Capitolo 27: Il capitano
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Il rumore delle onde era ovattato all'interno della cassa, una coltre di legno che, sebbene li proteggesse da occhi indiscreti, sembrava amplificare ogni suono. Il legno scricchiolava sotto il peso delle casse, mentre la nave ondeggiava leggera sul mare mosso. Ingrid e Halfdan, nascosti all'interno della loro cassa, cercavano di adattarsi alla scomodità di quella posizione, consapevoli che ogni minimo rumore o movimento brusco avrebbe potuto tradirli.
Il respiro di Ingrid era calmo, ma dentro di lei ogni fibra era tesa. Il timore di fallire non le dava tregua. Era un piano rischioso, e per quanto si fidasse delle proprie capacità, sapeva che non dipendeva tutto da lei. In un piano di quel genere, ogni dettaglio, ogni minima cosa doveva funzionare alla perfezione. E se Leif avesse ceduto sotto la pressione? Se Sveinn avesse intuito l'inganno?
Sentiva Halfdan muoversi accanto a lei, il suo corpo anch'esso costretto nell'angusta posizione. Non lo vedeva, ma sentiva la sua presenza accanto, costante e rassicurante. Anche lui, come lei, doveva essere immerso nei propri pensieri, eppure quando Halfdan finalmente parlò, il tono era decisamente più rilassato.
«Se sopravviviamo a questo,» sussurrò con un tono di voce appena percettibile, «prometto che non mi farò mai più convincere a infilarmi in una cassa.»
Ingrid non poté fare a meno di sorridere leggermente, nonostante tutto. «Davvero? E cosa proporresti al posto di questo piano brillante?»
Halfdan fece un breve sospiro, il suo tono vagamente ironico. «Magari potremmo semplicemente marciare fino alla porta della fortezza di Sveinn, bussare e chiedere gentilmente di lasciarci entrare. Dopotutto, chi potrebbe rifiutare due volti così amichevoli?»
Ingrid scosse la testa, il sorriso ancora sulle labbra. La sua capacità di scherzare anche nei momenti più tesi era una delle cose che la colpiva di lui. C'era qualcosa di incredibilmente rassicurante in quella leggerezza, come se, nonostante il pericolo, Halfdan trovasse sempre il modo di affrontare ogni sfida con un sorriso. E in quel momento, lo apprezzava più che mai.
«E se dovessero aprire le casse?» chiese Ingrid a bassa voce, cercando di soppesare ogni possibilità.
«Allora penso che dovremmo tirare fuori le spade e sperare che siano di buon umore,» rispose Halfdan, ma il tono non era più così leggero. Anche lui sapeva che quella possibilità era reale. «Ma non lo faranno,» aggiunse subito dopo. «Sveinn ha bisogno di quelle merci. Non sprecherà tempo a controllarle una per una.»
Ingrid non rispose, ma si aggrappò a quella certezza. C'era ancora un lungo viaggio davanti a loro, e ogni ora trascorsa nella cassa sembrava allungarsi all'infinito.
Nel frattempo, sopra di loro, Leif si aggirava sul ponte, cercando di mantenere un aspetto tranquillo e sicuro. Aveva cambiato abiti per l'occasione, indossando il mantello di un capitano mercantile. Nonostante gli fosse stato assegnato quel ruolo, ogni singolo muscolo del suo corpo sembrava teso come una corda di un arco. Il timore di fallire, di fare qualcosa di sbagliato, lo tormentava senza sosta.
Con un respiro profondo, cercò di ricordare le parole di Ingrid: "Devi essere convincente. Devi credere di essere quel capitano." Ma come si poteva convincere qualcuno di una menzogna quando nemmeno tu ci credevi completamente? Eppure, guardando il mare agitato, Leif si sforzò di calmare i pensieri. Doveva farlo. Doveva farlo per Astrid.
Ogni tanto, uno degli uomini a bordo gli si avvicinava per chiedere istruzioni, e Leif si trovava a rispondere con un tono autoritario che non sentiva come suo. «Manteniamo la rotta,» rispondeva a ogni domanda, cercando di sembrare esperto. I marinai annuivano, ma Leif poteva percepire i loro sguardi incerti, come se sospettassero che qualcosa non andasse.
La pioggia continuava a scendere, battendo sui volti dei marinai e lavando via ogni traccia di speranza di un cielo sereno. Mentre la nave si avvicinava sempre più alla costa, il peso del pericolo imminente sembrava aumentare, come una morsa che stringeva sempre più forte.
Sotto coperta, Ingrid si costrinse a non pensare troppo. Nonostante l'oscurità e la costrizione dello spazio, sentiva l'adrenalina crescere dentro di lei. Ma non era una paura paralizzante, come quella che l'aveva assalita in passato. Era una paura che la spingeva a tenere alta la guardia, a prepararsi a ogni eventualità.
«Sai cosa mi manca di più?» mormorò Halfdan, il tono quasi distratto, ma in qualche modo volto a spezzare la tensione. «Una buona bevuta. Quando torneremo, promettimi che festeggeremo come si deve.»
Ingrid sbuffò leggermente, senza distogliere lo sguardo dal legno della cassa che li circondava. «Solo se torniamo vivi.»
Halfdan rise sottovoce. «Oh, ci torneremo. Lo so.»
«E come fai a esserne così sicuro?» domandò Ingrid, finalmente voltandosi verso di lui, anche se nell'oscurità riusciva a malapena a distinguere il suo volto.
«Perché ho te al mio fianco,» rispose semplicemente, senza un filo di esitazione nella voce.
Quella risposta, così diretta e sincera, la colse di sorpresa. Per un attimo, Ingrid sentì il suo cuore battere più forte, come se quelle parole avessero risvegliato in lei qualcosa che aveva cercato di reprimere.
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Il mare si stendeva nero come l'inchiostro sotto la pioggia battente, le onde che si infrangevano contro la nave e il vento che ululava tra le vele. La costa di Vestfold appariva all'orizzonte, un'ombra scura che emergeva lentamente dal manto grigio del cielo. La nave ondeggiava pesantemente, e anche se erano protetti dall'oscurità della notte e dal temporale, l'ansia all'interno delle casse era palpabile.
Ingrid e Halfdan respiravano a malapena, i muscoli tesi come corde. Ogni scricchiolio della nave, ogni vibrazione sotto di loro sembrava un preludio a qualcosa di terribile. Eppure, nonostante la tensione, la calma di Halfdan riusciva ancora a raggiungerla in qualche modo. Insieme, attendevano il momento in cui il piano avrebbe finalmente preso forma.
Quando la nave si avvicinò al porto, però, qualcosa non andò come previsto.
Attraverso le assi della cassa, Halfdan udì il brusio di voci e i pesanti passi sul molo di legno. Erano più di quanto si aspettasse. Molte più guardie di quante avrebbero potuto immaginare erano schierate lungo il porto, i loro mantelli scuri fradici di pioggia e le lance erette in una fila compatta. «Ingrid,» sussurrò lui, appena percettibile. «C'è un problema.»
Ingrid si mosse leggermente, cercando di ascoltare meglio attraverso il legno. Il numero di guardie era davvero impressionante. Era chiaro che Sveinn si aspettasse qualcosa. Magari non un attacco imminente, ma la sua paranoia lo aveva spinto a rafforzare la sicurezza attorno alla città. «Troppe guardie,» mormorò, la mente già al lavoro per cercare una soluzione.
Sopra di loro, Leif, visibilmente teso, stava cercando di mantenere il controllo della situazione. Non si era immaginato così tanti uomini a guardia del porto, e il loro atteggiamento sospettoso non migliorava le cose. Appena la nave si fermò al molo, una delle guardie più anziane, con il volto segnato da cicatrici e gli occhi duri come pietra, si avvicinò con passo deciso. «Capitano,» lo chiamò con un tono secco e autoritario. «Cosa trasporti?»
Leif fece un respiro profondo, cercando di non lasciar trasparire l'ansia. «Mercanzie. Cibo e vino per la fortezza. Ho sentito che qui mancano delle provviste.»
La guardia lo scrutò per qualche istante, evidentemente poco convinta. «Non avevamo richiesto niente di specifico. Perché questa visita improvvisa?»
Leif sentì il cuore battere all'impazzata. Ogni parola sembrava potenzialmente fatale, ma mantenne il tono sicuro e professionale. «Il maltempo ha affondato alcune delle vostre navi, non è così? Abbiamo pensato di approfittare della situazione e di offrirvi delle provviste fresche, per un prezzo giusto.»
La guardia lo fissò a lungo, come se cercasse una menzogna nei suoi occhi. Poi, con un movimento brusco della mano, ordinò ad alcuni dei suoi uomini di avvicinarsi alla nave. «Fate controllare il carico.»
Leif deglutì pesantemente, guardando con la coda dell'occhio le casse che venivano aperte una a una. Per ora, solo quelle più piccole. Le casse che contenevano effettivamente del cibo. Ma ogni secondo che passava era come camminare su una lama affilata.
Ingrid e Halfdan, schiacciati nelle loro casse più grandi, ascoltavano ogni rumore con il cuore in gola. Sentivano i rumori delle casse vicine che venivano aperte, il clangore del metallo e il fruscio delle mani che frugavano tra le merci. «Se aprono queste casse...» sussurrò Halfdan, sentendo la tensione crescere con ogni istante.
Ma il controllo, almeno per il momento, sembrava limitarsi alle casse più piccole. «Va tutto bene,» borbottò una delle guardie. «Cibo e vino, come ha detto.»
La guardia anziana non sembrava ancora del tutto convinta, ma fece un cenno e i suoi uomini lasciarono le casse più grandi. «Portatele dentro,» ordinò, con uno scatto del mento. «Il capitano resterà per discutere il prezzo con Sveinn.»
Leif impallidì, il cuore che sembrava fermarsi per un istante. «Sveinn? Vuole vedermi?» domandò, cercando di non far trapelare il panico nella sua voce.
«Certamente,» rispose la guardia con un ghigno sgradevole. «A Sveinn piace conoscere personalmente chi si arricchisce vendendo a lui. Vieni, il nostro signore ti aspetta per bere e discutere del prezzo.»
Leif si trovò costretto a seguirli, senza avere il tempo di elaborare una scusa per sfuggire a quel destino improvviso. L'idea di sedersi faccia a faccia con l'uomo che stava cercando di ingannare lo faceva tremare dentro, ma non c'era modo di rifiutare. «Certo,» rispose con un sorriso forzato, mentre veniva scortato verso la fortezza. «Sarà un onore.»
Mentre Leif veniva trascinato in una situazione sempre più pericolosa, le casse più grandi furono trasportate dentro la fortezza senza ulteriori controlli. Ingrid e Halfdan, intrappolati nel legno, riuscirono a rilassare i muscoli per la prima volta da quando erano saliti a bordo. Ma la tensione non si era affievolita completamente. Sapevano che, una volta usciti dalle casse, sarebbero stati in un territorio ostile, e ora con un rischio maggiore: Leif si trovava faccia a faccia con Sveinn, il nemico stesso.
Dopo un tempo che sembrò interminabile, le casse furono lasciate in un deposito freddo e umido all'interno delle mura. Sentirono i passi delle guardie allontanarsi, e dopo alcuni minuti di attesa, Halfdan spinse lentamente il coperchio della cassa, sollevandolo con cautela. «Sono andati,» sussurrò, aiutando Ingrid a uscire.
Si guardarono attorno, i loro uomini che emergevano dalle altre casse con movimenti lenti e silenziosi. L'ambiente era angusto, poco illuminato e freddo, ma per il momento sembravano al sicuro. Tuttavia, il piano era stato improvvisamente stravolto. Leif non era più con loro, e questo complicava tutto. Dovevano trovare un modo per localizzare Astrid e liberarla, ma ora c'era il rischio che Leif venisse scoperto.
«Dobbiamo muoverci,» disse Ingrid, la mente già a lavoro per elaborare una soluzione. «Non possiamo aspettare. Se scoprono Leif, tutto andrà in fumo.»
«Sì, ma non possiamo neanche agire di impulso,» rispose Halfdan, accigliato. «Dobbiamo trovarla senza attirare attenzione. Ma Leif è una variabile che non avevamo previsto.»
«Dobbiamo considerare due cose,» mormorò Ingrid, i suoi occhi che scrutavano l'oscurità attorno a loro. «Uno: Leif deve mantenere il controllo della situazione. Due: dobbiamo trovare Astrid prima che le cose precipitino.»
Halfdan annuì, l'adrenalina che scorreva ancora forte nelle sue vene. «Sveinn non può scoprire nulla. Dobbiamo fare il possibile per assicurarci che Leif resti intoccato finché non abbiamo Astrid.»
«Troviamo Astrid,» disse Ingrid, la sua voce dura e decisa. «Poi decideremo come agire.»
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Ingrid e Halfdan si muovevano attraverso i corridoi bui della fortezza. Ogni passo era accompagnato dal timore di essere scoperti, e ogni ombra sembrava nascondere una potenziale minaccia. Ingrid si sentiva come se il tempo stesso si fosse fatto più lento, il peso del luogo e dei ricordi che le premevano sul petto.
La sua mente tornava a suo padre, a come Vestfold era stata un tempo sotto la sua guida: fiera, prospera, e libera. Ora, tutto ciò era stato corrotto da Sveinn, un traditore che si era impossessato della sua casa e del suo popolo. E lei, che un tempo si aggirava tra queste mura con orgoglio, ora doveva nascondersi come una ladra.
«Siamo vicini,» sussurrò Halfdan, scuotendola dai suoi pensieri mentre si fermava all'angolo di un corridoio.
Ingrid annuì. «La stanza dove tengono prigioniera Astrid non dovrebbe essere lontana.» I loro movimenti erano silenziosi, i passi leggeri, come predatori pronti a colpire.
Raggiunsero finalmente una porta massiccia in legno. Ingrid si fermò, scrutando la pesante chiusura e ascoltando attentamente il silenzio che proveniva dall'interno. «Ci sono due guardie,» mormorò, il suo sguardo che scrutava l'ambiente attorno.
Halfdan tirò fuori il coltello che teneva alla cintura, i suoi occhi che brillarono per un istante nella luce fioca del corridoio. «Le eliminiamo in silenzio.»
Ingrid annuì, sapendo che la forza bruta non sarebbe stata la soluzione. Avevano bisogno di astuzia, come quella che aveva permesso loro di entrare fin lì senza essere scoperti. Fece un segno con la mano a uno dei suoi uomini, che si mosse con la stessa fluidità di un'ombra.
Le guardie davanti alla porta sembravano annoiate, e questo giocava a loro favore. Con precisione letale, l'uomo di Ingrid si avvicinò alle spalle di una delle guardie e, in un movimento rapido e silenzioso, la sua lama scivolò nella carne, soffocando ogni suono.
Halfdan si avvicinò all'altra guardia, replicando il movimento con la stessa efficacia. In pochi istanti, le guardie erano a terra, e la via era libera.
Ingrid si avvicinò alla porta, le mani che tremavano appena. Era il momento della verità.
Halfdan le fece cenno di aprire, e lei, con un respiro profondo, spinse lentamente il pesante legno, rivelando l'interno della stanza.
Astrid era lì, seduta su una panca, lo sguardo abbattuto e spento. Ma quando alzò gli occhi e vide Ingrid, la sorpresa si trasformò rapidamente in speranza.
Ingrid si avvicinò rapidamente, le loro mani che si incontrarono a metà strada in una presa salda, il silenzio intorno a loro carico di emozioni non dette. Nonostante tutto, nonostante il terrore, la prigionia e le tenebre che si stendevano su di lei, Astrid non sembrava davvero stupita. I suoi occhi brillavano di una luce che Ingrid non aveva mai visto prima.
«Lo sapevo,» mormorò Astrid, stringendo la mano di Ingrid più forte. «Sapevo che saresti venuta per me. Non ho mai dubitato del fatto che mi avresti salvata.»
Ingrid le lanciò uno sguardo colmo di gratitudine e rispetto. Astrid, nonostante fosse stata prigioniera, non aveva perso quella forza interiore che l'aveva sempre caratterizzata. Era forte, anche nei momenti più bui, e questo le dava una fiducia che molte persone non avrebbero avuto in una situazione simile.
«Non potevo lasciarti qui,» sussurrò Ingrid, con una nota di commozione nella voce che si sforzò di nascondere. «Ma non è finita. Dobbiamo muoverci in fretta. Non abbiamo molto tempo.»
Astrid annuì, rialzandosi con determinazione. «Che cosa sta succedendo?»
Ingrid le spiegò rapidamente la situazione, raccontandole del loro piano e di come Leif fosse adesso nella sala con Sveinn, in una situazione pericolosa quanto quella che avevano appena affrontato. «Dobbiamo salvare Leif,» concluse, lo sguardo cupo. «E dobbiamo farlo in fretta, prima che Sveinn capisca chi siamo davvero.»
Astrid, nonostante la stanchezza, annuì con convinzione. «Sono pronta. Andiamo a riprenderlo.»
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Leif sedeva a un lungo tavolo di legno intagliato, cercando di mantenere la calma, anche se il peso dello sguardo di Sveinn sembrava una spada sospesa sopra di lui. Il grande camino illuminava la stanza con una luce tremolante, e l'odore della birra e della carne arrostita si mescolava all'umidità che penetrava le mura di pietra. Leif sapeva che non poteva mostrarsi esitante o nervoso, ma con ogni minuto che passava, sentiva la tensione crescere.
Sveinn lo scrutava con attenzione, sorseggiando lentamente dal suo calice. «Allora, capitano,» iniziò, la sua voce bassa e tagliente come una lama. «Quanto vuoi per queste provviste?»
Leif cercò di sorridere, anche se il cuore gli martellava nel petto. «Un prezzo equo, signore,» rispose, tentando di mantenere un tono pacato. «Sapete che il mare è pericoloso, e queste merci non sono facili da trovare in tempi come questi.»
Sveinn fece un cenno con la testa, ma il suo sguardo non si spostava mai da Leif, come se avesse voluto scavare sotto la sua pelle, cercando qualcosa di nascosto. «Eppure, sei qui, sano e salvo. E con tutte queste provviste,» disse, appoggiando il calice sul tavolo con un colpo sordo. «Mi sembra quasi troppo bello per essere vero.»
Leif si sentiva come se stesse camminando su un filo sottile. Ogni parola doveva essere perfetta, ogni gesto calcolato. «Il rischio fa parte del mestiere,» rispose con un leggero sorriso, cercando di sembrare rilassato. «E ho pensato che il vostro bisogno sarebbe stato urgente.»
Sveinn si allungò sul tavolo, il suo sguardo freddo che si faceva ancora più penetrante. «Molto generoso da parte tua,» mormorò, quasi con disprezzo. «Ma sai, capitano, la generosità spesso ha un prezzo.»
Leif deglutì a fatica, cercando di non tradire il panico che cresceva dentro di lui. Cosa sa davvero? Sta sospettando qualcosa?, pensò.
Sveinn continuò, appoggiandosi pesantemente allo schienale della sua sedia. «A proposito di generosità... hai per caso notizie della mia cara sorellastra?» chiese, la sua voce diventata improvvisamente più affilata. «Ingrid, la donna che crede di potermi sfidare. Ho sentito che sta ancora cercando di ribellarsi contro di me. Ma non durerà a lungo, ne sono certo.»
Leif cercò di non tradire alcuna emozione. Ecco che inizia, pensò, stringendo appena i pugni sotto il tavolo. «Non ho sentito parlare di lei,» rispose con freddezza, sperando che Sveinn non captasse l'inquietudine nella sua voce.
Sveinn sorrise, un sorriso freddo e sinistro. «Davvero? Strano, pensavo che il tuo genere di uomini sapesse sempre tutto.»
Leif serrò la mascella, ma cercò di mantenere il controllo.
Sveinn lo fissò per un lungo momento, e poi inclinò leggermente la testa. «Sai, ho catturato una persona molto cara a Ingrid,» disse, con un tono quasi casuale. «La sua piccola amica... come si chiama? Ah, sì, Astrid.» Si appoggiò indietro sulla sedia, il sorriso che si allargava sul suo viso. «Una ragazza coraggiosa, ma... inutile. La terrò qui finché Ingrid non uscirà dalle ombre. Poi, beh... farò in modo che lei veda la sua cara amica morire. Forse, prima di ucciderla, me la sbatterò un po'.»
Leif sentì il sangue gelarsi nelle vene. Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì, e solo con uno sforzo immenso riuscì a non balzare dalla sedia.
«Non sembra il tipo da cedere facilmente,» disse Leif, cercando di tenere la voce ferma. Ma ogni parola che pronunciava sembrava un filo che si stava spezzando sotto la pressione.
Sveinn lo fissò, un'espressione compiaciuta sul volto. «Non lo è, ma tutti crollano prima o poi. Anche Ingrid.»
Leif sentiva il sudore freddo sulla schiena, il cuore che gli batteva furiosamente nel petto. Doveva trovare un modo per uscire da quella situazione, e in fretta.
Stava per parlare, quando all'improvviso la porta della sala si spalancò con un tonfo, e due guardie irruppero dentro, il respiro affannoso. «Signore!» gridò una di loro, «Abbiamo un problema!»
Leif sentì un'ondata di sollievo e terrore attraversarlo. Cosa stava succedendo?
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