«Ma Laura...»

«Va via», dico, risoluta.

Lui rimane fermo a guardarmi.

Raccolgo tutto e zoppico verso casa. Mi fa male una caviglia.

Ross mi apre la porta e quando vede la mia faccia stravolta alza lo sguardo verso la casa sull'albero. Ma Paolo è già rientrato.

Quando una persona diventa il tuo rifugio, lasciarla andare è quasi impossibile. Ci si prova, in tutti i modi. Ma poi si finisce sempre per tornare lì, dove si sta bene. Dove ci si sente a casa. Dove un gesto vale più di mille parole. (Ti ho chiesto solo una cosa. Una sola. Di starmi vicino in questo momento. E tu che fai? Sbaracchi e te ne vai?)


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